Cobas

[IRAN] Libertà per i prigionieri politici iraniani!

Pubblichiamo qui sotto la versione italiana del comunicato “Libertà per i prigionieri politici iraniani” della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta.
Proposto dal SiCobas, il testo è stato approvato dalla Rete nel suo ultimo incontro internazionale, tenutosi dal 25 al 28 gennaio 2018 a Madrid.

Prossimamente, sabato 3 febbraio, dalle ore 15 si terrà a Milano in piazzale Lotto (angolo via Monte Bianco) un presidio (che la Questura non ha permesso si svolgesse di fronte al Consolato d’Iran) per chiedere sia la liberazione dei prigionieri politici iraniani, sia la libertà di organizzazione di espressione e di manifestazione in Iran.

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Libertà per i prigionieri politici iraniani! 

La Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta chiede con forza che il governo e la Magistratura iraniani liberino gli attivisti sindacali e i cittadini arrestati per motivi politici durante e dopo le proteste di massa iniziate il 28 dicembre 2017. 
Queste proteste hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone in 72 città, di cui tutte le 20 maggiori città dell’Iran, in tutte le 31 province, e continuano in diverse località nonostante la dura repressione. Negli ultimi anni ci sono stati centinaia di scioperi, sit-in e manifestazioni da parte di sindacati e gruppi di lavoratori a causa di salari ben al di sotto della soglia di povertà, condizioni di lavoro insopportabili e mesi di salari arretrati non pagati. Non ci sono parole migliori per descrivere la rivolta delle persone degli strati proletari e degli studenti in Iran di quelle usate da cinque sindacati iraniani: “Quando il governo ha raggiunto un vicolo cieco e non ha soluzione alle crisi che ha creato con le proprie mani, e quando la gente non sopporta più oppressione e ingiustizia, e a differenza che nel passato non cederà all’oppressione, è tempo di proteste diffuse e sconvolgimenti sociali.
“Le richieste che oggi sono alla base delle proteste e manifestazioni di massa del popolo lavoratore dell’Iran, sono incentrate sulla protesta contro la povertà, l’alto costo della vita e la disoccupazione, richieste che sono state gridate per decenni da lavoratori, insegnanti, studenti, infermieri e tutte le altre categorie di lavoratori, ma i governanti senza alcuna considerazione si sono occupati del saccheggio della ricchezza sociale. 
“Quello che vediamo oggi nelle strade di varie città dell’Iran è l’irruzione della rabbia accumulata dalle masse del popolo lavoratore dell’Iran per il saccheggio di miliardi da parte di alti funzionari governativi, di individui e istituzioni finanziarie connessi al settore energetico sul da una parte, e la povertà e l’annientamento di milioni di persone dall’altra parte, mentre la disoccupazione di massa di milioni di lavoratori e giovani, il pestaggio e l’oppressione dei venditori ambulanti e l’uccisione di kulbar, l’imposizione ai lavoratori di salari ben al di sotto della linea di povertà, e l’uso di violenza, frustate, carcere, esecuzioni capitali e la repressione di qualsiasi richiesta di giustizia e libertà continuano”. 
Tra gli slogan più gridati nei cortei: “mullah capitalisti, ridateci i nostri soldi”: una chiara denuncia del carattere di classe dell’oppressione da parte dell’establishment clericale. La maggior parte dei manifestanti è composta da lavoratori e studenti. Dal secondo giorno le proteste hanno assunto un carattere fortemente politico, chiedendo la caduta del regime islamico, con slogan che denunciano sia i “conservatori” che i cosiddetti “riformisti”, sia Khamenei che Rouhani, con l’abbattimento e l’incendio delle immagini simbolo del regime, nonostante il fatto che ciò possa comportare la pena di morte. 
Il governo ha bloccato i social media per impedire la circolazione di informazioni e ha arrestato circa quattromila persone, molte delle quali prelevate da casa dalla polizia. Dimostrazioni sono state tenute per diversi giorni fuori dalle prigioni, in particolare la famigerata prigione di Evin nel nord di Teheran, per ottenere la liberazione dei manifestanti arrestati. Vi sono informazioni documentate che dieci degli arrestati sono morti durante la detenzione, con i segni delle torture sui loro corpi. La soppressione di tutti gli oppositori è una politica costante del regime islamico. Seyed Hashem Khastar – un membro dell’Unione iraniana dei maestri e lui stesso un ex prigioniero politico, come molti altri leader sindacali indipendenti – ha riferito che ventimila prigionieri politici sono stati uccisi dal regime nel 1988, molti dei quali poco prima del termine della pena. 
I lavoratori iraniani hanno bisogno del sostegno dei lavoratori di altri paesi per respingere il sostegno opportunistico degli Stati Uniti, che sperano di usare la rabbia del popolo iraniano per ripristinare il regime dello scià, rovesciato dalla rivolta dei lavoratori nel 1979. 
La Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e di Lotta chiede la liberazione di tutti gli attivisti sindacali e prigionieri politici.
I sindacati membri si impegnano a convocare una giornata di protesta presso le ambasciate e i consolati iraniani.