Informazioni sui lavoratori palestinesi nelle aziende israeliane sotto la pandemia COVID-19
Poiché la pandemia del Coronavirus viene usata per violare i diritti dei lavoratori in tutto il mondo, compresi i lavoratori palestinesi, siamo uniti per sfidare i padroni e gli Stati che mirano a massimizzare i profitti riducendo il lavoro dei lavoratori, minando i loro diritti e trascurando la loro protezione dalla pandemia.
Per i palestinesi che lavorano per le multinazionali israeliane, il sistema dell’apartheid basato sull’oppressione razziale e sulla negazione dei diritti dei lavoratori sta mostrando una crudeltà senza limiti.
Le ingiustizie delle diverse ma interconnesse realtà politiche ed economiche che stiamo vivendo ovunque si stanno aggravando.
È giunto il momento di costruire reti che uniscano i lavoratori di tutto il mondo, attraverso le quali possano rovesciare lo sfruttamento economico in atto.
La ricerca di un’unità degli sforzi è urgente per salvare la vita dei lavoratori in tutto il mondo, compresa la vita dei lavoratori palestinesi che si trovano ad affrontare maltrattamenti da parte di Israele e sul posto di lavoro in aziende israeliane in mezzo al propagarsi del COVID-19.
Finora decine di lavoratori palestinesi hanno contratto COVID-19 mentre lavoravano per datori di lavoro israeliani, ma gli è stato negato di curarsi negli ospedali israeliani. Come palestinesi ora stiamo combattendo su due fronti per sopravvivere: COVID-19 e l’occupazione israeliana.
Il regime di occupazione e di apartheid israeliano è un’impresa economica in crescita attraverso lo sfruttamento di centinaia di migliaia di lavoratori palestinesi costretti a lavorare per le aziende israeliane, anche negli insediamenti, in quanto l’economia palestinese è stata strangolata dall’occupazione di lunga
data.
Nel pieno della diffusione del COVID-19, Israele sta approfittando del momento per sostenere la sua economia attraverso i lavoratori palestinesi, costringendoli a condizioni di lavoro e di vita inumane.
Tra l’altro, mancano le misure di prevenzione di base dalla pandemia.
Non è possibile che, fino alla fine della pandemia, si rinunci a proteggere i diritti dei lavoratori palestinesi, schiavizzati dai loro colonizzatori per costruire l’economia dell’apartheid di Israele, compresi gli insediamenti illegali israeliani nelle terre che ci sono state rubate.
Dobbiamo unirci per costruire un mondo post-COVID19 che rispetti i diritti, le libertà e ponga le persone prima dei profitti.
Questo deve intrinsecamente includere la fine del dominio tirannico degli israeliani, un’occupazione che viola i diritti umani e le libertà fondamentali dei palestinesi.
Come azione immediata per combattere non solo la crisi sanitaria creata dalla pandemia, ma anche le sue ricadute economiche e sociali, la Land Defense Coalition, la Palestine New Federation of Trade Unions, la Palestinian Postal Services Workers Union and Human Rights Defenders chiedono maggiori pressioni sulle autorità dell’occupazione israeliana per proteggere i lavoratori palestinesi, alla pari di quelli israeliani, dando loro il diritto di rimanere al sicuro a casa senza tagliare il loro salario.
Lavoratori palestinesi “scaricati” ai posti di blocco militari israeliani
Migliaia di lavoratori palestinesi lasciano le loro case ogni giorno per lavorare per le multinazionali israeliane, anche negli insediamenti.
Si muovono dalla Cisgiordania occupata ai loro luoghi di lavoro attraverso i checkpoint estremamente sovraffollati, che sembrano più adatti al bestiame e che rendono impossibile adottare qualsiasi misura preventiva contro il Coronavirus, e affrontano le umiliazioni costanti, i maltrattamenti e salari bassi.
Sono costretti a vivere in questo modo a causa della povertà e dell’elevato
tasso di disoccupazione in Palestina.
Ora, con l’epidemia del nuovo coronavirus in crescita, la situazione peggiora ancora: questi lavoratori devono affrontare non solo la malattia, ma anche gli abusi e le perdite economiche.
