Lavoratrici dell’abbigliamento in Asia in lotta a difesa di sindacato e posto di
lavoro
Lo scorso maggio 324 lavoratrici, di cui 298 iscritte al sindacato, della fabbrica tessile Rui-Ning in Myanmar – che produce per marchi come Inditex (Zara), Mango, Bestseller (Only), TallyWeijl e Balala – sono state licenziate a seguito della loro adesione ad un sindacato, tra cui Kyaw Thu Zaw, il presidente del sindacato.
Dopo vari mesi di lotta, con sit-in permanenti fuori dalla fabbrica e con appelli alla solidarietà internazionale, le lavoratrici hanno vinto la loro battaglia per il reintegro, e contro le discriminazioni anti-sindacali.
La proprietà si è impegnata a reintegrare il presidente del sindacato e a iniziare i negoziati con le rappresentanti dei lavorati riguardo alla priorità di assunzioni di lavoratori colpiti dai licenziamenti.
Stesso caso nella fabbrica Huabo Times e MyanMode, che producono per Zara, Primark e Mango, Nella Huabo Times sono state licenziate 100 lavoratrici, di cui 26 iscritte e 4 dirigenti del sindacato (1).
Il padronato ha giustificato i licenziamenti con l’impatto di Covid, ma poche settimane dopo ha spostato 200 lavoratrici da un altro suo stabilimento per terminare la produzione.
Presso MyanMode a fine marzo sono stati licenziate 571 delle 1270 dipendenti, con la giustificazione della crisi dovuta al Coronavirus, ma la fabbrica ha continuato a produrre con 700 lavoratori non sindacalizzati. I licenziamenti sono stati comunicati poco dopo una riunione dei leader sindacali con la direzione in cui, per timore dell’infezione Covid, chiedevano che gli straordinari non fossero più obbligatori.
520 dei licenziati erano iscritti al sindacato.
La settimana seguente ne sono state licenziate altri 50 solo per aver dimostrato
solidarietà con le compagne licenziate.
MyanMode ha una lunga storia di scioperi per migliori salari e condizioni di lavoro.
A seguito delle proteste (inizialmente 5 giorni di sit-in ai cancelli, poi ricorrendo ai media e alla solidarietà internazionale dopo che le autorità hanno vietato gli assembramenti per Covid19) sono stati reintegrate lavoratrici licenziate iscritte e dirigenti del sindacato e entro due mesi lo saranno altre 50, che avevano aderito ad uno sciopero di protesta, mantenendo la stessa posizione, benefit, salari e anzianità. Un fatto inedito negli ultimi anni.
L’accordo raggiunto il 30 maggio prevede il reintegro delle rimanenti 545 lavoratrici licenziate quando la produzione si normalizzerà con la fine della pandemia.
La direzione si impegna a non discriminare il sindacato, affinché l’accordo venga rispettato, la società ha accettato la creazione di un comitato di controllo in consultazione con ONG, che comprendono il Solidarity Center e in cooperazione con enti come ILO.
Inditex ha dichiarato che intende adottare l’approccio che ha portato ad un accordo presso MyanMode, anche per Rui-Ning e Huabo Times.
«Il fattore centrale della nostra vittoria è stata la determinazione dei nostri iscritti – ha dichiarato una leader del sindacato FGWM – ora padrone e marchi non potranno più ignorare completamente le nostre rivendicazioni».
Il sindacato sta combattendo contro la repressione anti-sindacale in altre fabbriche che forniscono abbigliamento agli stessi marchi legati a MyanMode.
Le lavoratrici hanno scritto una lettera ad Amancio Ortega, il proprietario del gruppo Inditex, chiedendo di essere reintegrate e denunciando le condizioni di lavoro.
«La direzione aziendale ha sfruttato la crisi mondiale come opportunità per sfasciare i nostri sindacati, licenziando in massa i membri».
Ortega detiene una fortuna personale di 62mila milioni di €, ed è tra i 10 uomini più ricchi del mondo.
