Attaccano il salario
anche attraverso pensioni e welfare!
Un vergognoso teatrino vede protagonisti politici, economisti e sindacati rappresentativi (di chi e per chi?) seduti attorno al capezzale della quota 100 che aveva permesso (sia pur a costo di un assegno decurtato) l’anticipo della pensione
per migliaia di uomini e donne.
Riprendono nuovo vigore le politiche di austerità che da sempre sono l’unica costante nell’alternanza dei governi.
Alcuni parametri verranno sicuramente rivisti ma la sostanza è quella di sempre: contenere la spesa per il salario diretto, indiretto e differito.
Aumenteranno le tariffe e l’inflazione.
Le pensioni saranno calcolate con gli anni contributivi che comportano assegni da fame e ancora una volta per i bilanci che non tornano, verremo chiamati a nuovi sacrifici.
A partiti e sindacati di regime viene assegnato il compito di una “responsabile” opposizione!
Ma se attueranno mobilitazioni e scioperi che come sempre promettono ma non mantengono noi ci saremo.
Le quote 102, 103 e 104 servono al riallineamento nell’arco di un biennio alla Legge Fornero.
E’certo che dopo le restrizioni per il covid-19 vogliano imporci l’austerità per rilanciare i profitti a partire dalle pensioni.
Se da una parte dei commedianti c’è disponibilità a trattare sugli anni necessari all’uscita e sulla redditività riducendo contestualmente il Reddito di Cittadinanza, Welfare e Ammortizzatori Sociali, altri ritengono che l’età pensionabile può
essere innalzata (nonostante la riduzione della aspettativa di vita) pur di salvaguardare il Reddito di Cittadinanza che rappresenta il solo appiglio per una forza politica come i 5 Stelle.
In realtà pensioni, salari, Welfare e Reddito di Cittadinanza non sono in contrasto tra loro e dovrebbero essere strumenti a sostegno delle condizioni di vita dei lavoratori.
La difesa degli interessi immediati e storici di tutti i lavoratori attivi, in pensione o disoccupati dovrebbero essere il presupposto dell’azione sindacale
Il mercanteggiare sui nostri interessi, il mediare sconti su quale debba essere il grado di cedimento alle pretese padronali e governative sembra essere il solo orizzonte del sindacato concertativo.
Nella loro visuale scompare l’indipendenza della nostra classe che questi vogliono sempre più asservita alle esigenze della concorrenza tra padroni.
Alcuni esempi:
- Ipotesi di confermare per un anno l’opzione donna, per la quale servono 58 anni d’età e 35 di versamenti ma con un assegno interamente “contributivo” e quindi fortemente decurtato.
- Ampliamento dell’Ape Sociale. Ma nei termini anticipati ci sembra poca cosa, i soldi stanziati sono pochi, come pochi sono i lavoratori che svolgono attività gravose ed usuranti coinvolti.
Ci si muove in base ai pochi soldi previsti e già comunicati a Bruxelles all’interno della proposta di Bilancio.
Altro dovrebbe essere il compito di un sindacato di classe e cioè elaborare una piattaforma che parta dai bisogni di tutti i lavoratori specialmente da quelli più poveri.
Questi bisogni non possono essere subalterni agli interessi economici della
nazione, ossia agli interessi del padronato.
In definitiva il diritto alla pensione con 41 anni di contributi modulato con i gli scalini 102, 103, 104 sono solo tappe per un ritorno alla Fornero.
Per non patire l’ennesima beffa da una banda di commedianti non resta che la mobilitazione e la lotta.
28.10.2021
S.I. Cobas