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Arrivano i minatori: nelle Asturie sciopero a oltranza, cortei, barricate

Hanno alle spalle una gloriosa tradizione di lotte. Il preludio della rivoluzione spagnola degli anni Trenta fu qui, con l’insurrezione dell’ottobre 1934, la Comune delle Asturie (nel nord della Spagna), repressa dal generale Franco che per stroncarla dovette passare per le armi migliaia di operai. Alla testa di quella lotta c’erano loro, i minatori, che attaccarono la Guardia Civil con un armamentario rudimentale e specialmente con quella dinamite che avevano a disposizione in abbondanza in miniera. Scrissero allora, quasi ottant’anni fa, una delle pagine più eroiche del movimento operaio.
Di quella eredità sono portatori i giovani minatori che stanno conducendo uno sciopero ad oltranza e l’occupazione delle miniere contro i tagli al settore minerario previsti dal governo Rajoy, che implicheranno decine di migliaia di licenziamenti.
La loro lotta la difendono con ogni mezzo necessario: con i blocchi stradali, con le barricate di copertoni e tronchi, con armi rudimentali, predisposte artigianalmente, come i loro antenati del 1934. Fanno impressione i filmati (v. i link che riportiamo qui sopra) in cui i minatori si difendono dalla repressione della Guardia Civil sparando con degli improvvisati lanciarazzi. Metodi che paiono efficaci, visto che le bande repressive del capitale arretrano e (v. secondo filmato) semplicemente scappano disordinatamente.

Quello che è certo è che questi minatori non soffrono di nessun timore superstizioso verso l’autorità, cioè verso lo Stato borghese. Se si chiude il libro di storia e si guada all’oggi ricordano tanto da vicino i giovani egiziani di piazza Tahrir, o i rivoluzionari che affrontano con grande coraggio la repressione in Siria. Ma, perché no?, pur con le dovute differenze, non sono tanto lontani da quegli operai immigrati che qualche giorno fa a Basiano si difendevano dalle cariche della polizia (che cercava di far passare i crumiri) sradicando cartelli stradali.
Funziona così, da sempre. Quando la classe operaia scende in campo lo fa con quella che Lenin definiva “la sua mano ruvida e callosa”. E subito tutto diventa più chiaro: altro che concertazione, incontri con la “controparte”, mediazioni, mozioni, ordini del giorno, emendamenti, cavilli, primo e secondo turno elettorale. Tutto l’armamentario che la burocrazia sindacale e la politica borghese usa da sempre per ingabbiare la forza gigantesca dei lavoratori, tutti i discorsi vuoti del riformismo, tutto è spazzato via rapidamente. E’ la lotta di classe nella sua essenza: da una parte le “bande armate” della borghesia che difendono la proprietà e le istituzioni dei padroni, dall’altra gli operai che liberano la loro forza portentosa, usando tutti i mezzi a loro disposizione: dagli scioperi prolungati ai cortei, dalle occupazioni ai blocchi ferroviari e stradali, fino alle barricate (bellissima la foto di un gruppo di minatori che chiude un’autostrada accatastando tronchi d’albero).

Niente a che vedere con gli sciopericchi imposti qui da noi dai burocrati sindacali. Niente a che vedere con le ipotesi di alleanze elettorali e di governo che continua imperterrita a perseguire la sinistra riformista, da Vendola a Ferrero. Niente a che vedere con i “cinque punti” del Comitato No Debito di Cremaschi (“rigorosi vincoli pubblici alle multinazionali” e altre keynesiate simili). Niente a che vedere con quel grottesco “Appello di giuristi, costituzionalisti, personalità della politica” che sta girando alla vigilia dello sciopero del 22 giugno e che pretende di fermare Monti e la Fornero appellandosi alla “Costituzione della Repubblica”, quella stessa che difende la sacralità della proprietà privata e santifica lo sfruttamento del lavoro salariato ma che – secondo questa bella congrega di ex ministri, ex sottosegretari, aspiranti ministri o perlomeno aspiranti deputati e senatori all’ombra del prossimo governo di centrosinistra, aspiranti a un riconoscimento qualsivoglia – sarebbe garanzia “della dignità e dei diritti democratici” (nella lista dei firmatari troviamo: Ferrero, Pancho Pardi, Salvi, Cremaschi, Agnoletto, Cannavò, Ferrando, Russo Spena, Cararo. Provveda il lettore a distinguerli nelle varie categorie di aspiranti qualcosa).
La frammentazione che continua delle lotte nel nostro Paese, al di là del coraggio di tante lotte operaie (si pensi a quella di Basiano, a quelle degli operai Jabil e Nokia, e a tante altre, spesso oscurate anche dai media di sinistra), potrebbe indurre a demoralizzazione (e maestri di demoralizzazione sono sempre, appunto, riformisti e centristi di cui abbiamo un bel campionario nella lista citata). Ma l’Italia non è un mondo a parte. Certo qui il ruolo di freno alle lotte delle burocrazie sindacali è stato finora più forte che in qualsiasi altro Paese europeo. Basti vedere come le misure di Monti stanno passando con un record negativo di ore di sciopero. Eppure è evidente che quanto succede in Grecia e in Spagna (non solo nelle Asturie: imponenti sono state anche le recenti mobilitazioni a Madrid o Barcellona) sono l’anticipazione di quanto potrà iniziare anche nel nostro Paese nei prossimi mesi.
E’ la risposta dei lavoratori e dei giovani all’attacco della borghesia e dei suoi governi che pretendono di farci pagare la loro crisi e il loro debito. E’ una risposta che  può non solo fermare gli attacchi anti-operai e le politiche di austerità dei governi padronali, ma può anche svilupparsi e indicare una soluzione alternativa alla crisi, una soluzione operaia, rivoluzionaria e socialista, a livello europeo.

Ma perché davvero la lotta avanzi, perché si sviluppi unificandosi al di sopra delle frontiere nazionali, è necessario costruire nuove direzioni sindacali in grado di scavalcare le burocrazie traditrici. E’ necessaria una nuova direzione politica, cioè un partito internazionale, con sezioni in ogni Paese, che raggruppi l’avanguardia più cosciente dei lavoratori e dei giovani. Si tratta di un lavoro difficile che nel nostro piccolo vogliamo portare avanti con tutti coloro che hanno capito che non è l’ora delle petizioni, con tutti coloro che credono nella lotta non come mezzo per guadagnare un seggio o uno strapuntino. E’ una lotta che le sezioni europee della Lit stanno portando avanti in tanti Paesi: è per questo che i nostri compagni spagnoli di Corriente Roja sostengono la lotta dei minatori e rivendicano la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle miniere.
E’ l’ora della lotta: come ci insegnano i minatori delle Asturie, e pazienza se con i loro lanciarazzi risulteranno forse troppo rumorosi e grossolani per gli azzimati seguaci di Lord Keynes o per i fan di Syriza e della sua “leale opposizione” al nuovo governo anti-operaio greco.
La lotta dei minatori delle Asturie va fatta conoscere, rompendo la censura dei media nostrani e il silenzio della sinistra governista e delle sue appendici critiche. Perché i minatori delle Asturie possono diventare ancora una volta, come i loro nonni degli anni Trenta, un esempio per i lavoratori di tutto il continente.
di Francesco Ricci – da www.alternativacomunista.org