Ieri si é inoltre volta un’assemblea notturna in TNT, sui rischi per la classe operaia derivanti dalle pratiche caporalesche adottate dalla USB-Logistica.
Unanime la volontà operaia di tenere lontano elementi e pratiche così avverse alle conquiste ottenute in questi anni, con sudore e denunce.
Fra furti in busta paga, denunce, “sindacati” di base o confederali crumiri che sabotano gli accordi raggiunti, ostilità delle istituzioni annunciata in pompa magna sui giornali… ce la stanno proprio mettendo tutta per ostacolarci!
Come da sempre e per sempre, pero’, gli ultimi hanno un’arma più forte della loro infamità a disposizione… la solidarietà!
Eccovene una pillola riassuntiv,a che spiega l’intervento dei facchini S.I. COBAS a difesa di un piccolo gruppo di colleghi… da noi nessuno viene lasciato indietro, chi tocca uno tocca tutti!
https://www.facebook.com/mimo.ali.9484/posts/2219846911389757
Solo la lotta paga, uniti si vince!
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Qui sotto, riportiamo integralmente il comunicato nazionale congiunto di S.I. Cobas e Adl Cobas sullo sviluppo recente della situazione piacentina, che abbiamo già pubblicato a questo link pochi giorni fa:
http://sicobas.org/news/2888-comunicato-lotta-di-classe-o-di-bottega-sul-contrasto-si-cobas-e-usb-a-piacenza
Crediamo sia necessario provare a riflettere in profondità sulla gravissima situazione venutasi a creare a Piacenza e che vede una contrapposizione molto pesante tra gruppi di lavoratori e funzionari sindacali aderenti ad una organizzazione sindacale che sta cercando di insediarsi nel territorio piacentino ed una realtà di migliaia di lavoratori, da anni radicata a Piacenza che ha cambiato con le lotte in quel territorio, così come da altre parti, il mondo della logistica.
Un primo dato che va rilevato è che, a memoria, non ci risulta che in passato si sia mai verificata una situazione del genere tra sigle sindacali che dovrebbero ispirarsi a principi di eticità e di senso del rispetto comuni.
Contrasti così pesanti sfociati in aggressioni e scontri fisici, con conseguenze anche dal punto di vista sanitario, ci fanno venire in mente altri momenti storici nei quali lo scontro politico, davanti alle fabbriche e nelle piazze con il PCI e con la CGIL in particolare si trasformava spesso in scontro fisico.
Ma i contrasti all’interno della galassia del cosiddetto “sindacalismo di base” non avevano mai avuto risvolti di questo tipo.
Oggi, semplicemente esistono molteplici sigle sindacali, ognuna delle quali si muove secondo un proprio impianto di natura politica, teorica e ideologica e, al di là delle petizioni di principio circa il fatto di essere contro il governo ed i padroni e di riferirsi genericamente al postulato teorico dell’esistenza della lotta di classe, non sono più nemmeno accomunate da valori di natura etica sul come rapportarsi nei posti di lavoro, contro quello che dovrebbe essere un comune nemico.
Certo nessuno, noi compresi, è immune da errori e sbavature che possono portare a far prevalere il senso di appartenenza ad una determinata sigla sindacale, ma pensiamo che nel caso di Piacenza e di USB si siano superati tutti i limiti della decenza nel tentativo di irrompere, da parte di USB, con estremo ritardo e con grande spregiudicatezza nel mondo della logistica, nella supponente convinzione e nella spropositata presunzione di essere l’unico sindacato in grado di impostare una vera lotta di classe contro i padroni, a differenza del le altre realtà sindacali preesistenti in quel determinato territorio o magazzino che avrebbero sbagliato tutto nella migliore delle ipotesi, o sarebbero addirittura colluse con il padrone nella peggiore.
Se così non fosse, sicuramente l’approccio con chi era ed è presente in questi territori e in questi impianti sarebbe stato completamente diverso.
Se da un lato, sul piano della produzione abbiamo assistito a enormi processi di ristrutturazione tradottisi anche in inarrestabili piani di delocalizzazione che hanno notevolmente indebolito la classe operaia tradizionale, via via, la logistica, in tutti i suoi aspetti, è andata ad assumere un ruolo centrale dal punto di vista capitalistico.
L’assurgere a ruolo centrale della logistica nell’economia globalizzata, ha coinciso con il fenomeno migratorio che è diventato fondamentale per alimentare le necessità del mercato del lavoro in questo settore strategico.
Dal punto di vista capitalistico l’avere inserito nel comparto della logistica una forza lavoro di origine straniera intrecciando la tipologia contrattuale con la forma societaria della cooperativa, ha avuto lo stesso significato, per i padroni, di vedere cadere la manna dal cielo. Quando abbiamo definito la condizione del socio lavoratore come condizione di tipo schiavistico, sicuramente non stavamo esagerando.