Nelle ultime due settimane, si ripetono spesso scene di padroni e di autorità israeliane che abbandonano i lavoratori palestinesi malati sul ciglio della strada.
Il 23 marzo un lavoratore palestinese, sospettato di avere il coronavirus, è stato umiliato quando il suo datore di lavoro ha chiamato le autorità di occupazione israeliane per farlo prelevare e “scaricarlo” al posto di blocco militare di Beit Sira.
Secondo i testimoni, l’operaio debilitato è stato “lasciato morire” vicino il checkpoint.
È stato lasciato lì nel dolore, a malapena in grado di muoversi o di respirare, per tre ore fino all’arrivo di un’ambulanza della Mezzaluna Rossa.
La scena si è ripetuta ancora una volta: quando un altro padrone ha lasciato un lavoratore, che ha mostrato sintomi influenzali, fuori Salfit; un altro lavoratore è stato abbandonato a nord di Gerusalemme per non essere riuscito a fornire un “certificato” per dimostrare che non avesse contratto la malattia.
I lavoratori palestinesi in Israele devono affrontare condizioni di lavoro dure e disumane, con minime o zero tutele dei loro diritti.
Mentre il governo israeliano ha decretato un blocco, chiedendo agli israeliani di restare a casa, sono i lavoratori palestinesi che dovrebbero mantenerne l’economia.
Muhammad Al-Blaidi, segretario generale della Palestine New Federation of Trade Unions, spiega che «Nel pieno dell’epidemia di COVID-19, il governo israeliano ha elargito un sussidio di disoccupazione, grazie al quale possono ricevere un salario senza andare a lavorare, solo ai lavoratori israeliani, sebbene in teoria anche i lavoratori palestinesi avrebbero per legge il diritto di ottenere tale sovvenzione».
Le autorità israeliane hanno invece dichiarato che ai lavoratori palestinesi sarebbe stato permesso di rimanere al loro posto di lavoro e lontano da casa fino a due mesi durante questa crisi.
Non ci sono informazioni chiare su dove rimarrebbero e che tipo di protezioni riceverebbero, o se gli sia fornita assistenza medica in caso di malattia.
Eppure le centinaia di lavoratori che hanno iniziato a tornare alle loro case prima della fine del periodo di due mesi stabilito da Israele, sono rimasti colpiti da come i loro datori di lavoro israeliani abbiano sconfessato i loro obblighi di garantire misure adeguate per mitigare la precarietà della pandemia.
Secondo Muhammed Al-Blaidi, «I padroni israeliani non hanno fornito alcuna protezione ai palestinesi che lavorano durante la pandemia.
Attualmente i lavoratori palestinesi dormono in edifici sotterranei e in altri luoghi sovraffollati».
I lavoratori sono costretti a continuare a lavorare per i padroni israeliani perché, durante la crisi del COVID-19, i diritti, come il continuare a ricevere uno stipendio, non sono assolutamente presi in considerazione per loro.
Muhammad Al-Blaidi sottolinea che «Molti lavoratori palestinesi che lavorano negli insediamenti illegali israeliani non ricevono né un contributo per la pensione, né hanno ferie o giorni di malattia pagati.
Alcuni di loro sono pagati a ore, ma a cottimo».
In queste condizioni, smettere di lavorare significa non avere possibilità di provvedere al sostentamento della famiglia.
Mentre lo sfruttamento e la negligenza nella prevenzione del COVID-19 per i lavoratori palestinesi continua, sempre più lavoratori palestinesi sono contagiati dal virus quotidianamente.
Pochi giorni fa quindici operai palestinesi, che lavoravano in un pollaio nell’insediamento illegale di “Atarot”, sono risultati positivi al COVID-19.
Sette di questi lavoratori infetti sono tornati alle loro case nei loro villaggi, che sono Deir Al-Sudan, Shuqba, e Khirbet Al-Musbah e sono entrati in contatto con altre persone.
I maltrattamenti dei lavoratori palestinesi da parte delle autorità israeliane mettono in pericolo non solo la loro vita, ma anche quella delle loro famiglie.
