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Cento stranieri in rivolta davanti alla SDA

Gli operai, sorvegliati da 60 carabinieri in tenuta antisommossa, hanno bloccato la produzione in fabbrica. «Lavoriamo per le cooperative con turni impossibili per 400 euro» 

Carpiano Sorvegliati da sessanta carabinieri antisommossa, cento lavoratori della Sda di Carpiano sono rimasti una notte intera fuori dai cancelli di Francolino per dire che lì dentro c’è un mondo spietato fatto di sopravvivenza e di lotta. Un mondo a cui hanno detto basta, decidendo martedi sera di abbandonare il turno dopo mezz’ora, mettersi fuori dal capannone e aspettare la mattina al freddo pur di parlare con gli amministratori d’azienda. Con loro il S.I.Cobas, il sindacato che li ha sostenuti fin qui. Ha sostenuto una battaglia che a detta di chi la combatte talvolta non è fatta neppure per la sopravvivenza. Con 200, 400 euro al mese in busta paga non si fa nulla; il miraggio dell’emigrazione si trasforma immediatamente in fallimento. Immigrazione, perché fra i cento e passa che ieri mattina si sono piazzati in via Pertini, oltre la provinciale Binasca, non c’era un solo italiano di nascita. Tutti africani, nordafricani e qualche europeo dell’est. Arrivano ogni giorno da Milano città, da Lodi, Sant’Angelo e dal cremasco a fare magazzino e spedizione merci. Descrivono una situazione, al di là della cancellata, che definire «anarchica» è poco. Non è una storia nuova, va sempre verificata come regola impone, ma è una narrazione che non difetta di chiarezza. Secondo questi ragazzi che portano le tute di due cooperative del nord Milano, la Ucsa di Milano e il Consorzio Sisma di Lainate, alla Sda non si lavora per vivere; si vive per lavorare.

O meglio per difendere il lavoro: quel poco che si ha, guardandosi sempre alle spalle. Ieri hanno gridato l’impossibilità di tirare avanti. «Fra due cooperative siamo più o meno in trecento – iniziano a spiegare -; abitiamo nella zona del milanese e delle province limitrofe, facendo il viaggio pendolare tutti i giorni a spese nostre. Nessuno è dipendente diretto della Sda Express Courier, ma siamo tutti entrati in questo settore come soci di coop della zona milanese. La Sda ha anche i suoi dipendenti, ma sono quasi tutti nell’amministrativo e nel trasporto, pochi in magazzino; il magazzino lo facciamo quasi tutto noi». E si viene alla descrizione di come avviene il turno al di là dei muri che delimitano ettari di capannone all’opera soprattutto per Poste Italiane. «In pratica non esiste alcuna regola che stabilisca quante ore devo fare io e quante tu – questo il succo – in che giorni della settimana, secondo uno schema preciso che si ripete; si va a seconda di quello che accade, dei picchi di lavoro che si hanno da un giorno all’altro, anzi da un’ora all’altra. Entriamo, attacchiamo il turno al nastro trasportatore o in ribalta quando qualcuno da dentro ci avvisa che c’è il picco e serve manodopera. Se il ritmo cala, magari anche dopo un’ora sola, si esce fuori e si sta fuori in attesa di completare un ciclo di lavoro». Con questo metodo «per fare otto ore ce ne vogliono sedici reali, passate tutte qui o nei dintorni della logistica». Ma non c’entra per caso la crisi economica, con il volume merci in picchiata? «Macchè crisi, il lavoro c’è, si fanno gli straordinari».
 
LA REPLICA
«I dipendenti sono soci garantiti dal contratto nazionale»
«Dire che alla Sda di Carpiano c’è il lavoro a chiamata è un’affermazione che non ha nulla a che vedere con noi. I nostri dipendenti sono soci della cooperativa, garantiti da rapporto di lavoro subordinato e regolamentato dal contratto nazionale merci, spedizione e logistica. Il resto sono illazioni e racconti che chiunque può fare». Così una delle due coop prese di mira dallo “sciopero degli stranieri” alla Sda di Carpiano, la Ucsa di Milano, scrive la versione alternativa della protesta iniziata con l’interruzione del turno di martedi sera e proseguita alla presenza delle camionette di polizia. Avere una replica diretta dal colosso delle spedizioni, che a Francolino di Carpiano ha la filiale “Sda Milano 1”, è piuttosto arduo, fra centralini sempre sotto stress e vigilantes agli ingressi del magazzino di via Pertini. Più disposte a rilasciare il loro punto di vista invece le due cooperative. «In realtà noi siamo la meno grande delle due realtà che gestiscono il personale di magazzino a Carpiano – proseguono gli amministratori del consorzio milanese Ucsa, che ha comunque 1800 figure in pianta organica – la Sisma di Lainate, con la quale non abbiamo rapporti diretti, ha un appalto più consistente. Per quanto ci concerne comunque le cose sono chiare. Il lavoro a chiamata esiste ma è un’altra cosa, è regolamentato dalla legge Biagi e non c’entra con quello che facciamo noi. I nostri sono contrattualizzati con la piattaforma per merci e logistica». E gli stipendi da 430 euro ? «Se un lavoratore è inquadrato da principio con un orario al cinquanta per cento, se fa una serie di assenze volontarie, se ha un’altra occupazione, i 450 euro sono conti che tornano». Una cosa, ammettono le imprese tirate nel calderone della presunta “nuova schiavitù”, è che gli ambienti interni della Sda Milano 1 fino a qualche mese fa avevano carenze grosse. «C’è stato un problema sui bagni, quello sì; erano in normale stato di usura e sono stati rifatti». Secondo i cento lavoratori in sciopero, invece, ai bagni non ci si può nemmeno andare per spezzare le cinque ore di fila al nastro. «Questa è gente che non ha nessun diritto – si dice strasicuro il sindacato Si Cobas della sede di Crema – praticamente è come se venissero assunti e licenziati ogni settimana, ogni giorno se serve. Non hanno nemmeno i contributi calcolati; neanche un giorno di ferie pagate, si devono pure comprare gli abiti da lavoro. O la proprietà firma la regolarizzazione, o vanno avanti giorni».
Il Cittadino di Lodi 24.11.2011  Emanuele Dolcini