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Intervista a Francesco Cirillo sui veleni della Marlane

Cirillo è un giornalista pubblicista, ha svolto diverse inchieste e scritto vari libri sulla Calabria. Gli ultimi, per conto della casa editrice Coessenza, riguardano le Navi dei veleni e la Marlane. Con lui abbiamo parlato della fabbrica tessile cosentina.

Rivolgendosi al sindaco di Praia a Mare, Antonio Praticò: “Faccia controllare le acque del mare ed impedisca la balneazione davanti alla Marlane; faccia controllare le falde acquifere come sollecitato nella relazione della professoressa De Rose, ed infine – rimarca Francesco Cirillo – essendo il massimo esponente in materia di Sanità, faccia intervenire l’Asl con un’indagine epidemiologica su tutte le aree vicine alla Marlane ed alla Lini e Lane. Il sindaco di Praia a Mare, che ci tiene tanto alla Lini e Lane, la ripulisca della discarica presente da dieci anni”.

di Maria Carla Sicilia da www.vortexnewscalabria.com.

In quali circostanze la storia della Marlane si incontra con la sua?

Nel 1999, due operai della Marlane, Luigi Pacchiano e Alberto Cunto, vennero ad una riunione di un gruppo ambientalista che si chiamava Rischiozero ed aveva sede a Scalea. Avevamo sentito parlare della Marlane, ma mai dall’interno. Fu una presa di coscienza diretta e terribile. Da allora restai sempre in contatto con loro iniziando ad appoggiare le loro continue denunce alla magistratura, fino alla costituzione del gruppo di operai che si costituirono parte civile ed avviarono l’azione processuale che arrivò però dieci anni dopo, sull’onda delle manifestazioni per le navi dei veleni ad Amantea. Con Luigi Pacchiano, avviammo un’inchiesta parallela che terminò con la pubblicazione del libro “Marlane: la fabbrica dei veleni”, uscito nel 2011 per la casa editrice Coessenza.

Quanto è stato duro buttare giù il muro della paura, perché gli operai denunciassero a gran voce che il lavoro – irrinunciabile e necessario – li stava uccidendo?

È stato molto difficile, perché la Marlane a Praia a Mare, era diventata un “sistema”. Il silenzio imperava in nome del progresso, del lavoro, dell’industrialismo. La Marlane indubbiamente ha rappresentato molto nell’area dell’Alto Cosentino, fra Praia a Mare e Maratea, dando lavoro a migliaia di persone, togliendole dai campi e dalla miseria, ma nel contempo ha rappresentato anche il fallimento della politica industriale nel Sud; una politica industriale che non ha fatto altro che svuotare le casse statali utilizzando continui finanziamenti, poi finiti al Nord. Nella Marlane, i rappresentanti dei sindacati ufficiali, proteggevano Marzotto, dal quale avevano ricevuto l’indotto esterno che gestivano direttamente attraverso apposite cooperative. Chi vuoi che quindi parlasse?

Quando sono stati accertati i primi casi di morte?

I primi decessi sono avvenuti nel 1973 e riguardavano la morte di due operai che lavoravano attorno ad una macchina, chiamata “carbonizzo”. Gli operai si chiamavano Mandarano e Sarubbi. La macchina serviva a eliminare il “pelucchio” nei tessuti scuri, e veniva usato per questa operazione l’acido solforico. Erano in cinque a lavorare attorno a questa macchina. Ebbene dal 1973, nel giro di pochi anni, tutti i cinque operai sono deceduti. Uno dopo l’altro.

Si parla di ammine aromatiche dei coloranti e dell’amianto sprigionato dai freni dei telai. Secondo le sue ricerche e le sue conoscenze degli atti processuali, possiamo dire che fossero queste sostanze tossiche, presenti all’interno della fabbrica, a far ammalare gli operai?

Non lo dico io, ma gli studi condotti da vari ricercatori in tutta Italia, che hanno già portato a sentenze clamorose su operai che hanno lavorato in fabbriche dove si usava l’amianto o coloranti, come nel caso della Marlane. Lo dicono anche le perizie, fatte dalla parte civile, che sono state presentate ed discusse durante il processo. Il fatto reale è che su una popolazione di operai, lavoranti tutti nello stesso luogo, i decessi e le malattie sono superiori alle duecento unità, e purtroppo non è finita, in quanto il picco delle morti lo avremo nell’arco di venticinque anni.

Quali misure di prevenzione potevano essere prese per evitare il degenerarsi delle malattie?