L’aumento del numero di persone che contraggono il virus mette la loro vita e la vita degli altri in condizioni precarie mentre le strutture sanitarie per i palestinesi, a causa dell’occupazione di lunga durata, sono molto limitate.
Secondo la IV Convenzione di Ginevra Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di garantire al popolo palestinese, in quanto popolazione occupata, la necessaria assistenza sanitaria, compresa la protezione da pandemie come il COVID19.
Ciò nonostante Israele, paese noto fin dalla sua creazione nel 1948 per le pratiche discriminatorie e di apartheid contro la popolazione occupata, continua a calpestare i diritti fondamentali dei lavoratori palestinesi, i diritti dell’intero popolo palestinese e il diritto internazionale.
I lavoratori palestinesi devono restare a casa sani e lasciare che le loro famiglie muoiano di fame?
Mentre gli israeliani sfruttano il bisogno dei lavoratori palestinesi di un lavoro che non fornisce loro altro che pessime condizioni di lavoro, i palestinesi accettano tali condizioni addolorati dal fatto che per restare a casa dovrebbero privare i loro figli dei bisogni primari, come la sussistenza.
Il sistematico apartheid dell’occupazione israeliana e le pratiche coloniali degli occupanti sfruttano le risorse naturali palestinesi e hanno derubato centinaia di migliaia di loro della loro terra, che un tempo era una delle principali fonti di reddito.
I trattati economici tra l’Autorità Nazionale Palestinese/Palestinians National Authority e Israele, principalmente i protocolli di Parigi, hanno paralizzato l’economia palestinese a causa della forte dipendenza da quella israeliana.
La frammentazione dell’economia palestinese ha costretto centinaia di
migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi a cercare lavoro nelle aziende israeliane, anche negli insediamenti illegali, come lavoratori a basso salario senza che si rispettino i loro diritti umani fondamentali, come via di fuga dall’elevato tasso di disoccupazione nella Cisgiordania occupata, che è aumentato dopo la pandemia.
Il sostegno incondizionato degli Stati Uniti alle pratiche coloniali degli occupanti israeliani, incarnate nel cosiddetto “Deal of the Century”, ha dato a Israele il via libera per accelerare l’espansione degli insediamenti.
La Valle del Giordano, una fertile striscia di terra ricca di risorse naturali che basterebbero a risollevare l’economia palestinese, è il principale obiettivo di questo “piano di non pace” unilaterale.
L’annessione della Valle del Giordano arresterà la crescita dell’economia palestinese, spingendo un numero maggiore di palestinesi ad accettare di essere sfruttati come lavoratori salariati per sopravvivere al servizio dell’economia israeliana, e darà sostenibilità al regime di apartheid, allontanando il popolo palestinese ancora di più dal suo obiettivo di autodeterminazione.
Il “Deal of the Century” di Trump promette ai palestinesi un’economia prospera se rinunciano ai loro diritti fondamentali.
Tuttavia un’economia palestinese vitale potrà realizzarsi solo quando i palestinesi avranno recuperato le loro terre e le risorse naturali rubate da Israele per le colonie illegali e quando il legame economico forzoso con l’economia israeliana verrà completamente tagliato.
In questa situazione i lavoratori palestinesi non sono da biasimare per aver scelto di lavorare per datori di lavoro israeliani.
Tuttavia, poiché molti di loro hanno contratto il virus sul posto di lavoro, il loro i vicini e la maggior parte della collettività palestinese li trattano con più attenzione, se non con diffidenza, e sono state rivolte loro delle critiche.
In un video che è diventato virale sui social media, un lavoratore si lamentava di un negoziante che si rifiutava di far fare la spesa al figlio e lo rimandava a casa.
La situazione si è poi aggravata dopo che il 25 marzo si è registrata la prima vittima del coronavirus in Palestina.
Un’anziana donna del villaggio di Biddu è morta poco dopo aver mostrato i sintomi, aveva contratto il virus da suo figlio che lavora in un insediamento israeliano.
Sempre più persone contraggono il virus a Biddu e in altre aree della Cisgiordania occupata.
Nel frattempo, aumenta lo smarrimento dei lavoratori man mano che i loro mezzi di sussistenza vengono tagliati e sempre più persone li maltrattano.
