Il 25 luglio scorso la famiglia Mihai riceve una lettera protocollata con cui l’assessore ai servizi sociali del comune di Crema, Luciano Capetti, fa sapere che l’aiuto dato alla famiglia, ossia il pagamento dell’affitto per tre mesi per un appartamento privato dove la famiglia stessa ha trovato provvisoria sistemazione -in pratica utilizzando i soldi destinati alla Caritas per interventi di emergenza sociale e abitativa- deve ritenersi come definitivo ed eccezionale. Dopodiché, la famiglia Mihai dovrà arrangiarsi a trovare una “soluzione stabile e adeguata” (sic!), come pure ad accollarsi le spese condominiali e relative alle utenze di questi tre mesi, il che significa, per una famiglia di disoccupati che non ha neppure i soldi per mangiare, il concreto profilarsi della inesorabile realtà di finire per strada.
La famiglia Mihai non ha mai ricevuto nulla dal Comune, nemmeno un piccolo aiuto per pagare l’affitto o le bollette della luce, dell’acqua o del gas; ha dovuto persino bruciare i mobili di casa per affrontare il freddo invernale. Di fronte al totale disinteresse della amministrazione comunale e pressata da un provvedimento di sfratto esecutivo, decide di portare avanti, col sostegno e la solidarietà di altre persone, un presidio di 22 giorni davanti al Comune, rivendicando una soluzione dignitosa per sé e assolutamente doverosa per una Istituzione della Repubblica, ossia un tetto dove stare. Se non fosse stato per la sua tenacia e determinazione, ora sarebbe una famiglia divisa e difficilmente ricomponibile, viste le difficoltà di trovare lavoro: i membri maschi alla Caritas, la sorella, la moglie e la figlia di 6 anni presso un istituto di suore!
(A proposito della Caritas. La permanenza nelle sue strutture non può superare i 3 mesi, inoltre vige un regolamento di ferro, simile al regime carcerario di semilibertà. Prevede numerosi divieti: la permanenza va dalle ore 20.00 di sera alle 8.30 del mattino; di giorno la struttura è chiusa e nessuno può permanere al suo interno a meno che non sia ammalato. Il rientro deve avvenire dopo le 20.00 ed entro le 22.00: chi rientra tra le 20.00 e le 21.00 ha diritto alla cena; tra le 21.00 e le 22.00 è possibile rientrare ma non si ha diritto alla cena. Una volta rientrati non è più possibile uscire …).
La lettera dell’assessore Capetti rappresenta l’ennesima provocazione e la dice lunga sullo stato di degrado e regressione politica delle istituzioni della Repubblica, il cui ordinamento democratico si incardina su una serie di diritti sociali ritenuti inviolabili al pari dei diritti di libertà. La nostra Costituzione riconosce e assicura una serie di diritti sociali fondamentali, quali il diritto al lavoro (artt.4 e 35), all’assistenza previdenziale e sociale (art.37), alla salute (art.32), all’educazione scolastica (art.34), alla casa, al vestiario ecc., così come dispone la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo che la Repubblica riconosce all’art.22 della Costituzione, secondo un rapporto Stato-cittadini che, rompendo la tradizionale condizione di sudditanza di questi ultimi, statuisce la loro pretesa nei confronti dello Stato affinché quei diritti siano effettivamente garantiti. La nostra è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1),da intendersi non solo come garanzia di lavoro per tutti, ma anche che il grado di democraticità del nostro sistema civile e politico si misura con l’impegno dello STATO AD ASSICURARE A TUTTI UN LAVORO AD ALTA QUALITÀ SOCIALE, inidoneo a garantire ai lavoratori una vita libera e dignitosa (art.36), escludendosi tipologie di lavoro flessibile e precario che tale qualità della vita, viceversa, non garantiscono. Mentre il lavoro riceve una tutela incondizionata, la disciplina costituzionale dell’iniziativa privata e della proprietà prevede numerosi limiti e non può essere svolta in modo da recar pregiudizio alla sicurezza, libertà e dignità della persona, dovendo assicurare quella funzione sociale senza la quale non può essere esercitata.
