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Lo Slai Cobas nega ai lavoratori il diritto di cambiare sindacato

Non avremmo voluto intervenire ancora sullo Slai Cobas, ma ci siamo costretti da atti e scelte che sono peggiori di quelle dei sindacati istituzionali e concertativi, segno di un’involuzione di questa organizzazione in senso sempre più contrario e contrapposto alla democrazia dei e tra i lavoratori, alla scelte e alle logiche dell’autorganizzazione.

Come abbiamo già pubblicato, qualche mese fa la maggioranza dei lavoratori iscritti allo Slai Cobas di Campobasso e di Chieti ha lasciato lo Slai e si è iscritta al S.I. Cobas.

I lavoratori della Cooperativa CFT di San Salvo (CH) sono passati in blocco al SI Cobas.

Lo Slai Cobas aveva sempre fatto del diritto del lavoratore a cambiare sindacato senza dover continuare a pagare fino a fine anno le quote associative al sindacato abbandonato.

Questa posizione fa ancora formalmente parte del suo patrimonio, infatti nel suo statuto all’art. 5) – TESSERAMENTO E CONTRIBUTI, scrive: “La disdetta del lavoratore ha effetto dal mese successivo a quello in cui perviene all’Associazione.”

E, ancora, nel modulo che fa firmare ai lavoratori per l’iscrizione con la cessione di credito, scrive: “Lo SLAI Cobas accetta l’adesione del lavoratore, … obbligandosi fin d’ora, nel caso in cui il lavoratore revocasse nel corso dell’anno la sua adesione ed iscrizione all’organizzazione, a rinunciare alle rate e alle corrispondenti cessioni di credito maturande dal mese successivo a quello della revoca e a dare di ciò tempestiva comunicazione all’azienda”.

Tutto ciò a parole, perché è falso! Ricevuta la disdetta dell’iscrizione dallo Slai da parte dei lavoratori della CFT, in gran maggioranza cinesi, lo Slai Cobas cosa ha fatto?

1 – ha intimato alla CFT di continuare a pagargli le quote, comunicando che non rinunciava al credito.

2 – ha diffuso un volantino ai lavoratori della CFT in cui diceva loro che iscrivendosi al SI Cobas avrebbero dovuto “..pagare due se non tre tessere sindacale”.

Lo Slai Cobas, con una decisione dei suoi dirigenti nazionali e locali, sta impedendo l’esercizio di un diritto democratico minimo dei lavoratori, quello di poter cambiare sindacato senza dover pagare il pizzo! E lo fa calpestando il proprio statuto e le proprie regole associative. (I sindacati istituzionali e concertativi, almeno, spesso fanno firmare al lavoratore che pagheranno per tutto l’anno, lo Slai Cobas fa firmare che non lo faranno!)

Nonostante la nostra diffida la cosa sta continuando, saremo quindi costretti a difendere il diritto dei lavoratori a non pagare il pizzo in sede legale. Una scelta che non avremmo voluto fare, ma la miseria di questi comportamenti “sindacali”, ci costringe.

Una cosa è certa, da questo comportamento si capisce che i lavoratori della CFT hanno fatto bene a cambiare sindacato, ci si può mai fidare di chi dice una cosa e poi fa l’esatto contrario?