I lavoratori mancano di sindacalizzazione e di protezione legale
Le attuali condizioni che i lavoratori palestinesi stanno incontrando non sono peggiorate a causa della diffusione di COVID-19, ma a causa dell’apartheid israeliano.
Le loro condizioni non sono mai state tollerabili, poiché lo sfruttamento sistematico dei lavoratori privi di diritti è un elemento chiave dell’apartheid e delle pratiche coloniali e permette a questi sistemi di sopravvivere e prosperare.
I datori di lavoro israeliani negano costantemente ai lavoratori palestinesi i loro diritti, anche se sono loro dovuti per legge.
Al-Blaidi aggiunge anche che «In alcune fabbriche israeliane i lavoratori palestinesi sono pagati con il salario minimo secondo la scala retributiva giordana, invece del salario minimo israeliano».
Imad Temiza, sostenitore dei diritti umani e rappresentante del Palestinian Postal Services Workers Union e di Human Rights Defenders, sostiene l’osservazione di Al-Blaidi, affermando che «In teoria, i lavoratori palestinesi hanno diritto agli stessi diritti di cui godono i lavoratori israeliani, come sancito dalla legge israeliana dal 1970.
Eppure, in pratica, ai lavoratori palestinesi sono negati tali diritti».
Parlando delle terribili condizioni di lavoro dei lavoratori, Temiza ha aggiunto che «I lavoratori palestinesi lavorano 18 ore al giorno con la paura di perdere il lavoro in qualsiasi momento.
Inoltre, i padroni israeliani non forniscono ai palestinesi che lavorano nell’edilizia misure di protezione laddove il numero di coloro che muoiono sul posto di lavoro è notoriamente in aumento».
Al-Blaidi ricorda che nel 2019, «Oltre 60 lavoratori palestinesi in Israele sono
morti sul lavoro a causa della mancanza di misure di protezione», sottolineando che ogni anno sono decine i lavoratori che muoiono.
I lavoratori palestinesi affrontano difficoltà estreme quando vogliono rivendicare i loro diritti o qualsiasi miglioramento delle loro condizioni di lavoro.
Temiza correla questo con il fatto che «I lavoratori palestinesi ignorano i loro diritti fondamentali. Il ruolo dei sindacati in Palestina o in Israele è limitato».
Al-Blaidi sostiene che i lavoratori palestinesi non sono consapevoli dei loro diritti, mentre «i sindacati dei lavoratori palestinesi – come il sindacato in cui opera – sono a corto dei mezzi finanziari attraverso i quali sensibilizzare i lavoratori sui loro diritti e assumere avvocati che ne tutelino i diritti presso i tribunali israeliani».
«Il ruolo della General Federation of Israeli Trade Unions (Histadrut), cui i lavoratori palestinesi sono tenuti a pagare le quote ogni mese – osserva Al-Blaidi – è debole e non fornisce alcuna protezione legale per i lavoratori palestinesi, specialmente al giorno d’oggi, nel mezzo del diffondersi della pandemia».
Infatti l’Histadrut, continua Al-Blaidi, «è parte del processo di colonizzazione israeliana, si è compromesso con le autorità di occupazione israeliane per violare i diritti dei lavoratori palestinesi».
Il trattamento dei lavoratori palestinesi come manodopera di seconda classe, che si è intensificato da quando si è diffusa la pandemia, ha mostrato quanto sia importante sostenere la sindacalizzazione dei lavoratori allo scopo di proteggere i loro diritti.
Note
(1) Intervista telefonica con Muhammed Al-Blaidi
(2) Intervista telefonica con Imad Temiza
(3) http://english.pnn.ps/2020/04/01/15-new-coronavirus-cases-bring-total-number-to-134-inpalestine/
(4) https://www.middleeasteye.net/news/coronavirus-palestinian-workers-israel-reneges-dealcontain-pandemic
(5) https://www.middleeasteye.net/news/coronavirus-palestine-west-bank-records-first-death-case
(6) https://www.middleeasteye.net/news/coronavirus-palestine-labourer-found-near-west-bankcheckpoint-covid19