Ci siamo seduti al tavolo della prefettura alle 16 di ieri pomeriggio, dopo due giorni di blocco, in piena zona rossa, con continue provocazioni dei padroni e della polizia e senza esserci mai riposati.
Ci attendevano, oltre al prefetto, i fratelli spreafico, il questore, i tre fornitori, la CGIL e perfino il sindaco di Dolzago.
Noi, in tre contro tutti loro, schierati come un plotone d’esecuzione con i fucili puntati contro la rappresentanza operaia.
Con i loro interventi volevano mettere in discussione tutte le nostre ragioni, la nostra lotta, la nostra dignità.
I loro fucili però sparavano a salve, le loro parole non potevano intaccare l’impatto dello sciopero che era ancora in corso, le loro certezze si sbriciolavano mentre si innervosivano per l’impatto economico e politico della ribellione ad un piccolo sistema costruito unicamente sullo sfruttamento dei lavoratori, pagati con salari da fame a fronte di infinite giornate lavorative e sotto il controllo di caporali violenti.
Pensavano di intimorirci e che avremmo ascoltato a testa bassa e zitti mentre ci raccontavano che siamo dei delinquenti e sprovveduti per ciò che facciamo.
Non potevano credere al fatto che, al contrario, eravamo ben consapevoli della forza di chi era ancora in quel momento in sciopero in 6 magazzini della filiera.
Dopo circa 8 ore abbiamo firmato l’accordo per il reintegro dei 110 con l’attivazione della rotazione della cassa integrazione su tutti e l’anticipo con l’integrazione a salario pieno.
Tra due settimane avremo un incontro con Spreafico per una trattativa nazionale per la filiera.
Davanti a chi sfrutta gli operai in un regime da caserma, come potremmo abbassare la testa?
Sarebbero loro a doverlo fare, davanti alla parte più sana di questa società: la classe operaia organizzata.
Le battaglie non finiscono con un accordo perché vanno consolidate nella pratica e devono trasformarsi in ossigeno per il cobas nel luogo di lavoro.
Intanto festeggiamo.
Forza S.I. Cobas.
Un lavoratore in lotta