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MUORE DOPO L’ARRESTO. I FAMILIARI PARLANO DI PESTAGGIO

Milano – «Una persona normale, un lavoratore, magari impulsivo, ma sicuramente non un balordo»: così i vicini di casa descrivono Michele Ferrulli, 51 anni, morto giovedì sera a Milano dopo essere stato arrestato dalla polizia per schiamazzi davanti a un bar. Tuttavia, chi accetta di parlare con i cronisti lo fa solo con la garanzia dell’anonimato. Ferrulli, grande e grosso, molto robusto, negli ultimi anni decisamente sovrappeso e sofferente di cuore, abitava con la moglie e i due figli, una ragazza e un ragazzo 21enne, in via del Turchino a Milano, poco lontano dal bar «Miniera» di via Varsavia, davanti al quale è morto. «Da quello che sappiamo era un lavoratore onesto, che si occupava di ristrutturazioni edilizie», raccontano i vicini. Per arrotondare faceva anche il facchino, in zona Ortomercato. «Certo, era uno che stava spesso per strada davanti ai bar, ma non abbiamo mai sentito di problemi», dicono i vicini.

Nel comitato anti sfratti. Nel 2007 Ferrulli aveva chiesto l’aiuto del comitato inquilini Molise-Calvairate-Ponti per cercare di risolvere la sua situazione di occupante abusivo. La presidente del comitato, Franca Caffa, racconta di una situazione familiare molto disagiata. In quel periodo Ferrulli era stato indagato per violenza, resistenza a pubblico ufficiale, occupazione abusiva e danneggiamento perché si era opposto allo sgombero della sua abitazione, sempre in via del Turchino. Un sindacalista dell’Unione inquilini che preferisce non essere citato lo descrive come «una persona sempre pronta a lanciarsi in tutte le cause». Dopo la sua morte, sul portone esterno del

palazzo dove abitava è stato esposto un cartellone con alcune foto dell’uomo durante un presidio anti sfratto a settembre scorso e la scritta «Michele uno di noi», firmato CIMP (Comitato inquilini Molise-Ponti). «Corriere della Sera» Redazione online 01 luglio 2011 17:14 .

Morto durante il fermo. Un altro caso Aldovrandi?

Un fermo di polizia è un fermo di polizia, non la via più veloce per finire all’obitorio, come è accaduto giovedì sera a Michele Ferulli in una strada di Milano. Ultimo di una lista ormai troppo lunga che elenca nomi come quelli di Federico Aldovrandi, Riccardo Rasman, Stefano Brunetti e Giuseppe Uva. Tutti questi casi, alcuni dei quali ormai accertati e sanzionati processualmente, altri archiviati o con indagini in corso, hanno in comune le medesime circostanze: il ricorso a modalità anomale e brutali nelle prime fasi d’intervento delle forze dell’ordine. E’ noto, come riferiscono tutti gli specialisti della materia, che uno dei maggiori momenti di criticità nell’azione delle forze di polizia riguardi proprio i momenti iniziali, quelli del fermo e/o dell’arresto prima dell’intervento della magistratura. L’uso improprio dei micidiali tonfa e la tecnica dell’immobilizzazione a terra che troppo facilmente crea situazioni di soffocamento. Nel caso di Ferulli esiste un video di bassa risoluzione che documenta una situazione concitata. Un secondo, molto più chiaro, sarebbe stato trasmesso alla magistratura dall’avvocato della famiglia. La testimonianza della figlia sembra un remake delle morti di Aldovrandi e Rasman: «Mio padre è morto a faccia in giù, per terra, come un cane. Poi lo hanno rigirato cercando di rianimarlo». Ferulli dal marciapiede è finito direttamente in ospedale in stato di «anossia», tradotto vuole dire senza più ossigeno nelle cellule. Un’aggravante è che l’intervento della volante era dovuto a un semplice disturbo della quiete pubblica. Vedremo cosa riuscirà ad accertare l’inchiesta della magistratura. Certo è che negli ultimi tempi si nota una preoccupante tendenza: questi “incidenti” non avvengono più solo nel chiuso di una caserma o di un carcere, ma nel mezzo della via pubblica quasi a voler sancire un illimitato senso di onnipotenza della forza statale. 02/07/2011 da www.liberazione.it