La condizione del socio lavoratore consentiva all’intero mondo della logistica di avere a disposizione una forza lavoro alla quale non venivano applicate nemmeno le norme più elementari delle normative in materia di lavoro in vigore, attuando costantemente una azione di rapina nei confronti dei lavoratori oltre che dello Stato, con evasioni contributive e fiscali impressionanti.
Salari da fame, orari di lavoro senza limiti, nessun riconoscimento della malattia e dell’infortunio, istituti contrattuali inesistenti, truffe legalizzate nei confronti dei lavoratori, dell’Inps e dell’Agenzia delle entrate, grazie alla programmazione scientifica del cambio di appalto.
Giorni, a volte settimane di presidi davanti ai cancelli per rivendicare diritti e dignità contro un apparato di potere che andava dal padrone, per lo più multinazionali che non volevano assolutamente trattare con i “Cobas”, alla polizia, alla Prefettura, ai sindacati collusi che avevano promosso loro stessi le cooperative fornendone in molti casi anche il personale di direzione.
Blocchi dei cancelli con i facchini seduti per terra a resistere agli attacchi della polizia, scontri con la sicurezza privata, picchetti e barricate sono state le forme di lotta che hanno caratterizzato questo formidabile movimento di lotta.
Decine di migliaia di facchini, di drivers e autisti hanno capito che esisteva una unica via per disarticolare questo sistema di sfruttamento ed era quella di lottare insieme, di costruire coordinamenti di lotta a livello di territori e di filiere.
In una prima fase il movimento si è dato obiettivi di magazzino, imponendo il rispetto minimo del CCNL, contrastando la pratica diffusa del caporalato e dei cambi di appalto. In tutta questa prima fase di crescita del movimento di lotta non vi era mai stato alcun contatto tra le nostre due organizzazioni sindacali, in quanto si sono sviluppate in modo simmetrico in regioni contigue.
Nel momento in cui si è evidenziata la necessità di verificare se esistevano terreni comuni da percorrere, si sono avviati i primi approcci e si è iniziato ad individuare una comune strategia volta ad impostare battaglie su un piano nazionale e non più solo di magazzino.
Nel 2014 ha inizio il percorso di lotta che ha portato alla firma di accordi di filiera (BRT, TNT, GLS, SDA) che impongono alle aziende fornitrici di applicare tutta una serie di aspetti migliorativi del CCNL che segnano una svolta netta nello scontro tra grandi aziende del trasporto merci e lavoratori.
Tutto quello che stava alla base del sistema di sfruttamento basato sulla forma del socio lavoratore viene praticamente smantellato, a partire dalla fondamentale conquista della clausola sociale (in caso di cambio di appalto, tutti i lavoratori hanno diritto al passaggio alla nuova azienda, mantenendo invariata la busta paga e l’anzianità maturata), degli istituti contrattuali al 100 %, di un orario di lavoro corrispondente al contratto di lavoro, un ticket restaurant da 5,29 €, il pagamento dell’integrazione per malattia ed infortunio, il prolungamento di due giorni di permessi retribuiti, i passaggi automatici di livello, dal 6° J fino al 4° J, la conquista di pieni diritti sindacali.
Insomma si è trattato di una vera piccola rivoluzione per l’intero mondo della logistica che ha cambiato la vita di decine di migliaia di lavoratori. Nel rapporto che abbiamo costruito tra Si Cobas e Adl Cobas non vi sono mai stati problemi di contrasti o di concorrenza di sigle, proprio perché l’obiettivo comune è sempre stato quello di combattere contro i padroni e non quello di ingrandire la propria “bottega”.
Anche perché il settore è talmente esteso che risulta anche molto difficile pestarsi i piedi, a meno che non vi sia un preciso intento nel farlo.
Siamo riusciti, nonostante anche diversità di impostazione politica e di riferimenti teorici, a costruire un percorso comune che si è basato su una visione condivisa in merito al fatto che non è l’ideologia che fa cambiare il mondo, ma è quel “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.
Parliamo di un movimento che ha effettivamente cambiato sotto mille profili lo stato di cose presente, dal salario, alla salute, al rapporto con la gerarchia del comando, al tempo di vita rapportato a quello del lavoro.
Certo abbiamo sempre saputo che non esistono punti di arrivo nel percorso di liberazione dallo sfruttamento, ma sappiamo distinguere in modo molto chiaro e netto quando una lotta produce importanti conquiste e quando invece non produce nulla o, peggio, fa tornare indietro ciò che si è conquistato.
