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[CRISI&BANCHE] Vado a vivere da solo, ma i soldi me li date voi!

Così Jerry Calà minaccia mamma e papà in un film commedia all’italiana degli anni ’80. Così Banca Intesa-San Paolo col governo per l’acquisto di Banca veneta e Popolare di Vicenza. Una occasione così non va persa. L’istinto animale per gli affari c’è tutto, ma il refrain è sempre lo stesso: “compro, ma i soldi li mettete voi”.
Voi è lo Stato. Ma i soldi dello Stato sono i soldi di chi le tasse le paga. Noi lavoratori salariati, con la tassazione alla fonte, in busta paga. Così per un 1€ (un euro) Intesa prende il controllo delle banche “in fallimento”, che hanno, però, notate bene 21 miliardi di crediti esigibili. Paghi 1 (euro) e compri 21 (miliardi di euro). Lo Stato interviene subito con un prestito di 5 miliardi: 3,5 per la tenuta dei livelli patrimoniali e lo stacco dei dividendi, 1,285 per 4.000 prepensionamenti, con molta fantasia definiti volontari. Non finisce qui.

Dopo aver incamerato la parte sana (good bank) e accollato i crediti di difficile riscossione (bad bank) allo Stato, qualora i titoli “in bonis” non si rivelassero tanto buoni, Banca Intesa ha imposto anche una garanzia pubblica per altri 12 miliardi. Il Ministro Padoan dice che l’intervento pubblico si è reso necessario per scongiurare una crisi di sistema. Era necessario non chiudere i rubinetti del credito alle attività del mitico Nord-Est.

Il governo viene in soccorso somministrando nuova droga finanziaria. Ma ogni prestito pubblico ha un suo contraltare: un debito da saldare. Grazie alla generosa mano statale, generosa con i banchieri, “austera” e rapinatrice con i lavoratori, Banca Intesa diviene il dominus delle province venete. Vengono salvati dalle conseguenze della bancarotta (bail-in) i titoli e i depositi. Per fronteggiare le perdite e il nuovo debito in attesa che lo stato recuperi i miliardi messi nell’operazione salvataggio, cosa mai avvenuta nei precedenti salvataggi bancari, partirà la spirale dei tagli alla sanità ai servizi, verranno imposti altri sacrifici e rinunce. Perché, dato il Fiscal Compact, il debito dello stato va progressivamente ridotto.

Il paradosso è che questo salvataggio è realmente necessario, inevitabile, obbligatorio per “mantenere in vita il sistema”. Le cui crisi e disfunzioni sono favorite anche da corruzione, speculazione, truffe, malaffare, furberie inganni, raggiri, familismo, clientelismo, cattiva gestione, corruttele. Ma questi peccati sono fisiologici al sistema, sono comuni a tutte le latitudini e a tutte le aree dove domina il capitalismo. Non c’è nessuna specificità italica da correggere. Le riforme bancarie, le interpellanze e le finte lotte parlamentari, i ricorsi alla magistratura sono funzionali al processo di concentrazione finanziario che espropria i lavoratori salariati innanzitutto, e anche i piccoli produttori.

Questo sistema non è scomponibile in imprese (meglio se piccole) oneste e banche e finanza disoneste, da cui far derivare alleanze trasversali tra presunti onesti, anche se gli uni sfruttati e gli altri sfruttatori. La soluzione non è interna al sistema, che si fonda sullo sfruttamento del lavoro salariato da parte dei piccoli, medi e grandi capitali. La soluzione è contro il capitale, contro la grande camorra affaristica privata-statale che esso costituisce. La soluzione è solo nell’unità delle lotte dei lavoratori e nel suo indirizzo e sbocco anti-capitalistico. È la sola via per “bonificare” un ambiente economico-politico totalmente marcio.

SI. COBAS – PUBBLICO IMPIEGO

3 luglio 2017

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