Pubblichiamo qui sotto l’articolo “Bonomi, Confindustria: li vogliamo lavoratori-soldati” realizzato dalla redazione de Il Pungolo Rosso e già disponibile sul loro sito.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
Bonomi, Confindustria: li vogliamo lavoratori-soldati
Si è appena insediato il nuovo presidente di Covindustria, Carlo Bonomi, forte di un 99,9% di consenso. Il suo discorso di insediamento merita un breve commento perché esprime al meglio la feroce determinazione con cui il padronato punta alla ripresa. A riprendere a macinare profitti dopo il tracollo economico di questi mesi.
Con l’uscita della Fiat di Marchionne (nel 2011) e quelle di Finmeccanica, UnipolSai, Salini Impregilo, Luxottica, etc. avvenute negli anni seguenti, la storica associazione degli industriali, già sponsor del fascismo e della DC, ha conosciuto un evidente declino di influenza politica, per la perdita di peso della grande industria privata e il contemporaneo rafforzamento del sistema bancario. Bonomi intende ora rilanciarla alla grande come il vero partito politico dei capitalisti italiani. Non a caso ha esplicitamente ritirato ogni forma di delega ai partiti esistenti, tutti ammalati a suo dire, specie quelli al governo, di “un forte pregiudizio anti-imprese”. Tesi che a noi suona provocatoria per come il governo Conte si è piegato alla pressione delle imprese lasciandole libere di fare tutto quello che hanno voluto, ma è invece ovvia in chi ha guidato la carica padronale per tenere aperto tutto, sempre, a qualsiasi costo – con gli operai, carne da macello.
Il programma bonomiano può essere riassunto così: tutto alle imprese, tutto per le imprese, tutto attraverso le imprese. Tutto alle imprese perché Bonomi ha respinto l’idea di prorogare il pagamento delle tasse, a favore del loro azzeramento, e per un fisco “che sia leva di crescita”, ossia sempre più leggero sulle imprese. Soldi a fondo perduto, detassazione del capitale, grandi investimenti di stato a favore del sistema imprenditoriale (privato e statale), con priorità a Industria 4.0 e Fintech 4.0. Tutto per le imprese nel senso che lo stato deve intervenire attivamente come soggetto di spesa (e di indebitamento), ma non deve “tornare ad essere gestore dell’economia” – questo compito va lasciato in esclusiva ai capitalisti. Tutto attraverso le imprese perché “reddito e lavoro a milioni di italiani possono darlo solo le imprese e i mercati”, e nessuno può sostituirle in questa nobile missione.
E i sindacati? “I sindacati debbono cambiare”. Accettando che al tavolo dei contratti la piattaforma rivendicativa la presentino i padroni, dettando loro gli argomenti da trattare. Il primo: l’aumento della produttività. Il secondo: la prevalenza dei contratti aziendali su quelli nazionali (il colpo di grazia al contratto nazionale). Il terzo: la fedeltà incondizionata ai contratti-capestro sottoscritti, “i patti devono essere mantenuti”.
Quanto ai proletari dell’industria, Bonomi gli ha dedicato una citazione di Luigi Einaudi circa la decadenza dell’impero romano. Una delle cause di questa decadenza, sostenne il libero-schiavista Einaudi, fu che “i cittadini romani, a furia di promesse politiche di coloro che esercitavano il comando, sdegnavano di essere lavoratori-soldati perché spinti dall’illusione di esser mantenuti dallo stato” (chiaro?). Mantenute dallo stato possono essere solo le imprese! E immancabile è arrivato l’ok bonomiano al prestito di 6,3 miliardi per FCA garantito dallo stato (sia pur con il vincolo che questi fondi vengano spesi in Italia).
Ecco il succo del discorso di investitura e della successiva incoronazione di Bonomi a Porta a porta. La voce del padrone (del capitale). A quando la voce dei “lavoratori-soldati”?
P. S. – Non poteva mancare, e non è mancato, l’avvertimento sulla necessità di rientrare quanto prima dal vertiginoso sforamento del bilancio deliberato per il 2020. Addirittura , secondo Bonomi, già dalla “prossima legge di bilancio”, in autunno, “occorrerà [formulare] un credibile piano di rientro a cui vincolare il sostegno europeo per continuare a ricevere gli ingenti investimenti di cui l’Italia avrà bisogno per anni”. Dunque: oggi sforare senza limiti il bilancio per sostenere le imprese, e subito dopo stringere d’accordo con la UE il cappio intorno al collo dei lavoratori per programmare la “riduzione strutturale del maxi debito pubblico italiano”. Come si possa sostenere con argomenti “marxisti” l’indifferenza politica in materia di debito di stato e di sistema fiscale, è davvero impossibile capirlo.
Infatti… non si può.