Le Istituzioni della Repubblica non hanno nessun margine discrezionale nell’utilizzazione delle risorse che sono, appunto, condizionate dal rispetto dell’esigenza di soddisfare diritti costituzionali di primaria importanza. Ogni Istituzione della Repubblica di fronte all’emergenza sociale rappresentata dalla disoccupazione e , perciò, dal venir meno della possibilità concreta di far fronte alle necessità e ai bisogni primari della vita,come pagare l’affitto di casa o il mutuo per acquistarla, ha il dovere politico di utilizzare ogni potere e mezzo per evitare che la sciagura della perdita del lavoro faccia precipitare persone e famiglie in un baratro che possa cancellare per sempre la loro libertà e dignità. È inutile sottolineare come utilizzare soldi e risorse “comuni” e destinarli a istituti privati, ritenendo così adempiuti i propri inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale, non solo contravviene al dettato costituzionale, ma non può essere considerata neppure una soluzione ,in quanto divide le famiglie, offende la dignità delle persone e serve solo a drenare denaro pubblico a favore di interessi privati riferibili ad ambienti che dovrebbero assolvere a finalità caritative, senza pesare sul bilancio del Comune. Una carità costosa, più di quanto non sia un intervento diretto dell’amministrazione comunale, come pagare l’affitto ed evitare che una famiglia venga sfrattata, oppure utilizzare le case ‘pubbliche’, che sono decine fra i 1500 appartamenti sfitti che ci sono a Crema.
Ma evidentemente si preferisce istituzionalizzare la povertà e preservarla al fine di favorire interessi privati e imporre una soluzione “caritatevole” delle emergenze sociali e abitative, quasi a nascondere la natura sociale della povertà e declinare i propri doveri costituzionali, addossando al lavoratore che rimane disoccupato tutte le colpe e che per questo dovrà essere riconoscente.
Se la casa e il lavoro non sono più un diritto, il soccorso caritatevole diventa una gentile concessione dall’alto, non vincolante e assolutamente discrezionale, anche se si utilizzano risorse pubbliche.
L’origine socio-economica della disoccupazione e della emergenza abitativa, però, non può essere nascosta a lungo. La sequenza lineare della perdita del lavoro prima e della casa poi, diventa sempre più un classico per numerose famiglie, stritolate dalla crisi capitalistica, le cui conseguenze si abbattono sempre più sui deboli, ossia lavoratori, precari disoccupati, in termini di maggiore disoccupazione, precarietà salariale e povertà, un conto salato che devono pagare per colpe imputabili a imprenditori, banche, istituti finanziari e classe politica, grazie a leggi e provvedimenti favorevoli alle loro strategie predatorie.
La famiglia Mihai non chiede la luna, non vuole soldi , vuole poter vivere dignitosamente in una casa, non vuole la carità, vuole un lavoro! Per questo la famiglia Mihai, per evitare di finire per strada, non può considerare conclusa la vicenda, e insieme al comitato di solidarietà alla lotta per la casa e il lavoro, lancia un appello alla lotta ed alla mobilitazione a tutti coloro che hanno a cuore la questione sociale, a quanti sono stati duramente colpiti dalla crisi, ai disoccupati, ai precari, ai poveri e senza casa, a coloro si trovano nelle condizioni di subire uno sfratto oppure lo hanno già subito …
IL LAVORO E LA CASA SONO UN DIRITTO DI TUTTI! PIÙ CASE POPOLARI PER TUTTI. BLOCCO DEGLI SFRATTI. ABBASSAMENTO DEGLI AFFITTI
24 agosto 2011 Via Mazzini, 24 Bagnolo Cremasco (CR) Casa e lavoro diritto per tutti