Nessuna prevenzione veniva usata. Intanto il reparto tintoria che era il più pericoloso non era “blindato”, ma era al centro di tutto lo stabilimento. Era un reparto unico e i fumi che uscivano dalla tintoria invadevano tutta la fabbrica. Alcuni ex operai raccontano che, alcune mattine, trovandola invasa da fumi densissimi scherzavano dicendo “oggi nebbia in Val Padana”. La Marlane era un’impresa che produceva tessuto di cui usufruivano lo Stato e l’Esercito italiano. Per produrre e colorare questi tessuti, si usavano ammine aromatiche, prodotti azoici, cromo esavalente, molti tipi di metalli pesanti, acidi di ogni genere. Sono prodotti che servono a colorare e senza i quali non è possibile fare niente. Sarebbe stato necessario, per tutelare la vita e la salute degli operai, prima di tutto “blindare” il reparto tintoria, dove si sarebbe dovuto lavorare non con delle semplici mascherine di carta, che non servono a niente in questi casi, ma con vere maschere antigas; poi, avvertire gli operai della pericolosità di questi prodotti e far usare guanti, scarpe e tute adeguate. Ci sono, invece, testimonianze di operai che dicono che quando arrivavano questi prodotti nei bidoni, qualcuno si premuniva di togliere le famose etichette con la testa di morte. Gli operai non si cambiavano nella fabbrica e ritornavano nelle proprie abitazioni con le stesse tute, piene di polveri di amianto e vapori acidi ancora addosso. Alcune mogli di questi operai hanno testimoniato, quando i mariti ritornavano a casa, neri in faccia, che sputavano veleno e spesso, quando c’erano bambini erano costretti a spogliarsi fuori dalle abitazioni per non fare entrare quelle polveri nelle case. La direzione, che sapeva tutto, per tranquillizzare gli operai faceva bere loro ogni giorno un litro di latte. Cosa che non serviva a niente, ed in certi casi peggiorava la situazione nei malati.

Sono passati quindici anni dall’entrata del caso nel Tribunale di Paola, ma siamo ancora qui, in attesa che giustizia venga fatta. Quali sono gli ultimi sviluppi?

Il processo sta continuando con circa due udienze alla settimana. Il presidente Introcaso, sembra voglia giungere alla sentenza in breve tempo e sta sollecitando gli avvocati, sia delle parti civili che della difesa degli imputati, a stringere sui testi e sulle perizie. Marzotto da parte sua vuole chiudere, anche se spera in una prescrizione che dovrebbe giungere nel 2015. Ha fatto una trattativa con gli avvocati delle parti civili e ha elargito in una transazione quasi ventimila euro a testa per il ritiro dei familiari, spendendo circa sei milioni di euro. Il processo continua, in quanto le altre parti civili – quali la Cgil, lo Slai-Cobas, Medicina democratica, la Provincia di Cosenza, la Regione Calabria, i Comuni di Praia a Mare e Tortora, il Wwf e la Legambiente – non si sono ritirate.

Il caso Marlane ci pone davanti alla realtà che sembrano esserci morti di serie A e morti di serie B. Pochi riflettori nazionali si sono accesi sulla vicenda. Lei che ne pensa?

Sulla Calabria i riflettori non si accendono mai, salvo su rari casi. Negli anni scorsi abbiamo sollecitato l’arrivo di troupe di ogni genere. Abbiamo chiamato Santoro, Report, Presa diretta, giornali nazionali, ma nessuno se non in qualche raro caso ha preso a cuore la vicenda. Qui, non si parla di ThyssenKrupp, che è uno svizzero, né di fabbriche dell’amianto che sono tedesche. Qui parliamo di un settore, quale quello tessile, che ancora in Italia è attivo ed ha il suo esponente proprio in Marzotto, nominato Cavaliere del lavoro e membro della Confindustria. Qui parliamo di capitalismo italiano e non straniero e gli interessi quindi sono ben diversi.

La consapevolezza degli operai, delle loro famiglie e del territorio tutto, è cresciuta col tempo? Intorno ai movimenti ambientalisti c’è oggi la partecipazione della società civile?

Purtroppo, attorno al Comitato per le bonifiche, c’è poca partecipazione. La gente ancora ha paura di esporsi. Qualcosa si sta muovendo. Per la prima volta c’è stato un ricambio nella Cgil, e il nuovo responsabile regionale, Angelo Sposato, ha chiesto un incontro con gli ambientalisti per cercare una strada comune per intraprendere una lotta unitaria ed avviare la bonifica. Lo stesso avviene anche nel Pd, partito al quale appartiene anche il sindaco Praticò.

L’area della fabbrica, ormai dismessa, pare sia un ricettacolo d’interessi. Quali sono attualmente i progetti in cantiere?

Marzotto, investe 6 milioni di euro nelle transazioni con i familiari e gli avvocati per avere l’area della Marlane libera e poterla vendere per edificazioni varie. In questo è contrastato fortemente dal Comitato per le bonifiche, che vuole prima di ogni lavoro in quell’area una completa bonifica di tutto il terreno. Il Comitato per le bonifiche vuole anche che quell’area, una volta bonificata, diventi un parco pubblico con un monumento alla memoria di tutti i lavoratori deceduti, a simbolo della Calabria illusa dal lavoro industriale e dall’occupazione, che è servito solo ad arricchire il capitale del Nord, lasciando qui miseria e aree contaminate. Il sindaco Praticò, ogni tanto, tira fuori dei progetti per quell’area. Prima aveva in tasca un progetto di una darsena con un investimento di 80 milioni di euro da parte di una società romana, adesso parla di un’area di interesse turistico non ben specificata.

