Le ambiguità di una legge che sfiora in più di un punto il razzismo istituzionale. L’analisi e le considerazioni dell’avvocato Alessandra Ballerini.
E’ stato pubblicato il Decreto Legislativo n. 109 del 16 luglio 2012 che dovrebbe dare attuazione alla direttiva 2009/52/CE per prevenire i punire gli illeciti in materia di lavoro e sfruttamento di stranieri irregolari.
Al fine (solo teorico) di favorire l’emersione degli illeciti il provvedimento prevede, per le sole ipotesi di “particolare” sfruttamento lavorativo, che lo straniero che presenti denuncia o cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, possa ottenere, su proposta o con il parere favorevole del giudice, il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario della durata di sei mesi e rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale.
E’ peraltro evidente a tutti, fuorchè al legislatore, che nessun lavoratore irregolare marchiato come criminale dal reato di clandestinità oserà avvicinarsi ad un commissariato né ad una caserma per fare denuncia nei confronti del datore di lavoro dal quale è “particolarmente” (e la “particolarità” è lasciata all’immaginazione ed al sadismo del “padrone”) sfruttato dal datore di lavoro. Il rischio concreto, che il decreto 109/2012 sembra aver ignorato, per il lavoratore, è quello di essere perseguiti per il reato di clandestinità, colpiti da un decreto di espulsione e magari imprigionati in un Cie prima di aver potuto firmare la denuncia. Se veramente si voleva contrastare il lavoro nero si sarebbero dovute incentivare le denuncie non solo penali permettendo ai sindacati di instaurare vertenze al fianco del lavoratore e prevedendo anche in questi casi il rilascio di un permesso di soggiorno per lo straniero sfruttato (anche non “particolarmente”) o comunque costretto a lavorare in “nero”. Ma forse il fine del legislatore non era questo.
Il decreto contiene una norma transitoria, la cosidetta sanatoria, volta, ufficialmente, a far emergere e “legalizzare” i rapporti di lavoro irregolari: i datori di lavoro che, alla data di entrata in vigore del decreto occupano irregolarmente da almeno tre mesi lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale (in modo ininterrotto e documentato almeno dal 31 dicembre 2011 o precedentemente), potranno infatti dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione ed avviare una procedura di regolarizzazione. La dichiarazione potrà essere presentata dal 15 settembre al 15 ottobre 2012 con modalità che saranno stabilite con successivo decreto interministeriale.
Lo Sportello unico per l’immigrazione, verificata l’ammissibilità della dichiarazione e acquisito il parere favorevole della questura e della competente direzione territoriale del lavoro convoca le parti per la stipula del contratto di soggiorno e per la presentazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il provvedimento legislativo specifica, inoltre, l’impossibilità di accesso alla sanatoria per quei datori di lavoro che sono stati condannati negli ultimi cinque anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per tratta o sfruttamento di prostituzione e minori, per caporalato o per aver dato lavoro a immigrati irregolari.
Così come sono esclusi gli immigrati che non possano dimostrare attraverso atti pubblici di essere in Italia da almeno il 31 dicembre 2011, gli stranieri espulsi per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, quelli condannati, anche con sentenza non definitiva, per uno dei reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, i segnalati come “non ammissibili” in area Shenghen e gli stranieri considerati, anche in base a condanne non definitive, una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dell’Italia o di altri paesi dell’area Schengen. In tutti questi casi il datore di lavoro si sanerà ma il lavoratore straniero resterà irregolare. Ed i soldi ovviamente non verranno restituiti.
In realtà più che di sanatoria per immigrati dovrebbe parlarsi di condono, anche penale, per i datori di lavoro che hanno assunto “in nero” lavoratori stranieri irregolari.
Infatti il datore di lavoro, e solo lui, potrà autodenunciarsi per gi illeciti commessi per aver impiegato lavoratori irregolari e, a fronte del versamento di un contributo di 1.000 Euro per ciascun lavoratore con l’aggiunta del pagamento delle somme dovute a titolo contributivo e retributivo degli ultimi sei mesi potrà ottenere l’estinzione dei reati commessi e vedere condanati i suoi illeciti. Il “condono” del datore di lavoro potrebbe (il condizionale è dobbligo visti tutti gli ostacoli ed i trabocchetti previsti dalla norma) avere come effetto collaterale il rilascio di un permesso di soggiorno per il lavoratore straniero. Ma il lavoratore non ha la possibilità di attivare autonomamente la procedura di emersione.
La tutela la legge la offre al datore di lavoro che non rischia più così, a sanatoria avviata, di incorrere nelle pesanti sanzioni previste dal testo unico sull’immigrazione e aggravate dal decreto legislativo 109/2012. Il fine, neppure troppo mascherato, è quello di fare soldi sulle spalle delle migliaia di immigrati che sognano di uscire dalla clandestinità e diventare persone. E’ evidente infatti che tutti i costi, così come nelle sanatorie precedenti, saranno sobbarcati dal lavoratore, disposto a tutto pur di ottenere quel pezzo di carta che lo rende finalmente, se non ben accetto, almeno legale. Disposti anche a pagare ulteriori migliaia di euro al datore di lavoro per il suo “disturbo”. E così sono tutti contenti: il Governo che rimpingua le casse, il datore di lavoro che si da una mano di bianco alla coscienza ed alla fedina penale e si riempe il portafogli e l’immigrato che, muto, paga,speranzoso di “emergere” da questo mare di irregolarità.
