Il quasi 70% di NO con cui i dipendenti Alitalia hanno seppellito l’ennesimo piano “lacrime e sangue” teso alla distruzione dei diritti e dei salari nella compagnia di bandiera nazionale, è una notizia estremamente salutare per chiunque abba a cuore la prospettiva di rilancio del conflitto sui luoghi di lavoro.
In Alitalia giá per anni i lavoratori hanno pagato sulla propia pelle le politiche di tagli e le operazioni scellerate di manager senza scrupoli: in otto anni sono stati tagliati 8000 posti di lavoro tra licenziamenti, mobilità e incentivi all’esodo; migliaia di dipendenti sono oramai precari a vita grazie all’abuso dei rinnovi “sine die” dei contratti a termine; con l’ingresso dei privati, salutato dal governo come la panacea di tutti i mali, la situazione è ulteriormente peggiorata, col taglio delle tredicesime e l’intensificarsi dello sfruttamento nei confronti soprattutto dei lavoratori più giovani e del personale di terra.
Negli ultimi 16 anni, 8 gestiti dalla mano pubblica e 8 da quella privata, le perdite economiche sono state le stesse benché i capitani coraggiosi del capitalismo privato abbiano, in simbiosi ed appoggiati dagli organi istituzionali e politici, tagliato salari e licenziato i lavoratori che secondo loro erano la causa del “malessere” aziendale.
Col piano attuale il governo Gentiloni e i vertici aziendali puntavano a ridurre ulteriormente i livelli salariali con tagli fino al 30%, e a sbarazzarsi di altre mille dipendenti. E intanto, mentre a chi lavora si chiedono sacrifici, l’amministratore delegato Cramer Ball si fa quadruplicare la buoniscita portandola a 2,5 milioni di euro; mentre i voli di bandiera sono semivuoti, Alitalia si concede il lusso di spendere oltre 550 milioni di euro per leasing o noleggi a costi superiori a quelli di mercato: il risparmio su queste voci di spesa consentirebbe da solo non solo di azzerare i 419 milioni di euro di perdite dichiarate in bilancio, ma persino di andare in attivo. Invece, si preferisce spremere e salassare ulteriormente le già semivuote tasche dei lavoratori pur di alimentare il giro di profitti dei padroni amici di Poletti e dei sindacalisti venduti di Cgil-Cisl-Uil.
Questi ultimi non a caso ora, dopo la sonora bastonata ricevuta, scodinzolano ai piedi di Poletti facendo pubblicamente “mea culpa” per aver indetto il referendum: una chiara dimostrazione di come questi individui sanno celebrare la parola “democrazia” solo quando gli è utile per portare a compimento le loro porcate.
I lavoratori Alitalia avuto il coraggio di dire NO pur avendo la pistola puntata alla tempia da Poletti e dalla quasi totalità della stampa di regime, tesa a terrorizzare i votanti con lo spettro della liquidazione o del fallimento.
Per la prima volta da anni a questa parte in una grande azienda di rilevanza strategica la stragrande maggioranza dei lavoratori si rifiuta di accettare la logica del meno peggio e respinge un accordo-bidone in un referendum che ha visto la partecipazione di oltre il 90% degli interessati: si tratta di un segnale importante e prezioso per tutto il sindacalismo di classe e combattivo.
Si tratta altresì di un importante successo sindacale della CUB, tra le poche, se non l’unica sigla con una presenza significativa nella categoria ad aver creduto ed essersi spesa fin dall’inizio su questa battaglia, non solo nelle urne del referendum ma innanzitutto nei numerosi e riusciti scioperi che in questi mesi, da Malpensa a Fiumicino, hanno nuovamente coinvolto centinaia di dipendenti Alitalia.
Ora viene la battaglia più dura: resistere all’offensiva mediatica e governativa, alle minacce e ai ricatti, e rilanciare con la lotta la difesa e l’estensione delle tutele e dei salari per tutti i lavoratori Alitalia. Alla lotta e all’arma dello sciopero non ci sono alternative: la stessa ipotesi di nazionalizzazione, paventata da più parti, è un’arma spuntata, poichè si fonda sull’illusione che un “menagement di Stato” (borghese) possa avere più a cuore le sorti dei lavoratori rispetto ai privati: le pesanti ristrutturazioni in atto nel settore pubblico dicono purtroppo l’esatto contrario…
I lavoratori si possono difendere solo non arretrando sul piano della difesa dei loro interessi e unendo la propria lotta a quella di altri settori di classe per fronteggiare il capitale in crisi.
Se i lavoratori Alitalia sapranno collegarsi con le tante lotte operaie in corso, a partire da quelle nella logistica, e unire le forze, allora l’esito referendario potrà davvero diventare l’inizio di una nuova stagione di avanzamenti e di conquiste.
28/4/2017
SI Cobas nazionale