La nostra terra d’altronde è una vera e propria discarica delle contraddizioni del capitalismo.
Nei nostri quartieri popolari abbiamo una composizione sociale femminile che di rado riesce a completare gli studi, per esempio conseguire un diploma.
Sin dalla nascita viene inculcato attraverso forme di comunicazione dirette e indirette “dalle nostre avanzate istituzioni statali”, soprattutto le scuole, che a causa di una non elevata estrazione sociale, l’unica capacità e talento che una donna di un quartiere popolare può avere a disposizione, sia quello di essere una buona madre.
Fidanzarsi e partorire, è l’unica aspirazione di tante ragazze che abbandonano precocemente gli studi perchè convinte che la vita non riservi altro.
Crescere almeno 4 figli in una fase successiva diventa un’abitudine, un’abitudine che degenera in un meccanismo perverso fatto di esaurimenti, malattie auto-immuni e nel peggiore dei casi cancri che danno il colpo finale a un corpo non più capace di gestire i contraccolpi e le ingiustizie di un sistema assassino.
Inutile ripetere come la disoccupazione sia uno dei problemi principali della nostra città e immaginabili sono quei casi in cui si presenta un’opportunità lavorativa e pur di dare mangiare ai propri figli, madri di famiglia sono disposte ad accettare qualunque condizione.
Lavori non pagati, o precari, dalle prestazione ambigue in cui le avances fastidiose o vere e proprie molestie come una pacca nel di dietro da parte del datore di lavoro o delle clientele importanti del settore in cui si esercita la propria mansione, finiscono per essere accettate come un fatto naturale dovuto al proprio essere donna, pur di prendere quella minima paga (250 euro mensili se si lavora in una ditta di pulizie o come badante, 400 euro mensili se servie ai tavoli, o 15, 20 euro a serata con di 8 ore lavori in un locale della movida messinese) con cui a stento si riesce a fare un pò di spesa.
Queste fatiche e travagli (non a caso in Sicilia usiamo il termine travagghiare), vengono fatte in totale solitudine molto spesso in assenza o con l’avversione delle istituzioni.
I servizi sociali infatti criminalizzano la povertà attraverso vessazioni e ricatti come la minaccia di chiudere i figli in case famiglia.
Non meraviglia il fatto che quasi nessuna donna osa chiedere alcun aiuto.
Ben diverso per i padri sui quali le condizioni disumane di lavoro provocano una catena di effetti degeneranti e distruttivi come alcolismo, dipendenza dai giochi d’azzardo, considerati come varco verso il guadagno di quello stipendio che dovrebbe garantire un normale lavoro legale, ricorso a rapine e spaccio di droga, atteggiamenti parassitari nei confronti della propria compagna costretta a occuparsi delle faccende domestiche e del mantenimento dell’intera famiglia, violenza domestica, abbandono.
Né ci sentiamo di esimere questi stessi centri borghesi da diffusi e radicati casi di sudditanza femminile verso il proprio partner-marito, o dal radicamento di credenze patriarcali in cui vivere in un nido d’amore speciale, protette dalle attenzioni del proprio compagno e circondate dai propri bambini da crescere secondo una sofisticata e distinta educazione, sia purtroppo considerata anche tra donne dotate di livelli di istruzione elevata,massima espressione di realizzazione personale.
Note consigliere comunali nella nostra città rappresentano pienamente queste caratteristiche, e proprio in questo momento nel bel mezzo della campagna elettorale per le amministrative, figure femminili del genere sono considerate purtroppo nell’ambiente messinese anche da alcune componenti di movimenti di genere, come “Non una di meno”, il simbolo del femminismo, “donne in carriera forti e cazzute”.
Inutile ribadire come le quote non siano affatto garanzia di autodeterminazione.
La soluzione della denuncia penale del proprio carnefice, molto spesso proposta dai centri anti-violenza, si scontra col rifiuto di molte donne che subiscono violenza e una superficiale analisi delle cause di questo rifiuto, porta spesso a giudizi affrettati, non di rado pesantemente classisti, all’interno di questo genere di femminismo, o ad appelli pericolosi come ai trattamenti sanitari obbligatori nei confronti della vittima, cosa accaduta di recente nella nostra citta.
Le vertenze, i picchetti, le occupazioni abitative, la solidarietà concreta e l’appoggio incondizionato alle battaglie contro ogni forma di discriminazione, la lotta radicale al razzismo, all’islamofobia, all’ immaginario dominante neocoloniale che spinge ad esempio tante pseudo-femministe a considerare con arroganza una donna musulmana con l’hijab una vittima da liberare, sono tutti mezzi volti alla costruzione di un fronte femminista meticcio in cui ogni donna possa intraprendere un proprio percorso di autodeterminazione e di riscatto.