È quindi evidente che abbiamo ottenuto questi risultati proprio perché siamo riusciti a cogliere nel momento opportuno la contraddizione esplosiva che un determinato processo di riorganizzazione capitalistica aveva prodotto, trasformando quella contraddizione in un grande movimento di lotta.
Altro che schiavitù vi era all’interno del magazzino GLS di Piacenza quando USB ha cominciato ad intervenire in questo magazzino.
Un primo commento sorge spontaneo: al di là delle presunte o vere motivazioni che hanno portato USB ad andare a bloccare dall’esterno il magazzino GLS di Piacenza, il risultato ottenuto non è stato quello di conquistare nuovi importanti obiettivi, ma ha portato ad una divisione pesantissima tra lavoratori che si è tradotta nella costruzione di un muro all’interno dello stesso magazzino che separa gli iscritti ad USB (una trentina circa) dagli iscritti al Si Cobas (una settantina).
Non abbiamo memoria che in Italia, ma forse anche in Europa, esista una situazione del genere.
Ma questa è la realtà.
GLS ha dovuto costruire un muro che separa i lavoratori per evitare il rischio di uno scontro fisico permanente.
Ma è anche importante ricostruire quello che ha consentito a USB di intervenire a Piacenza all’interno di GLS.
A volte succede che le vere cause di eventi gravi si perdano per la strada e che, a posteriori, non si capisca più niente del perché si sia arrivati ad un certo punto.
La storia è piena di fatti, le cui motivazioni vengono annacquate, modificate o stravolte.
Pensiamo che sulla questione GLS Piacenza sia importante invece ribadire con estrema chiarezza quello che è successo e far capire a tutti dove vanno ricercate le responsabilità della attuale situazione.
Nel corso di questi ultimi anni di grandi lotte abbiamo anche assistito al tentativo da parte di singoli lavoratori, o anche di gruppi di lavoratori, di usare il sindacato a scopi personalistici o nepotistici nel tentativo di piegare il sindacato in termini strumentali ai propri biechi interessi personali, familiari o di appartenenza nazionale.
In certe circostanze abbiamo dovuto intervenire energicamente per impedire che si potesse usare il sindacato in questo modo.
E, si badi bene, non stiamo parlando di un sacrosanto uso operaio del sindacato, così come è avvenuto anche in tempi passati, stiamo parlando di un uso esclusivamente di tipo strumentale.
A volte è anche successo che certe forzature in termini di lotta si rivelavano essere forme di pressione per raggiungere obiettivi che nulla avevano a che vedere con l’interesse di tutti i lavoratori.
Ebbene, in tutto questo, ci siamo visti costretti, sia come Si Cobas che come Adl Cobas, ad intervenire pesantemente, a volte anche perdendo quote di iscritti, per ripristinare i principi fondanti delle nostre organizzazioni sindacali, cacciando figure che tramite ricatti tentavano di far pesare la loro influenza su altri lavoratori per far passare i propri tornaconti.
Succede infatti che un gruppo di lavoratori, capeggiato da un delegato, stava cercando di costruirsi un proprio centro di potere all’interno del magazzino con finalità che nulla avevano a che vedere con quelle del sindacato.
Ad un certo punto, dopo vari tentativi di far rientrare nell’alveo delle idealità del sindacato il suddetto gruppo, ma non trovando disponibilità ad accettarne i principi, veniva deciso di espellere dal sindacato questo gruppo in quanto non più degno di far parte del Si Cobas.
Su precisa indicazione di GLS e del fornitore tre delegati su quattro passano con armi e bagagli alla CGIL e aprono immediatamente una campagna per la fuoriuscita della maggioranza dei lavoratori dal Si Cobas, con relativa iscrizione alla CGIL.
L’operazione viene concepita per far fuori il Si Cobas e inizialmente funziona portando un certo numero di lavoratori, ingannati dagli espulsi, a iscriversi alla CGIL.
Nel giro di poco tempo gli stessi che avevano creduto al gruppetto degli espulsi capiva la gravità di quello che stava succedendo e rientrava tra le file del Si Cobas, lasciando da solo il gruppo.
È in quel contesto che questi signori, ispirati da nobili e sicuramente rivoluzionari principi, cercavano attivamente di far fallire lo sciopero generale della logistica che avevamo proclamato, telefonando in altri magazzini per convincere altri delegati e lavoratori a non scioperare.
Vista la mala parata, e in preda ad una rabbiosa disperazione, quello stesso gruppetto, capeggiato sempre dal delegato, metteva in atto una gravissima provocazione all’interno del magazzino organizzando un agguato in pieno stile mafioso contro altri lavoratori, “colpevoli” secondo costoro di non averli seguiti nella scelta di iscriversi alla CGIL per luridi calcoli di tornaconto personale, facendo finire in coma uno dei lavoratori del Si Cobas tra quelli aggrediti a sprangate.
