Un’assemblea molto riuscita, quella di sabato 13 a Mestre in preparazione del corteo nazionale del 27 ottobre convocato dal SI Cobas a Roma.
Molto riuscita per la partecipazione (circa 70 presenti), per la sua composizione (un folto gruppo di giovani, un gruppo ancora più folto di proletari e di salariate/i del pubblico impiego), per l’intensità dei lavori dall’inizio alla fine, per il comune sentire di voler rispondere unitariamente al governo Lega-Cinquestelle, alle sue aggressioni contro gli immigrati e al suo complessivo disegno anti-operaio e anti-popolare (altro che “governo del popolo”!).
La relazione di apertura del Comitato permanente contro le guerre e il razzismo è partita dalla denuncia della rapina neo-coloniale in atto ai danni dell’Africa e delle sue masse sfruttate, che è la principale causa dei grandi movimenti migratori in corso, dentro l’Africa e dall’Africa verso l’esterno.
Una rapina nella quale l’Italia è in prima linea in Libia, in Tunisia, in Nigeria, in Niger, nel Corno d’Africa, e agisce da spalla degli Stati Uniti e della NATO nella contesa, sempre più armata, in atto tra i vecchi e i nuovi predoni colonialisti per spartirsi le risorse naturali, i mercati e la forza-lavoro dei paesi arabi e di quelli sub-sahariani.
La guerra agli emigranti dichiarata dall’Italia e dall’Unione europea, in questo strettamente unite, è un aspetto del nuovo assalto imperialista all’Africa, e ha come obiettivo non la chiusura totale delle frontiere, ma la selezione degli emigranti (uomini e donne) attuata con i metodi più spietati, per farli arrivare qui “spezzati” dentro e costringerli a subìre ogni tipo di vessazione e il super-sfruttamento che li aspetta.
Si tratta di un nuovo traffico degli schiavi, nel quale i grandi trafficanti sono gli stati europei, Italia in testa. È stato poi illustrato punto per punto il decreto-Salvini, riprendendo il contenuto della presa di posizione pubblicata qui.
Il decreto-Salvini è l’altra faccia di questa nuova aggressione alle masse lavoratrici africane, e anche qualcosa in più, perché unisce all’attacco ai richiedenti asilo quello all’insieme dei proletari immigrati, e al contempo mette nel mirino le lotte per la casa e le lotte dei facchini della logistica attraverso la reintroduzione del reato di blocco stradale con tanto di pene severissime per questo reato e per l’occupazione di stabili sfitti – per non parlare dell’estensione dei daspo.
Da qui la necessità urgente di rispondere alla politica razzista e repressiva del governo in carica con la mobilitazione unitaria di lavoratori immigrati e autoctoni e dei movimenti di lotta, dando forza alla mobilitazione per il 27 ottobre a Roma per la costituzione di un fronte unico antirazzista, anticapitalista, internazionalista.
Perché esaspera le contraddizioni di classe, e non si limita a colpire la sola massa dei proletari ma sta togliendo il terreno sotto i piedi anche a una larga sezione delle classi medie.
Per ora, l’attivismo politico è maggiore tra gli appartenenti alle classi medie, da qui anche i fenomeni di cosiddetto “populismo”, e la nascita di un governo come quello Salvini-Di Maio.
Ma proprio l’esperienza delle lotte nella logistica mette in luce che anche il proletariato sta cominciando a reagire e ha la forza per farlo.
Si deve prendere atto, però, che la composizione del proletariato è cambiata; e che saranno con ogni probabilità i proletari immigrati a svolgere un ruolo di avanguardia, come sono stati loro in questi anni a riprendere una linea sindacale di rivendicazioni improntate all’egualitarismo che fu propria delle più avanzate lotte operaie degli anni ’60.
Sulla base di una decennale esperienza di lotta, contro cui si sono infrante finora la repressione statale e le provocazioni padronali, il SI Cobas ha preso, prima il 24 febbraio scorso, ora il 26 e 27 ottobre, l’iniziativa di invitare alla lotta indipendente da ogni sirena istituzionale borghese, gli organismi del sindacalismo di base e i collettivi politici che avvertono la necessità di una risposta politica generale, capace di esprimere una strategia di scontro con il capitalismo in quanto tale.
Ribellarsi, organizzarsi, migliorare le condizioni di lavoro, affermare la propria dignità, respingere le aggressioni anche mafiose frequenti nella logistica, si può: ma solo con la lotta, con la solidarietà attiva tra i magazzini e tra le diverse città, tra lavoratori e compagni disposti a sostenere i lavoratori in lotta.
