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L’IKEA VUOLE CHE I LAVORATORI SIANO SCHIAVI SENZA DIRITTI

Ikea-Pisa

Ikea-Pisa

Ancora una volta l’Ikea e le cooperative degli appalti rispondono alle richieste dei lavoratori con il pugno di ferro. Ma i facchini non hanno paura, non si piegano, e la loro lotta deve trovare la più vasta solidarietà: non lottano soltanto per sé, lottano per tutti i lavoratori!

 

I fatti

Da alcune settimane è in atto al magazzino Ikea di Piacenza un duro attacco ai facchini degli appalti e al sindacato SI-Cobas che ne rappresenta l’80%: sospensione dal lavoro di 33 lavoratori, minacce di licenziamento, cariche e manganellate della polizia contro i picchetti operai, denunce alla magistratura, serrata di due giorni e minaccia di chiusura definitiva del magazzino con il suo spostamento in Croazia…
Il terribile “delitto” compiuto dai lavoratori sotto attacco e dal SI-Cobas è stato quello di rivendicare la applicazione integrale del contratto collettivo nazionale dell’agosto 2013 in materia di salari, ferie, permessi, ex-festività, Tfr, 13^, 14^, con la totale copertura di malattia e infortunio “senza nessuna deroga con pretestuosi cavilli” come fatto di “dignità” e di “civiltà”.
A queste sacrosante rivendicazioni e all’agitazione sindacale, la più grossa cooperativa degli appalti San Martino ha risposto con misure disciplinari, negando al sindacato maggioritario tra i facchini (il SI-Cobas) il diritto di rappresentare i lavoratori, assumendo lavoratori in sostituzione degli scioperanti. La tesi “è tutta colpa di una minoranza di facinorosi”, nega che a scioperare è stata la maggioranza dei lavoratori e l’unico ricoverato in ospedale è, guarda caso, un facchino in sciopero.

 

Dietro e sopra la San Martino si scorge chiara la sagoma dell’Ikea che ha scelto di drammatizzare lo scontro coinvolgendo nell’aggressione ai lavoratori il sindaco di Piacenza, la giunta provinciale, la stampa, i burocrati di Cisl, Uil e Cgil e naturalmente e in primo luogo, la polizia nel tentativo di trasformare una lotta operaia, un conflitto sindacale, in una questione di ordine pubblico. Di più: l’Ikea sta imponendo con metodi ricattatori ai suoi dipendenti diretti di scendere in piazza contro i lavoratori degli appalti, nel tentativo di provocare scontri violenti tra i lavoratori.

La resistenza dei facchini

Come due anni fa quando andò in scena uno scontro simile con la rappresaglia padronale contro 40 lavoratori del SI-Cobas (poi tutti reintegrati, salvo uno, dopo 5 mesi di lotta), i facchini hanno dato una risposta forte ed efficace, che ha raccolto la solidarietà dei lavoratori di altri magazzini (TNT, GLS, etc.) e di gruppi di giovani, e hanno dato vita domenica scorsa ad un corteo numeroso e combattivo che ha fatto sentire in città la voce e l’organizzazione degli operai in lotta.

 

Il conflitto in atto nel magazzino Ikea di Piacenza non è un semplice conflitto locale o aziendale. L’Ikea vuole dare l’esempio di come si può schiacciare e ridurre al silenzio i lavoratori che, sentendosi abbandonati a sé stessi e traditi da Cgil, Cisl e Uil, hanno deciso di auto-organizzarsi con il SI-Cobas perché non vogliono esser trattati da schiavi e non accettano di essere ridotti al silenzio.

 

Non a caso l’Ikea sta facendo di tutto per ottenere dal governo Renzi-Alfano un’azione repressiva ancora più decisa contando sul sostegno incondizionato di una serie di esponenti locali del Pd e della maggioranza di governo. Vuole arrivare a ogni costo ai licenziamenti politici dei facchini più attivi e coraggiosi, quasi tutti immigrati, prendendo “per fame e per stanchezza” chi sta lottando nella logistica da anni. Lo fa raccogliendo al volo ciò che il governo indica a tutto il padronato con il “Jobs Act”: rendere più precaria e ricattabile la condizione di milioni di lavoratori, in particolare i più giovani e gli immigrati, e che non a caso porta il nome del massimo esponente del trust delle cooperative in Italia, il ministro Poletti.

Uno scontro che riguarda tutti i lavoratori

 

Ecco perché non dobbiamo permettere che i facchini in lotta al magazzino Ikea di Piacenza restino soli, e dobbiamo far arrivare loro la più larga e attiva solidarietà.
La loro lotta, la lotta degli operai della logistica è la nostra lotta!
La loro resistenza dà forza e coraggio alle tante piccole resistenze finora disperse sui luoghi di lavoro: non permettiamo che venga isolata e repressa!
Raccogliamone il messaggio di riscossa e lavoriamo con tutte le nostre forze ad un fronte unico proletario di lotta contro i padroni e il governo!

 

Solidarietà ai lavoratori del Deposito Ikea di Piacenza in lotta!

 

Comitato di sostegno ai lavoratori Fincantieri Padova, 16.5.2014
Clashcityworkers www.clashcityworkers.org
Ross@ Padova

 

 

Ikea, il mito e la realtà

Ikea pretende di essere un’impresa con finalità “umanistiche, sociali e ambientali”, e intorno a questa sua immagine ha costruito un vero e proprio mito.
La realtà dei fatti prova invece che Ikea, il cui fondatore Kamprad è stato un simpatizzante reo confesso del nazismo, è un campione mondiale del supersfruttamento del lavoro e del saccheggio della natura.

 

A più riprese è stata colta con le sue grinfie allungate su lavoratori-bambini del Bangladesh, delle Filippine, dell’India, del Vietnam, della Thailandia. Secondo un rapporto del China Labor Watch, Ikea è stata responsabile in Cina, oltre che di sfruttamento del lavoro minorile, anche di “molte altre violazioni dei diritti dei lavoratori, tra cui un eccesso di straordinari non adeguatamente retribuiti, mancanza di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, vessazioni fisiche e verbali”. Nella vecchia Germania dell’Est Ikea ha fatto ricorso al lavoro semi-gratuito dei carcerati, ed è stata denunciata in Romania, in altri paesi dell’Est Europa, in Turchia per le “penose condizioni” imposte ai lavoratori. Ma anche il sindacato statunitense accusa Ikea: “qui i dipendenti sono sottopagati, hanno alti tassi di infortuni sul lavoro, vengono intimiditi e licenziati se cercano di aderire al sindacato”.

 

L'”ambientalista” Ikea fa abbattere ogni anno milioni di alberi per ricavarne 14,5 milioni di metri cubi di legname che provengono in gran parte dalle ultime foreste primordiali della terra (lo dice Save the rain forest).
E per non farsi mancare nulla, attraverso un complesso sistema di fondazioni e società offshore nel Liechtenstein, in Olanda e nelle Antille olandesi evade legalmente il fisco, pagando per le montagne di profitti che lucra sullo sfruttamento di centinaia di migliaia di lavoratori, assai meno delle tasse pagate dagli operai che sfrutta.
Questo non lo diciamo noi, sta scritto su “Der Spiegel” (vedi “Internazionale”, 11.1.13), su “Repubblica” (del 29.7.11), sui rapporti di Greenpeace e di altri enti non sospettabili di essere “estremisti” e “facinorosi”…