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Ancora una volta accanto a Joy

Ancora una volta accanto a Joy . La questione dei CIE, dell’esistenza di nuovi “lager della democrazia”, non è una questione a sé stante nel pozzo senza fondo dei soprusi e della repressione che da sempre si abbatte sui proletari, tanto più in periodi di conclamata crisi economico-sociale e, con attenzione tutta particolare, verso coloro che osano ancora alzare la testa.

Questo spiega, in sintesi, la storia di Joy, portata ad affrontare, martedì 8 giugno, il cosiddetto “incidente probatorio” per la tentata violenza sessuale, dove il giudice deciderà se mandare a processo il suo aguzzino, (in questo caso l’ispettore capo del CIE di Milano, Vittorio Addesso) oppure trasformare il carnefice in vittima, e mandare lei a processo per calunnia.

Una storia, o meglio un’odissea:

– in Nigeria nella tristemente famosa “tratta” che violenta l’esistenza di decine di migliaia di giovani donne;

– in un CIE in quanto ribelle a quello stesso meccanismo della “tratta”;

– in carcere a S.Vittore e a Como in quanto ribelle alla pretesa di “gratuite prestazioni” cioè violenza sessuale del capo-secondini del CIE di Milano e solidale con la rivolta che, nell’agosto del 2009, aveva chiaramente rispedito al mittente il pacchetto sicurezza di Maroni;

– infine nuovamente in un CIE, in attesa di un’espulsione che per lei significherebbe, con tutta probabilità, una condanna a morte da parte dei suoi connazionali che la vogliono prostituta – questione che le istituzioni italiane ben conoscono e sostengono di soppiatto.

Il prezzo da pagare al banco dei soprusi non ha limiti di rilancio. Così come la volontà di combattere e la dignità di Joy. Non siamo certo animati/e da giustizialismo e voglia di carcere per chicchessia; tanto meno abbiamo mai pensato che i Tribunali possono offrire una qualche speranza di riscatto per gli oppressi.

Anzi, al contrario, li consideriamo un tassello essenziale del dominio di classe.

Ma allora perchè ostinarsi a presenziare il rito delle condanne che fanno seguito alle rivolte?

La risposta la troviamo nella situazione che si è sviluppata nei CIE, dove la lotta è ormai un dato stabile e acquisito, dove scioperi della fame, fughe, rivolte, opposizioni vincenti alle deportazioni, rappresentano ormai la quotidianità.

Una situazione che nelle mani dello Stato si fa sempre più ingestibile, tanto da portare il ministro Maroni a pianificare una soluzione finale al problema delle espulsioni:

– blocco dell’immigrazione nei paesi di origine

– costruzione di nuovi CIE vicino agli aereoporti

– prolungamento della detenzione a 18 mesi

– progressivo passaggio di gestione dei CIE alla Frontex, agenzia privata a cui l’Unione Europea già da tempo appalta il controllo delle frontiere e le deportazioni coatte verso i paesi di origine

Insomma da Centri di identificazione ed espulsione a Centri di espulsione. Da lager a super-lager.

CIE e Tribunali non sono altro, dunque, che teatri di una guerra più generale che viene condotta contro i proletari del mondo. E le donne sono, come sempre, il bottino di guerra.

Un teatro di guerra che si estende e che ha come obiettivo quello di spingere le sue vittime predestinate alla rassegnazione, all’isolamento e, come orizzonte massimo, alla richiesta di pace e clemenza rivolta ai propri carnefici. Con la minaccia, per chi non si sottomette, di un allontanamento definitivo (e forzato) dal campo del conflitto: soluzione finale, espulsione.

Un teatro di guerra che Joy, insieme a tante e tanti come lei, dalle cooperative, dagli operai in lotta agli occupanti di case, ai rom di Triboniano, alle prese con un’altra soluzione finale, ci insegnano ad affrontare apertamente piuttosto che a cercare utopistiche vie di fuga o appellarsi alla clemenza e alla “giustizia” del nemico.

E soprattutto ci insegnano che l’esito di questa battaglia è ancora tutto da scrivere.

 

MARTEDI’ 8 GIUGNO 2010 ORE 14,30

PRESIDIO SOTTO IL TRIBUNALE DI MILANO

CONTRO CIE E DEPORTAZIONI, A FIANCO DI JOY ED HELLEN

4 giugno 2010 – Comitato Antirazzista Milanese