Ad oggi peraltro l’unico modo di diventare “legale” per uno straniero che ha perso o che (ipotesi ben più rara) non ha mai avuto, il diritto al soggiorno è quello di usufruire della sanatoria. E così sono necessarie periodicamente le santorie per rilasciare permessi di soggiorno per i lavoratori che in Italia in realtà già ci sono.
Il problema però resta. Perchè il lavoratore straniero in queste procedure di emersione non è un soggetto, ma un ogggetto. Lo straniero infatti non ha la facoltà (accordata solo per il datore di lavoro) di presentare una dichiarazione di auto-emersione del rapporto di lavoro irregolare.Tale scelta legislativa appare incomprensibilmente discriminatoria, anche perché lascia, ancora una volta, il lavoratore in una condizione di sudditanza e di ricattabilità, oltre a non attribuirgli alcuna dignità di persona né di soggetto giuridico parte di un contratto. E se neppure il legislatore lo considera un soggetto, come lo considererà il “padrone”? Braccia appunto. Che lavorano e pagano. Pagano sempre e pagano tutti.
Anche la trappola imposta dal decreto legislativo della necessità per lo straniero che vuole emergere di provare con atti provenienti “da organismi pubblici” di essere in Italia da almeno il 31.12.2012 è assurda e costosa.
Pensiamoci bene; si chiede ad una persona che è stata sempre costretta a nascondersi di documentare con atti pubblici (e dunque forse non si era nascosta poi così bene) di aver commesso un reato (la clandestinità) da non meno di 9 mesi! Come a dire che se un criminale non solo confessa ma documenta di aver violato la legge per molto tempo verrà premiato dallo Stato. Come se si chiedesse ad un rapinatore di provare di aver svaligiato un certo numero di gioiellerie e raggiunto il numero minimo di rapine gli si consegnasse un bottino premio! Che affidabilità può dare uno Stato che fa le regole e poi le disfa, le sovverte? Che prima urla la tolleranza zero per i “clandestini” (parola che vieterei per legge) e poi con un gioco di prestigio proclama che lo stesso presupposto (ovvero l’essere sopresi dalle forze dell’ordine in condizione di irregolarità) che fino al giorno prima comportava come conseguenza il decreto di espulsione, il trattenimento per 18 mesi in un Cie e la contestazione del reato di clandestinità, il giorno dopo comporti il premio del rilascio del permesso di soggiorno. Come si fa a credere in uno Stato così?
Non solo: la necessità, per accedere alla sanatoria, di documentare la propria presenza in Italia con documenti provenienti da “organismi pubblici” (espressione dal dubbio senso giuridico) comporterà per il lavoratore straniero, l’ulteriore sforzo di procurarsi tali documenti. Sforzo che potrebbe costare caro. Ricordo che in una precedente sanatoria, quella del ’98, se non vado errata, essendo previsto un analogo requisito, ai lavoratori stranieri era stato offerto da fantasiosi quanto spregiudicati controllori degli autobus uno specifico “servizio” che consisteva nell’erogazione di datate e false multe che avrebbero dovuto costituire la prova della precedente presenza in Italia dello straniero. Ovviamente questo “servizio” era a pagamento. E chi pagava come sempre era lo straniero.
Una sanatoria degna di questo di nome dovrebbe essere permanente (e dunque non limitata in un mese di tempo né stabilita con “norma transitoria” o decreti ministeriali, ma invocabile in qualsiasi momento e sancita per legge), dovrebbe essere azionabile anche e soprattutto dal lavoratore straniero indipendentemente dal consenso del datore di lavoro, e dovrebbe essere immune da gabole, trucchetti e ostacoli (e dunque dovrebbe preedere: nessuna dimostrazione con atti pubblici di datata permanenza in Italia, la previsione di un permesso per attesa occupazione nel caso in cui sia il datore di lavoro a non possedere i requisiti per l’emersione, nessun limite alla tipologia di lavoro, eliminazione dell’automatica ostatività delle segnalazioni di inammissibilità nello spazio Schenghen e di condanne penali).
Se il legislatore diventerà serio e la smetterà di truccare le carte per arrichire le casse statali (nonché di molti farabutti) in in nome della legalità; se la smetterà di carpire e incassare soldi dagli immigrati senza mai restituirli; se, soprattutto, inizierà a trattare lo straniero come persona dotata di una dignità costituzionalmente inamovibile e di una oggettiva personalità giuridica e smetterà di considerarlo come un problema da respingere, una minaccia da rinchiudere o come “braccia” da sfruttare senza ritegno, allora sì, potremmo fidarci del nostro Stato. E rispettarne le leggi sarà una soddisfazione, oltre che un dovere.
Alessandra Ballerini