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[GENOVA] Metamorfosi kafkiane all’A.S.L. 3 genovese

Metamorfosi kafkiane

all’A.S.L. 3 genovese

 
Le colpe dei padri non dovrebbero cadere sui figli, così le colpe delle direzioni non dovrebbero ricadere sui suoi dipendenti.

Non dovrebbe succedere, ma succede.

IL FATTO.

Un utente muove una causa penale ai danni di una nostra iscritta.

Accusa danni subiti durante una salasso terapia.
Ci sta, però…. c’è un però grande come una casa: la collega perseguita non è la responsabile dell’errata manovra.

La situazione è assolutamente kafkiana.

La sua colpa è di essere la sola persona abilitata a trovarsi nel posto dove si è consumato il fatto.

Solo lei ha i requisiti perfetti per essere un capro espiatorio.

Carenza di personale, limitazioni che non vengono neppure prese in considerazione, il collega estemporaneamente assegnato al reparto ha un’esigua esperienza nell’attività specifica e non si era provveduto ad una congrua istruzione o affiancamento se non proprio da parte della collega “imputata” già gravata da una mole di lavoro eccessiva per una persona sola.

Altro tratto kafkiano alla vicenda: si viene a sapere che l’Azienda ha comminato una sospensione per motivi disciplinari gravi al collega chiamato a supportare la collega oberata da pesantissimi carichi lavoro.

La sospensione però inspiegabilmente non viene applicata se non dopo mesi.

Siamo alla sospensione della sospensione!

Perché una tale bizzarria?

A copertura di una casella vuota è sembrato utile far figurare un nome.

La copertura è posticcia perché tutto il peso dell’attività ricade solo sulle spalle di chi è in grado di essere operativo.

La copertura di chi non può esserlo è un puro ed inutile artificio.

Ma tant’è che la nostra collega pur estranea all’incidente (stravaso da perforazione accidentale di un’arteria) è il solo nome da dare in pasto alle rivalse della paziente alla quale, peraltro, il medico non ha neppure fatto firmare un consenso informato perché non ritenuto necessario, dai dirigenti.

Il collega “aggregato” non doveva e non poteva essere schierato il quel contesto lavorativo.

Il suo profilo non è spendibile.

Il suo nome non può figurare nelle carte, peraltro inesistenti perché nonostante le ripetute richieste, proprio da parte della nostra iscritta, quel reparto, accreditato per “qualità” , non ha in uso documentazione clinica per l’attività ambulatoriale, non ha neppure un prospetto della turnazione del personale infermieristico presente.

Molte operazioni di facciata, ma il concreto è tutta un’altra cosa rispetto a quanto vogliono mettere in bella mostra.

Per trarsi d’impaccio i vari livelli gerarchici attuano una sorta di omissis che di fatto si traduce in un “fuoco amico” che investe suo malgrado la collega.

La sua colpa?

Essere presente sul lavoro e farsi carico di una situazione gravida di urgenze e pericoli e comunque cerca di dare il meglio del suo impegno nelle condizioni date.

La Direzione che dovrebbe garantire condizioni di lavoro sufficientemente sicuro e una adeguata dotazione di personale ha pensato bene, cioè male, di occultare le vere responsabilità e scaricare sulla collega l’onere della difesa per colpe non sue.

INSEGNAMENTI DA TRARRE: denunciare sempre e per iscritto le condizioni di rischio in cui si opera.

Fatto?

Certo, ma è rimasto inascoltato.

Mettere in luce che le condizioni di lavoro ci sono imposte e non volute.

Fatto?

Fatto anche quello, ma si sa, certi dirigenti hanno il cattivo vizio di far la faccia brutta o ancora peggio, accusare di offesa al decoro aziendale chi muove critiche alla gestione sino ad attivare al mobbing, allo straining e persino alle ritorsioni disciplinari.

E’ successo in varie strutture sanitarie nazionali: Genova, Roma, Varese ecc.

Il non farlo però ci rende corresponsabili delle malefatte.

La narrazione della malasanità deve servire solo d’abbinamento ai cosiddetti “furbetti del cartellino” ma tacere sui furboni dei piani alti?

Il cittadino che lancia l’allarme per un muro pericolante svolge un dovere civico, lo stesso deve valere in ambito sanitario.

Questo condotta ha anche un significato di autotutela, attiva una sorta di assicurazione a futura memoria per evitare che le responsabilità rotolino sempre verso il basso dal super manager al primario, al medico, infermiere fino all’addetto alle pulizie.

S.I. Cobas