DAL 5 NOVEMBRE A NAPOLI
ALLA DUE GIORNI DI LOTTA NAZIONALE DEL 2-3 DICEMBRE:
L’AUTUNNO OPERAIO E PROLETARIO È IN MARCIA!
Mentre fervono i preparativi per la mobilitazione del 5 novembre a Napoli in sostegno della vertenza dei disoccupati 7 Novembre e 167 Scampia, in questi giorni, parallelamente all’insediamento del nuovo governo Meloni, assistiamo ad alcuni importanti segnali di ripresa del conflitto.
La riuscita manifestazione di Bologna contro il passante dello scorso 22 ottobre, e l’occupazione della facoltà di scienze politiche alla Sapienza di Roma a seguito della brutale aggressione poliziesca del 25 ottobre, sono il sintomo di una rinnovata e diffusa volontà di protagonismo e di disponibilità alla lotta, al conflitto, alla piazza.
Certo, per chi come noi da sempre è “in trincea” a contrastare le politiche di macelleria sociale, gli attacchi ai salari, la repressione e criminalizzazione degli scioperi e delle lotte operaie, la gestione catastrofica della pandemia e, nell’ultimo anno, la guerra e le sue conseguenze in termini di caro-vita ed inflazione, è lecito chiedersi come mai negli scorsi anni, sotto i governi Conte e Draghi, la risposta delle piazze sia stata ben più limitata di quanto si sia visto in sole due settimane di governo a guida esplicitamente di destra…
Se la risposta a questo quesito è del tutto scontata, non è altrettanto scontato il “che fare?” di fronte ai nuovi scenari che ci si presentano davanti.
In quest’ottica, la sottolineatura che come SI Cobas abbiamo fatto nostra fin da tempi “non sospetti”, del carattere globale ed epocale della crisi capitalistica e della tendenza alla guerra, al militarismo (e quindi alla repressione) e all’attacco generalizzato alle condizioni di vita e di lavoro dei proletari quali fattori endemici e strutturali di questa crisi, assume tanto più oggi il carattere di discriminante, di vera e propria linea di confine tra chi intende porsi sul terreno degli interessi (immediati e futuri) dei lavoratori e dei proletari e chi, al contrario, dopo aver servito, avallato o accettato in silenzio decenni di spietate politiche antioperaie e filo padronali, oggi riesuma anche (e momentaneamente) la piazza solo per il tornaconto proprio, delle proprie istituzioni e di tutto il variegato carrozzone parlamentare, con i loro squallidi giochi di potere e la loro sempre più insostenibile “doppia morale” sedicente “antifascista”.
Da questo punto di vista, la giornata del 5 novembre rappresenta e sintetizza in maniera nitida la materialità di questa linea di confine.
In quel giorno sono state convocate due piazze.
La prima, a Napoli, è stata lanciata da quasi due mesi a sostegno della lotta del movimento dei disoccupati, il quale da anni è sotto attacco della repressione e che negli ultimi mesi è impegnato in una dura e difficile battaglia per chiudere la vertenza e garantire, finalmente, un salario e una vita dignitosa a centinaia di famiglie: una mobilitazione che ha ricevuto fin dal primo momento il sostegno del SI Cobas, degli operai Gkn, degli attivisti di Friday for Future, delle reti contro il caro-vita e il caro bollette, dei movimenti per il diritto all’abitare e di tante realtà dell’opposizione sociale e di classe diffuse sui territori, la cui piattaforma ha fin dall’inizio fatto proprio il tema del no alla guerra e all’economia di guerra.
La seconda, convocata per lo stesso giorno in fretta e furia a Roma (e solo all’indomani dell’insediamento della destra al governo…) dall’affastellato mondo delle associazioni e del “terzo settore” gravitante per lo più nell’orbita del PD, della Cgil e della sinistra di stato, chiamerà a scendere in piazza “per la pace” e il “cessate il fuoco subito”, sulla base di un appello che evita, volutamente, anche solo di menzionare il fatto che il governo italiano, fin dal mese di febbraio, è uno dei più accaniti e ferventi sostenitori dell’invio di armi sul territorio ucraino e che, quindi, sta operando in maniera chiara ed esplicita per la guerra e non certo per la pace.