In quanto alla bonifica, di che intervento ci sarebbe bisogno e cosa impedisce l’inizio?

In quell’area sono state sotterrate tonnellate di rifiuti tossici. L’area ha anche inquinato, molto probabilmente, le falde acquifere e di sicuro il mare, distante poche centinaia di metri. Tutta l’area è pericolosa, eppure si fa finta di non sapere nulla sia da parte del sindaco attuale che dell’Asl. Il presidente Introcaso ha disposto una nuova perizia, chiedendo di verificare lo stato delle cose, ma lo scontro è proprio su questo all’interno del tribunale. I difensori di Marzotto, dicono che l’area dove sono state trovate le sostanze tossiche, e quindi da bonificare, sia di pochi metri quadrati, mentre i difensori della parte civile vogliono che tutta l’aera venga minuziosamente ispezionata e bonificata totalmente. Testimonianze di operai dicono che tutta l’area è stata soggetta ad interramenti. L’operaio Francesco De Palma, in una video intervista fatta a me e depositata al Tribunale, ma ancora non trasmessa, pochi mesi prima di morire di tumore, disse di essere stato lui a fare i sotterramenti. Disse di averli fatti per circa quindici anni, ogni sabato, quando la fabbrica era chiusa, e di averli sotterrati ovunque. Bisogna quindi attendere l’esito dell’ultima perizia perché si possa cominciare una bonifica, che per legge è a carico del privato e che quindi ha tutto l’interesse che avvenga nel minor spazio possibile.

Il sindaco di Praia a Mare, Praticò, qualche giorno fa in una conferenza stampa convocata qui a Cosenza con il consigliere regionale del Pd, Guccione, ha detto di voler aderire al progetto Miapi del ministero dell’Ambiente per individuare aree potenzialmente inquinate. Perché vi siete dichiarati contrari ?

Il progetto Miapi a cui si vuole aderire ci piace e va sicuramente supportato, e ben venga in Calabria, ma riguarda aree pubbliche e non private e quindi la Marlane non rientra in quel tipo di lavoro. Ci sta bene che vengano scandagliate le discariche ed il resto del territorio, dove certamente ci sono stati sotterramenti. Ma qui si tratta di un privato. Abbiamo timore che questa scelta ritardi sia l’iter processuale che quello della Regione, in quanto qui c’è poco da accertare: i rifiuti sono stati trovati e si tratta solo di mettere in moto le ruspe, altro che i satelliti. Il sindaco, faccia controllare le acque del mare ed impedisca la balneazione davanti alla Marlane; faccia controllare le falde acquifere come sollecitato nella relazione della professoressa De Rose [consulente tecnico della Procura di Paola, ndr], ed infine, essendo il massimo esponente in materia di Sanità, faccia intervenire l’Asl con un’indagine epidemiologica su tutte le aree vicine alla Marlane ed alla Lini e Lane. Il sindaco di Praia a Mare, che ci tiene tanto alla Lini e Lane, la ripulisca della discarica presente da dieci anni.

Ci sono altre Marlane sconosciute ancora oggi in Italia?

Le fabbriche tessili sono quasi tutte dismesse e trasferite nei paesi dell’est. La stessa Marlane, ha chiuso i battenti a Praia, ma è stata riaperta in Repubblica Ceca. Non sappiamo come funziona il reparto tintoria in quel luogo, ma sicuramente per la coloritura ancora oggi si usano quei veleni chimici. Nella zona di Valdagno, sappiamo dell’esistenza di altre fabbriche come la Marlane, sempre del gruppo Marzotto e siamo a conoscenza che anche in quei luoghi ci sono diverse morti per tumore fra gli operai.

Che ne è stato dell’altra fabbrica di Rivetti a Maratea?

Rivetti, negli anni Settanta, ha venduto tutto ciò che aveva costruito fra Maratea e Praia, prima all’Eni e poi a Marzotto. Il conte ha ricevuto contributi a non finire per le sue operazioni industriali, abbandonando tutto quando i rubinetti verso di lui si chiusero. Rivetti, è stato un Berlusconi anti litteram. Ebbe anche la grandiosità di costruire il famoso Cristo di Maratea a sua immagine e somiglianza, (guardatelo bene non somiglia ad alcun Cristo), ed era così potente da occupare una grotta basiliana, con un dipinto bizantino, trovata sotto il Cristo, al momento della costruzione, dove si fece seppellire. Forse uno dei pochi casi italiani.

Quando ci sarà la prossima udienza?

Il processo continua con udienze ogni venerdì e siamo nella fase degli interrogatori degli imputati.