A seguito di questo episodio il gruppo veniva licenziato, veniva scaricato anche dalla CGIL e dove andava a chiedere aiuto?
A USB!!
La quale USB non si preoccupava minimamente di contattare il Si Cobas per capire quello che era successo e se queste degne persone dovevano essere tutelate o se, al contrario, in nome della condivisione di valori e principi comuni, sarebbe stato molto più opportuno mandarle affanculo.
USB inizia a mettere in campo una serie di blocchi con il pretesto di voler stabilizzare un gruppo di lavoratori assunti con contratti a tempo determinato, senza minimamente porsi il problema di confrontarsi con chi lavorava all’interno del magazzino e da anni portava avanti le battaglie per migliorare le condizioni di tutti e anche per fare tutto il possibile per stabilizzare i lavoratori a tempo determinato.
È in quello sciagurato contesto che avviene la tragedia della morte di Abd Elsalam che, ovviamente complica ulteriormente la situazione, acuendo lo scontro in atto, cambiandone il segno e facendo diventare quel gruppo di opportunisti disposti a qualsiasi nefandezza pur di imporre il proprio tornaconto, grazie al risalto mediatico che ha avuto la vicenda, l’unica realtà sindacale che lottava contro la schiavitù.
È bene dire, a distanza di tempo dalla morte di questo nostro fratello, che le cose non stavano affatto così, che all’interno di GLS sicuramente la schiavitù era stata da tempo sconfitta e che il terreno sul quale si stavano impostando le vertenze era di tutt’altra natura e comprendeva, ovviamente, nei tempi e con le modalità che venivano decise dalle assemblee dei lavoratori, anche la questione della precarietà.
Non esiste che in magazzini dove vi sono forti realtà sindacali conflittuali, qualcuno dall’esterno si ritenga legittimato ad imporre tramite blocchi il proprio punto di vista.
È un’ottica che non ci appartiene e che, laddove venga messa in atto, rischia di creare contrapposizioni pesanti tra gli stessi lavoratori.
Questo è quello che è successo a Piacenza a partire dalla vertenza GLS a seguito dell’intervento esterno di USB, la quale sta cercando ora di riproporre lo stesso schema anche in altri magazzini, così come è successo alla Leroy Merlin, dove 300 lavoratori sono usciti dal magazzino per andare a contrastare un picchetto organizzato da USB con motivazioni pretestuose senza tenere in minima considerazione il fatto che all’interno di questo magazzino c’era stata una grande lotta che aveva migliorato enormemente le condizioni di questi lavoratori.
È quella di andare ad intervenire dall’esterno proprio là dove si sono già conquistate con la lotta condizioni dignitose di lavoro, creando contrapposizione tra lavoratori e puntando a far costruire tanti muri divisori tra lavoratori appartenenti a sigle sindacali diverse?
È questa la loro strategia?
Ma la realtà è un’altra: la realtà è che in GLS a Piacenza, a seguito del loro intervento con i “personaggi” squalificati di cui abbiamo detto prima, è stato costruito un muro divisorio, che lo scontro tra lavoratori iscritti a due sigle sindacali continua ad essere sempre all’ordine del giorno, che non si intravvedono soluzioni a medio termine e che in quel magazzino il vero rischio è che la palese ingovernabilità venga usata strumentalmente per prendere decisioni drastiche che colpirebbero tutti i lavoratori.
A nostro avviso USB dovrebbe proprio fare un cambio di paradigma.
Deve cominciare a pensare che il nemico sta da un’altra parte; deve cercare di capire che quando si assecondano comportamenti strumentali e opportunistici di gruppi di lavoratori, ci si avventura in un terreno estremamente scivoloso e non si sa dove si va a parare.
Siamo consapevoli che quando si decide di percorrere una certa strada è difficile tornare indietro, specialmente se si ha la presunzione di non avere sbagliato nulla.
Noi, dal canto nostro, consapevoli certo che si possono fare molti errori e sicuramente ne abbiamo fatti nel corso della nostra vita, di una cosa siamo certi: abbiamo fatto bene ad allontanare dal sindacato chi pensava di poterlo usare per fini privati.
Se USB pensa che sia legittimo mettere la propria organizzazione a disposizione anche di chi intende piegarla ai propri interessi privatistici, perché in qualche modo crescono i clienti della bottega, beh? Lo faccia pure, ma troverà in noi sempre degli strenui oppositori a queste logiche.
S.I. COBAS – ADL COBAS
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Qui sotto, la risposta “a voce” dei lavoratori piacentini di Leroy Merlin di Castel San Giovanni (PC) all’USB:
https://www.youtube.com/watch?v=H_j0BES0MJ8