Dunque dovrebbe essere chiaro a tutti che non ci troviamo di fronte a due manifestazioni che, da angolature e con accenti diversi, si prefiggono lo stesso obbiettivo, bensì, al contrario, a due piazze con caratteristiche e connotati tra loro inconciliabili, se non del tutto antagonisti: da un lato, a Napoli, la voce degli sfruttati, degli oppressi e degli esclusi dalle politiche di macelleria sociale operate e pianificate negli ultimi decenni da governi nazionali e sovranazionali della borghesia che, in Italia, hanno assunto prevalentemente una colorazione di centrosinistra o “tecnica”; dall’altra, a Roma, una piazza dall’apparenza “mista ed includente”, ma in realtà funzionale a mettere sullo stesso carro vittime e carnefici (in Ucraina e in Russia così come in Italia e in Europa), sfruttati e sfruttatori, “popolo della pace” e partiti guerrafondai.
Per quanto ci riguarda, non esitiamo neanche un secondo ad affermare, in maniera chiara e senza ambiguità, che il 5 novembre la piazza dei lavoratori, dei disoccupati e di tutti coloro che intendono opporsi alla guerra, al caro-vita e ai salari da fame, è quella di Napoli, e per questo il 5 novembre noi saremo a Napoli.
OLTRE IL 5 NOVEMBRE, PER PROSEGUIRE LA LOTTA:
IL 2 DICEMBRE SCIOPERO GENERALE E IL 3 TUTTI A ROMA!
Se è vero che il nuovo governo reazionario di Giorgia Meloni su molti temi fondamentali (atlantismo e fedeltà alla Nato, attacco ai salari e alla spesa sociale, criminalizzazione delle lotte) si sta già dimostrando in perfetta continuità con i suoi predecessori, sarebbe sbagliato e superficiale ignorare il vero e proprio “salto di qualità” che la coalizione uscita vincente dalle urne intende imprimere all’offensiva antioperaia e antiproletaria:
l’attacco al (misero) reddito di cittadinanza, che ha garantito le fortune elettorali della destra presso i settori della piccola e media borghesia reazionaria e schiavista, rappresenta solo la punta dell’iceberg di una vera e propria dichiarazione di guerra ai proletari, la quale, in assenza di un’opposizione di classe che sia all’altezza del terreno di scontro, sarà solo l’antipasto di un attacco generalizzato ai salari e ai residui vincoli imposti dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) e porterà a una ulteriore precarizzazione, nei fatti alla legalizzazione dei salari da fame a 4-5 euro l’ora.
In maniera analoga, le mai sopite nostalgie fasciste della neopremier e del suo partito, con lo sdoganamento del motto “Dio, patria e famiglia”, preludono da un lato a un chiaro tentativo di tornare all’assalto del diritto all’aborto, alla libertà di orientamento sessuale e alle conquiste civili e sociali frutto del ciclo di lotte degli anni ’60-’70, dall’altro a una nuova offensiva razzista e “sovranista” contro i proletari immigrati, tesa ad inasprire ulteriormente i dispositivi repressivi contenuti nei decreti Minniti e Salvini e complicare ulteriormente l’accesso dei lavoratori immigrati alla cittadinanza, ai servizi sociali e alla parità di condizioni dal punto di vista lavorativo e salariale: una strategia che, come nel caso dei precedenti “decreti sicurezza”, si serve della propaganda razzista sugli sbarchi di clandestini e sulla retorica securitaria della “lotta alla criminalità”, ma nella realtà si prefigge l’obbiettivo di garantire a padroni e padroncini una massa di schiavi da poter utilizzare e sfruttare a proprio piacimento (nelle campagne ma non solo) in quanto “illegali” e privi del benché minimo diritto, e soprattutto da poter reprimere senza problemi qualora “osino” alzare la testa.
Ciò con buona pace di tutti gli utili idioti che “da sinistra”, hanno in questi mesi soffiato sul fuoco del sovranismo, finendo per fare da stampella agli interessi e alle pulsioni più reazionarie provenienti dai settori della piccola e media borghesia…
D’altro canto, anche sul tema della repressione delle lotte, il nuovo esecutivo potrà sicuramente contare sul “modello” dei suoi predecessori. L’opera di criminalizzazione sistematica degli scioperi e dei picchetti condotta in questi anni contro il SI Cobas, che ogni giorno si arricchisce di nuovi teoremi e fascicoli d’indagine (vedi, in ultimo, il maxiprocesso per le lotte in Italpizza e l’impugnazione dai PM di Piacenza del provvedimento di revoca degli obblighi di firma a carico di Arafat e Carlo Pallavicini sulla base di un chiaro ed esplicito tentativo di mettere fuorilegge gli scioperi e l’intera attività di un sindacato conflittuale) sono fatti più eloquenti di ogni parola…
Se questo è il quadro che ci si presenta di fronte, è evidente come l’intero fronte dei proletari combattivi e l’intero panorama (sindacale, sociale e politico) dell’opposizione di classe non possa permettersi il lusso di marciare in ordine sparso.
