Smentendo tutti i teorici chiacchieroni, sostenitori della scomparsa delle classi e della fine della lotta di classe, la realtà ancora una volta dimostra di superare la fantasia.
Il movimento dei gilet gialli, nato nelle periferie urbane contro l’aumento di sei centesimi al litro per il gasolio, in breve tempo si è esteso e diffuso in tutto il paese riversandosi nella capitale.
La radicalizzazione della lotta, gli scontri di piazza con la polizia hanno affinato gli obiettivi facendola diventare da lotta economica una lotta politica.
L’aumento di sei centesimi al litro del gasolio per autovetture è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché si tratta di un’ulteriore penalizzazione per chi vive fuori dai centri urbani; quindi visto come un nuovo taglio ai salari, agli stipendi, al reddito dei piccoli lavoratori autonomi.
Il movimento è cresciuto e, con la consapevolezza della forza che acquistata nella lotta, sono maturati obiettivi, parole d’ordine e rivendicazioni precise sul salario, sul diritto alla casa, contro le privatizzazioni, per l’innalzamento a 1.300euro del salario minimo e per la reintroduzione delle tasse sui grandi capitali.
A rafforzare questo movimento di massa, di “popolo”, in cui lottavano a fianco a fianco frazioni di varie classi sociali sottomesse, sono arrivati gli studenti dei licei tecnici e delle università, dove sono massicciamente presenti le terze e quarte generazioni degli immigrati, portando nuove energie nella lotta e nello scontro con lo stato.
Un movimento che si è saldato con i figli delle banlieues, operai e lavoratori protagonisti delle lotte contro la “loi travail”.
Sabato 1 dicembre erano in tanti/e nelle strade.
Così anche sabato 8, dopo che si erano tenute a Saint-Denis assemblee molto partecipate con un obiettivo politico chiarissimo: non lasciare spazio all’estrema destra dentro la rivolta.
La protesta è proseguita anche il 22 dicembre 2018 con imponenti manifestazioni che hanno visto scendere in piazza decine di migliaia di persone a Parigi e in varie città della Francia, con scontri fra manifestanti e polizia nella capitale.
Una protesta che oltre ai feriti degli scontri fra polizia e manifestanti ha provocato un morto ai margini delle manifestazioni, portando finora, secondo le stime del governo, a 11 i morti per incidenti stradali durante le lotte nelle piazze e nelle strade di Francia.
Il carattere politico di una classe che va definendosi sempre più nei suoi obiettivi è rappresentato dalla parola d’ordine “Bourgeois Paris soumet toi!” (“Parigi borghese sottomettiti, arrenditi!”), lo slogan del quarto sabato di rivolta e degli scontri a Parigi e nel resto della Francia.
Per cercare di frenare questo movimento che la repressione non ha sconfitto e che rappresenta un pericolo mortale per la borghesia, spezzando la pace sociale tanto utile allo sfruttamento capitalistico, il presidente Macron è stato costretto a intervenire e – parlando in diretta tv alle 20 dall’Eliseo il 10 dicembre – dopo aver affermato, “Saremo intransigenti con i violenti”, ha promesso misure di aiuto al reddito e ai pensionati e una rinnovata lotta all’evasione fiscale.
L’ultimo tentativo di compromesso che aveva lanciato, il 27 novembre, era stato vano. In quell’occasione aveva fatto una piccola concessione sulle accise “modulate” sul prezzo del greggio.
Come si sa, non era servito a fermare la protesta.
Per placare la protesta che ormai si è allargata a una miriade di fronti, il capo dello Stato francese mette sul piatto due gesti concreti: l’aumento di 100 euro del salario minimo (oggi pari a 1.184 euro netti mensili) e l’abolizione di nuovi prelievi sulle pensioni sotto i 2 mila euro.
Il pacchetto comprende anche la defiscalizzazione degli straordinari (molto usati, dato l’orario legale delle 35 ore settimanali) e del premio di fine anno da parte delle imprese.
Parlando con alcuni sindaci lo stesso Macron aveva ammesso di aver fatto alcune “cavolate”, come l’aumento della Carbon Tax, il taglio di 5 euro ai sussidi sulla casa, e la limitazione a 80 chilometri orari nelle strade statali.
Tutte misure impopolari, che hanno contribuito a fomentare la protesta. Per il sistema del lavoro salariato, la democrazia borghese e la pace sociale per i borghesi è il miglior modo per governare e sfruttare i proletari.
La crisi economica ha impoverito progressivamente negli ultimi anni le classi sociali sottomesse aumentando la proletarizzazione di imponenti masse di piccola e media borghesia.
Le classi sottomesse, che negli anni scorsi hanno delegato i vari rappresentanti della borghesia a rappresentare i loro interessi e si erano illuse di aver votato partiti che difendevano i loro interessi e conquistato posizioni sociali, si sono ritrovate con un pugno di mosche in mano.
La dura realtà della crisi economica e delle misure antiproletarie decise dal governo Macron li ha costretti a mobilitarsi, facendoli scendere nelle strade senza delegare a nessun partito o sindacato i loro interessi, dimostrando al proletariato europeo come si risponde all’immiserimento crescente.
In un mese di lotta nelle strade e nelle piazze il presidente Macron, è stato costretto a fare concessioni alle classi sociali unite nel “popolo” dei gilet gialli, più di quante il governo giallo-verde in Italia ne ha promesse e realizzate in otto mesi di chiacchiere.
I gilet gialli hanno costretto il governo a ritirare i provvedimenti impopolari ma,preso coscienza della loro forza, non si fermano: vogliono le dimissioni di Macron, riconosciuto come il rappresentante dei borghesi di Francia.
La mobilitazione delle classi sottomesse ha costretto anche la commissione europea a concedere alla Francia lo sforamento del debito oltre il 3%; altroche un misero 2,04 come quello concesso e spacciato come vittoria dal governo Italiano di Salvini-Di Maio.
Il commissario europeo agli Affari economici e Monetari, Pierre Moscovici, ha concesso alla Francia di Emmmanuel Macron di sforare il tetto del 3% per finanziare le misure volte a sedare la crisi dei gilet gialli.
Le misure da 10 miliardi di euro annunciate dal presidente Macron per raffreddare la protesta dei manifestanti, secondo alcune stime, dovrebbero portare il deficit francese per il 2019 ad almeno il 3,4% del Pil.
Ancora una volta la lotta paga.
Senza delegare ai politici di turno i loro interessi e il loro futuro, un fronte interclassista fatto di proletari, sottoproletari e piccoli borghesi, cioè quelli che fanno fatica ad arrivare a fine mese anche lavorando con salari da fame, gli immiseriti dalla crisi economica e politica, i disoccupati che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, a cui si sono aggiunti gli studenti, hanno dimostrato – anche a costo di mettere a ferro e fuoco le strade e le piazze – che si può lottare e anche vincere.
Come sosteneva un vecchio slogan degli anni 70’ gridato dagli operai in lotta: “Con la pace sociale vince il capitale, con la lotta di classe vincono le masse”.
Michele Michelino, Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”- Anteprima di nuova unità