Era il novembre 2018 quando avveniva la prima aggressione a colpi di mazze e coltelli a degli operai “colpevoli” di aver sciopero nel distretto contro lo sfruttamento.
Sono dovuti passare quasi cinque anni e una lunga serie di altre aggressioni tutt’oggi rimaste impunite – su tutte quelle alla Gruccia Creations e alla #Texprint – per vedere per la prima volta qualche conseguenza nei confronti di imprenditori che hanno deciso di rispondere alle rivendicazioni dei diritti con le bastonate.
Un’impunità degli aggressori alimentata e coperta molto spesso dalla criminalizzazione degli scioperi con con cui a Prato si è costretti a rivendicare una giornata di otto ore e diritti basilari.
Qualcosa sta cambiando?
Sarebbe l’ora.
Lo diremo quando la stessa risposta verrà data anche nei confronti degli aggressori e sfruttatori della Texprint, a partire dai titolari immortalati nei video a colpire con mattoni e cazzotti gli operai in sciopero.
Colpire un “pesce piccolo” non diventi lo specchietto per le allodole per distrarre dall’impunità dei “pesci grandi”.
Tante denunce per sfruttamento continuano a cadere nel vuoto, mentre le stesse parole dei lavoratori vengono messe in discussione ed il sindacato accusato continuamente di “strumentalizzazione”.
Nel caso della #Dreamland il clamore mediatico nazionale evidentemente ha reso impossibile per la Procura rimanere immobile.
Ma per il resto la Procura ci sembra molto più impegnata ad incriminare con accuse infondate chi rivendica diritti e dignità.
S.I. Cobas Prato e Firenze
LA VOCE DEI LAVORATORI SFRUTTATI
DEL “MADE IN ITALY”
su Il Fatto Quotidiano
In occasione di questa edizione di Pitti Filati, il consorzio Feel the Yarn ha lanciato il concorso #FeelThePeople, per promuovere la responsabilità sociale nelle filiere di produzione.
Ma del consorzio fanno parte proprio Filpucci, Pinori Filati, Lanificio dell’Olivo SpA, Millefili, Industria Italiana Filati Spa: per produrre i loro filati, questi operai hanno fatto turni di 12 ore per 7 giorni la settimana, hanno lavorato a nero e senza i più elementari diritti come la malattia o le ferie.
Sono infatti tutte aziende committenti della Ritorcitura Duemila e/o della Gh, dove da mesi sono aperte vertenze per rivendicare contratti da 8 ore per 5 giorni la settimana.
Sappiamo che chi compra il MADE IN ITALY pensa che sia diverso dal MADE IN PAKISTAN, IN CHINA, IN BANGLADESH… che sia sinonimo di diritti ed etica del lavoro.
Ma a Prato, a 15 minuti dal salone di Pitti Immagine, migliaia di lavoratori pakistani, bengalesi, cinesi, africani, lavorano nelle stesse condizioni di sfruttamento di chi produce filati nel “terzo mondo”.
Cosa vuol dire allora MADE IN ITALY, se questi grandi brand dei filati si disinteressano delle condizioni di lavoro nelle loro filiere, appaltando le lavorazioni a piccole aziende – veri e propri sweatshop – in cui vengono sfruttati?
Se davvero l’obiettivo è FEEL THE PEOPLE, queste aziende devono immediatamente intervenire per la regolarizzazione dei loro terzisti e dei lavoratori che producono i loro filati, e quindi di rispettare davvero i loro “Codici etici”, facendo sì che non siano solo carta straccia.
Grazie a Pietro Barabino per il servizio:
https://www.facebook.com/SiCobasFirenze/videos/1916812692009882
28 gennaio
S.I. Cobas Prato e Firenze