Nelle scorse settimane, e nella stessa assemblea nazionale del 18 settembre a Bologna, come SI Cobas abbiamo più volte espresso le nostre riserve, di merito e di metodo, rispetto alla scelta compiuta dal resto del sindacalismo di base di rinviare lo sciopero generale a inizio dicembre, ritenendo che la precipitazione degli avvenimenti legati alla guerra e al caro-vita necessitassero di una risposta immediata e indipendente dai tempi delle liturgie elettorali e istituzionali borghesi. Ciononostante, per spirito unitario e per evitare una nuova ed incomprensibile faida intestina al sindacalismo di base, ci siamo adeguati all’orientamento maggioritario favorevole a un rinvio dello sciopero ad autunno inoltrato, e abbiamo puntato a “riscaldare l’autunno” con un nostro investimento sulle date del 22 ottobre a Bologna e del 5 novembre a Napoli, come passaggi di fatto propedeutici allo sciopero generale del 2 dicembre e a una manifestazione nazionale a Roma per il giorno successivo.
“Memori” delle non certo felici esperienze passate, in queste settimane abbiamo proseguito l’interlocuzione col resto del sindacalismo di base liberi dall’illusione di poter raggiungere un’unanimità sulla gestione dello sciopero e sull’adesione alla manifestazione del 3 a Roma, consapevoli che sotto l’ombrello comune dell’indizione dello sciopero convivono orientamenti e opzioni sindacali e politiche estremamente eterogenee e in alcuni casi nettamente difformi dalla nostra concezione di sindacato di classe, di lotta e fortemente orientato in termini anticapitalisti.
Non a caso, la nostra proposta di costruzione di una manifestazione nazionale il 3 dicembre è stata fin dall’inizio avversata soprattutto dalle sigle minori e/o con una presenza puramente di categoria o territoriale, le quali nelle numerose riunioni e negli stessi momenti di confronto pubblico proponevano, in alternativa, la costruzione di una manifestazione nazionale il 2 dicembre, cioè il giorno stesso dello sciopero: un’ipotesi da noi rigettata con motivazioni tutt’altro che pretestuose, bensì sulla base del fatto che, da sempre, i lavoratori, e soprattutto gli operai del comparto privato, il giorno dello sciopero sono in larghissima parte intenti a presidiare fabbriche e magazzini, dunque non hanno il dono dell’ubiquità per poter essere anche in piazza a centinaia di chilometri di distanza…
Nei giorni scorsi, le necessità e le criticità da noi evidenziate hanno finalmente fatto breccia in settori consistenti delle principali sigle promotrici dello sciopero (su tutti Usb, ma anche, con accenti diversi, Sgb e parte della Cub) le quali hanno preso atto dell’impossibilità oggettiva di mettere in piedi una manifestazione nazionale nel giorno dello sciopero e si sono dichiarati disponibili a costruire una piazza comune per sabato 3 dicembre.
A nostro avviso si tratta di un fatto positivo e di grande importanza: sia perché la confluenza sul 3 dicembre evita la dispersione e la divisione delle piazze, sia perché permette di fare si che lo stesso sciopero generale del 2 dicembre sia percepito realmente come parte integrante di un più ampio e diffuso movimento di opposizione al governo, alla guerra e al caro-vita: che, in sostanza, non parli solo al sindacalismo di base, ma all’insieme dei proletari, dei disoccupati, degli studenti e delle soggettività che intendono dar vita a una vera opposizione di classe a partire dalle lotte e dal conflitto, e che non intendono delegarla né alle anguste e maleodoranti aule parlamentari, né tantomeno alle inutili parate dei bonzi di Cgil-Cisl-Uil e dei loro “soci in affari”.
La manifestazione nazionale del 3 dicembre, quindi, può e deve coniugare il bisogno di una confluenza di piazza larga e unitaria, con una chiara ed inequivoca caratterizzazione conflittuale e di classe.
In quest’ottica, il mese di novembre non passerà certo invano, ed è già fitto di date e scadenze di mobilitazione, che come SI Cobas consideriamo parte integrante del percorso di costruzione dello sciopero del 2 e della manifestazione del 3: non solo il già citato corteo di Napoli del 5 novembre, ma anche la mobilitazione dell’8 fuori al tribunale di Bologna per respingere il nuovo tentativo di criminalizzazione delle lotte dei lavoratori e la mobilitazione nazionale, altrettanto importante, indetta dagli studenti il prossimo 18 novembre.
Al lavoro, alla lotta!
SI Cobas nazionale