IL CORONAVIRUS IMPRIME UN’ACCELERAZIONE ALLE CONTRADDIZIONI ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI DI QUESTO SISTEMA
Un articolo a firma Aidan Yao, del South China Morning Post, 2 luglio 2020, evidenzia alcuni nodi cruciali che il sistema economico capitalistico globale si trova ad affrontare in questa fase della crisi sanitaria, economica e politica innescata dalla pandemia.
Gli interrogativi si concentrano su questioni “tecniche”, ed evitano di occuparsi dei fattori soggettivi, sociali, umani della crisi, quasi che crisi o sviluppo umano
possano essere ridotti ad abilità tecniche, meccaniche.
È in gioco, sul lungo periodo, la sopravvivenza stessa del sistema. Sistema che da una parte è costretto a ricorrere a sostanziali interventi degli stati nazionali, tramite le banche centrali, a sostegno e per la ripresa dell’economia, mentre dall’altra questi stessi interventi contribuiscono a, e fanno prefigurare, un’intensificazione delle contraddizioni insite nei meccanismi oggettivi del capitalismo, che essi vorrebbe
perpetuare.
Le contraddizioni primarie sono quelle sociali, l’acuirsi delle ineguaglianze tra le classi, e con ciò il rischio di movimenti di rivolta di massa e di sovvertimenti radicali.
Che questo avvenga o meno non dipende solo dalla “resilience” della classe al potere ma, in modo sostanziale, anche dalla consapevolezza – a cui i rivoluzionari sono chiamati a contribuire – delle classi sfruttate e oppresse della necessità, e possibilità, di un balzo storico della intera umanità.
La pandemia contribuirà ad accrescere l’ineguaglianza di reddito, le tensioni Usa-Cina e il divario tra Wall Street e gente comune.
Gli stati delle varie borghesie nazionali, tramite le Banche centrali, non possono fare marcia indietro sul sostegno monetario, ma devono affrontare una serie di questioni se vogliono arrestare un’ulteriore polarizzazione dell’economia, della società e dell’ordine politico, e impedire che, forse in un futuro non troppo lontano, giunga quella che potrebbe essere la madre di tutte le crisi.
La crisi Covid19 ha accelerato una serie di trasformazioni a livello mondiale, già in corso prima della pandemia, che possono essere sintetizzate come “distacchi/divari”.
Il primo è quello tra ricchi e poveri. La quota di reddito dell’1 per cento superiore della popolazione statunitense è raddoppiata, dal 10 al 20%, dagli anni 1970, mentre la quota del 50% inferiore è diminuita dal 20 al 12%.
Simile tendenza di ampliamento dell’ineguaglianza economica anche per l’Europa, anche se in misura minore.
La crisi Covid19 ha contribuito a ciò in due modi.
Primo: ha distrutto i posti di lavoro a basso salario, rendendo disoccupati milioni di persone negli strati sociali inferiori, mentre quelli degli strati superiori sono stati meno colpiti, anche per la possibilità di lavorare da casa.
Secondo: il rapido apprezzamento delle attività finanziarie, grazie al generoso sostegno delle banche centrali, ha permesso di arricchirsi a coloro che le possiedono, peggiorando in termini relativi la situazione economica degli altri.
Il secondo divario è quello in corso a livello politico internazionale, in particolare si manifesta nelle relazioni Usa-Cina; è prevedibile che in vista delle presidenziali americane si inasprirà ulteriormente il conflitto già in corso tra la prima potenza mondiale e quella in ascesa su commercio, investimenti, tecnologia e geopolitica, a cui si è aggiunto lo scontro sull’origine della pandemia.
Il terzo divario tra l’economia del mondo reale e i prezzi dei mercati finanziari, già in corso prima della pandemia.
Nel decennio seguito alla crisi finanziaria globale, gli Usa hanno visto coesistere il più forte e lungo ciclo del mercato azionario con la ripresa economica più debole del dopoguerra. Lo shock del Covid19 ha interrotto entrambi bruscamente, ma l’interruzione del mercato finanziario è stata breve, e le azioni Usa, ma
anche globali sono in ripresa da fine di marzo.
L’economia globale invece ha fortemente patito per gli effetti diretti e indiretti dello shock Covid19.
Non è affatto certo che ci potrà essere una sostenuta ripresa economica, al di là di un rimbalzo automatico a breve. E questo potrebbe produrre un distacco duraturo tra la gente comune e Wall Street, come già accaduto negli anni seguiti al quantitative easing.
Gli interventi delle Banche centrali sono stati una delle cause del divario tra economia reale e mercati finanziari, e con ciò hanno contribuito anche all’ampiamento del divario di ricchezza.
Nel breve periodo non è auspicabile che le banche centrali ritirino il loro supporto finanziario a causa la recessione economica globale, ma questa politica finanziaria ha avuto effetti strutturali.
Gli stati devono chiedersi:
- Se rimane la depressione economica, quanto allentamento monetario aggiuntivo è possibile? I tassi di interesse possono diventare negativi e l’allentamento quantitativo può essere illimitato?
- I programmi di allentamento quantitativo acquistano attività più rischiose, che effetto ha questo sul meccanismo dei prezzi di mercato? Una maggiore tolleranza al rischio derivante da queste azioni non può in seguito produrre bolle speculative e crisi?
- Come possono le Banche centrali uscire dall’attuale condizione di emergenza se non c’è inflazione, come è accaduto dopo la crisi finanziaria globale? La linea politica attuale diverrà la nuova normalità?
- Come si comporteranno le banche centrali divenute i maggiori creditori dell’economia, dato che detengono una montagna di debito pubblico e privato. Lasceranno che le forze di mercato agiscano liberamente e accetteranno fallimenti, e in questo caso servirà il denaro dei contribuenti per coprire le perdite?
Oppure cercheranno di evitare fallimenti, e quindi occorrerà sempre nuova liquidità, per sostenere imprese fallite, creando gruppi fantasmi come accaduto nei decenni persi in Giappone.