La lotta trasforma chi ne è coinvolto.
Il grande movimento di scioperi della logistica è servito anche a far cadere le barriere e le ostilità tra le diverse nazionalità dei facchini e degli autisti, e a comunicare anche ai pochi proletari italiani presenti nei magazzini l’importanza di unirsi come massa lavoratrice al di là delle nazionalità e del colore della pelle.
L’esperienza delle lotte nella logistica ha fatto anche toccare con mano che nel capitalismo nessun miglioramento materiale è definitivo: puoi ottenere pure un raddoppio del salario (è accaduto), ma poi quel magazzino o quella cooperativa può chiudere e i miglioramenti ottenuti svaniscono in un attimo.
Da qui l’importanza della conquista della clausola sociale che garantisce la conservazione del lavoro ai frequentissimi cambi di appalto, ma anche e soprattutto la necessità di andare oltre la lotta salariale (i 50 o i 200 euro in più), oltre le rivendicazioni immediate, per affrontare le grandi questioni, le grandi contraddizioni del capitalismo che mettono sempre più in pericolo i diritti sia dei lavoratori immigrati che degli autoctoni, e oltre i diritti, il futuro stesso dell’umanità lavoratrice.
Gli interventi di due compagne della scuola e della sanità hanno denunciato i tagli alla “spesa sociale”, l’aziendalizzazione e il progressivo smantellamento delle strutture del welfare, che il cosiddetto governo “del cambiamento” ha tutta l’intenzione di proseguire sulla scia dei precedenti governi neo-liberisti.
Un compagno dell’Assemblea antifascista bassanese si è concentrato sui morti sul lavoro, o meglio: assassinii sul lavoro, come segno del carattere sempre più distruttivo del modo di produzione capitalistico.
Alla folle brama di profitti dei padroni che non fa distinzioni di “razza” né di nazionalità, si può e si deve rispondere con la lotta contro lo sfruttamento e assumendo come rivendicazione-base la drastica riduzione della intensità e della durata della giornata lavorativa (come si legge sul foglio “Voci operaie”).
Da due autisti, uno dei quali ex-iscritto alla Cgil, è venuta la denuncia della sistematica violazione dei contratti di lavoro e della svendita dei bisogni e delle aspettative operaie operata dalle burocrazie sindacali, e l’appello a un’azione congiunta del sindacalismo di base.
Tutti gli interventi hanno visto nello sciopero del 26 ottobre e nel corteo del 27 ottobre a Roma un’importante risposta all’attacco governativo e padronale, che ha e avrà un’eco anche in Veneto.
Nel corso del dibattito è emersa in modo naturale anche la domanda: c’è un partito dei lavoratori? e se non c’è, in effetti non c’è, come e quando rinascerà?
Il SI Cobas non immagina di essere il nucleo del sindacato di classe che si deve diffondere a raggiera, ma rivendica con orgoglio il suo impegno di lotta come un contributo all’auto-organizzazione dei lavoratori in generale, allo sviluppo di istanze politiche dentro la classe e anche alla maturazione delle condizioni che vedano finalmente la classe lavoratrice tornare ad agire per sé stessa, e a porsi un programma di scontro con il capitalismo.
E non ci si deve stancare di illustrare questa elementare verità anzitutto ai lavoratori italiani ricorrendo alla montagna di fatti concreti che la convalidano, affilando la critica di classe del razzismo di stato, che questo governo – più di ogni altro precedente – ha posto come perno della propria azione e ribadito anche sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”.
Al di là della demagogia e di piccole concessioni, l’attacco padronale/ governativo in corso non è circoscritto a questa o quella questione; merita perciò una risposta generale, che cominci a concentrare e centralizzare le forze di classe oggi disperse in un fronte unico proletario nettamente marcato in senso anti-capitalista e internazionalista.
Alla proposta suggestiva e pericolosa di un nazionalismo “populista” quale è quella fasciostellata, alla squallida rincorsa a destra del cosiddetto sovranismo “di sinistra”, bisogna contrapporre una prospettiva politica internazionalista, tessendo rapporti di solidarietà e di unità nella lotta con le forze che alla scala internazionale si orientano in questa stessa direzione – come si è cominciato a fare con l’assemblea del 23 settembre a Bologna, che va considerata un punto di svolta.
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