Riceviamo e pubblichiamo dalle compagne del Comitato 23 settembre questo contributo, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):
Emigrare è un crimine.
Delitti e castighi per le donne, i minori non accompagnati e per tutti gli emigranti.
Andarsene da un paese dominato dalla crisi economica, dove i giovani laureati non trovano lavoro, dove l’occupazione femminile è ai minimi storici, dove il dissenso è punito con la repressione poliziesca, i processi farsa, le torture, dove le donne sono perennemente a rischio di violenza, è certamente un’idea criminale.
Come moltissimi coetanei marocchini, Hayat Belcachem di Tetuan, desiderava non tanto un futuro migliore, quanto semplicemente avere un futuro.
Un progetto minaccioso che è stato punito con la morte.
Imbarcata su una scialuppa spagnola, che non si è fermata all’alt della Reale Marina marocchina, Hayat è stata colpita a morte da uno dei tanti proiettili sparati per fermare gli emigranti.
Chi ce l’ha fatta ad arrivare in Spagna, probabilmente terrorizzato dall’esperienza, affronterà la nuova vita ancor più debole e vulnerabile, disposto ad accettare ogni cosa pur di sopravvivere.
L’Europa ringrazia.
Dopo l’insorgenza del 2011, la Tunisia è precipitata in una crisi economica profonda, aggravatasi negli ultimi anni.
Un numero crescente di Tunisini (tra essi molte donne e bambini, molti minori non accompagnati) ha cercato di raggiungere l’Italia. Il loro numero è triplicato nell’ultimo anno.
Scampati alle acque del Mediterraneo, approdano nella patria degli italiani “brava gente”.
Vengono prontamente rinchiusi in quelle fabbriche di disumanizzazione che sono i CPR.
Un report basato sui video inviati dai detenuti in questi centri e diffusi tramite gli attivisti per i diritti umani in Tunisia testimoniano di condizioni di vita schifose, cibo maleodorante, sporcizia, mancanza d’acqua e di carta igienica nei bagni, in baracche circondate da barriere metalliche e popolate da scarafaggi.
Condizioni certamente molto peggiori di quelle delle normali carceri.
Per alcuni, come per Wissem Abd el Latif, morto a 26 anni dopo essere stato legato al letto per giorni, nel CPR di Ponte Galeria, ciò equivale ad una sentenza definitiva. Per le donne, non manca un di più di angherie e umiliazioni.
Totale promiscuità, mancanza di riservatezza, bagni e docce senza porte, rischio di infezioni ogni volta che usano i gabinetti.
Le madri non sanno come proteggere le figlie, come difendere i bambini dalla fame, come cambiarsi mantenendo un minimo di dignità, come far fronte all’incombente violenza e ai ricatti che subiscono.
Un’ennesima conferma della “liberazione delle donne arabe e mussulmane”, un obiettivo proclamato ad ogni piè sospinto a giustificazione di ogni nefandezza in patria e delle imprese “umanitarie” in cui il governo italiano è impegnato.
L’uso dei social, i video che escono da questi luoghi, sono un mezzo di denuncia delle vergognose condizioni in cui vengono tenuti questi prigionieri, a volte per mesi o per anni.
Gli emigranti li usano come mezzo per testimoniare e svergognare i governi che parlano di diritti umani, accusando gli emigranti di essere degli “illegali che minacciano la pace della UE”.
Sono però anche un deterrente sapientemente usato dai governi stessi per scoraggiare le emigrazioni: ecco la punizione che vi aspetta, se vi mettete in viaggio.
E’ una tattica usata a livello internazionale, in Australia, ad esempio, per scoraggiare l’arrivo di curdi e iraniani, o negli Usa, dove i trasgressori vengono frustati e i bambini vengono separati dalle loro famiglie.
Non crederete certo che in Europa simili trattamenti siano prerogativa dell’Italietta o dell’ultrasovranista Polonia: essi sono abbondantemente emulati e superati dal governo francese, con cui il nostro ha appena siglato un ferreo patto d’azione (sarà un caso?).
A Calais, il punto più vicino da cui raggiungere la Gran Bretagna, ormai fuori dai vincoli e leggi dell’UE, si affollano migliaia di disperati, tra cui centinaia di minori non accompagnati, cercando una passaggio oltremanica, accampati nei boschi circostanti in tende o ricoveri di fortuna.
A giorni alterni la polizia sgombera e distrugge le loro tende, sequestra coperte e sacchi a pelo e li costringe a fuggire dagli accampamenti, dove regolarmente i fuggiaschi tentano di ritornare.
Queste continue operazioni lasciano gli emigranti in una condizione di allerta permanente ed esauriscono le loro forze fisiche e mentali.
Una caccia all’uomo vanamente contrastata dai volontari che portano loro beni di conforto.
Anch’essi sono sottoposti a continue multe, denunce ed arresti, con futili pretesti, non ultimo dei quali la violazione del coprifuoco a causa del Covid, e alla confisca dei miseri beni che offrono.
La distribuzione di cibo ed acqua sono vietati, vengono erette barriere per impedire ai soccorritori di raggiungere le persone in difficoltà.
Chi tentava di filmare i soprusi è stato minacciato e le donne sono state aggredite con insulti sessisti e razzisti.
Tutto viene messo in opera per rendere le condizioni di vita invivibili, ed esporre le persone in cerca di asilo al massimo possibile di vulnerabilità, che è totale nel caso dei minori non accompagnati.
Questa è la realtà, al di là dei provvedimenti a loro tutela che sembrano fatti apposta per non essere applicati.
Del resto, simili esperienze traumatiche hanno anche caratterizzato i percorsi migratori delle centinaia di migliaia di lavoratrici della cura così necessarie alle nostre famiglie.
E ancor peggio è capitato alle migliaia di ragazze africane o dell’Europa dell’est sequestrate e finite sui nostri marciapiedi.
E’ il sistema in cui viviamo che richiede la subordinazione, l’umiliazione permanente, l’asservimento delle donne e la loro riduzione in merce, come elemento fondamentale della sua sopravvivenza.
Lottiamo per la sua distruzione, passaggio necessario per la nostra sopravvivenza!
Comitato 23 settembre