Il segreto della sua fortuna si chiama sfruttamento, lavoro semischiavistico e persecuzioni anti-sindacali, licenziamenti di massa.
Dimenticando i metodi da lui usati, in Spagna, l’impresa di Ortega è stato elogiata, anche dalla ministra del lavoro, per non aver fatto ricorso alla ERTE, e aver continuato a pagare ii salari durante tutto il lockdown, Ortega è definito un grande esempio di impresario.
Similmente marchi come HM, Mango e Primark stanno conducendo campagne
ambientaliste e a difesa dei gay, mentre in India e nel Sudest asiatico traggono enormi profitti con lo sfruttamento di migliaia di lavoratori.
È una prima vittoria della battaglia contro l’industria del tessile-abbigliamento, con cui i grandi marchi europei traggono super-profitti dalla mano d’opera nel Golfo del Bengala, in India o America Latina.
Il capitalismo globalizzato vuole imporre nuove relazioni di lavoro approfittando dell’internazionalizzazione delle catene di subappalto, e dello sfruttamento
gerarchizzato della forza lavoro mondiale, con costi minori, peggiori condizioni di lavoro e maggiore difficoltà di organizzazione sindacale.
In India stanno moltiplicandosi le proteste dei lavoratori del tessile.
Ad inizio giugno a Bangalore, la fabbrica Euro ClothingCompany – II, del gruppo GokaldasExport, ha chiuso adducendo come causa la pandemia Covid19.
1300 dipendenti sono state licenziate senza ricevere il salario per il lavoro già prestato.
Nelle ultime tre settimane hanno protestato con picchetti davanti ai cancelli della fabbrica.
Si vive di denaro a prestito, non è possibile trovare un altro lavoro a causa della pandemia.
Da quando il 24 marzo il governo indiano ha imposto il lockdown con sole 4 ore di preavviso, milioni di lavoratori sono rimasti disoccupati, e molti hanno intrapreso un viaggio a piedi per tornare nelle loro famiglie.
Quando è iniziata alla riapertura delle fabbriche, alcune non hanno garantito il trasporto per i viaggiatori, costringendoli a percorrere anche lunghe distanze a piedi per recarsi al lavoro.
Sui social media ci sono quelli che difendono i marchi europei, sostenendo che i grandi marchi non possono dar nulla, perché p tutta colpa delle fabbriche in subappalto …
Un modo cinico per nascondere che il modello di delocalizzazioni e supersfruttamento generalizzato negli ultimi decenni ha permesso a questi gruppi di intascare enormi fortune.
Clean Clothes Campaign (Campagna per l’abbigliamento pulito) denuncia che nonostante i grandi marchi dicano di contrastare le azioni anti-sindacali, finora non l’hanno fatto.
Questo tipo di denuncia è cessata per molti anni.
Ora i lavoratori hanno cominciato a ribellarsi contro la loro condizione, aggravata dalla crisi mondiale Covid.
Da una lettera dei sindacati operai di MyanMode e Ruin-Ning:
“A Inditex, Mango e Bestseller, noi lavoratrici… che produciamo il vostro abbigliamento…
Lavoriamo 10-12 ore al giorno, 6 giorni la settimana per farvi guadagnare, per un salario che si aggira sui 3 al giorno…
Promettere di difendere i nostri diritti umani… durante al pandemia… ma abbiamo
capito che non avreste protetto i nostri diritti quando le nostre fabbriche hanno
approfittato di Covid19 per attaccare le nostre organizzazioni sindacali.
Vi abbiamo chiesto aiuto, ma voi ci avete ignorato poiché avete attaccato i nostri iscritti e dirigenti sindacali licenziandoli, per distruggere i nostri sindacati…
Avete detto che i licenziamenti presso Ruin-Ning – sono legittimi e “fatti in ottemperanza alle leggi sul lavoro di Myanmar”,…
Ma voi sapete che la debole legislazione sul lavoro del nostro paese non rispetta a pieno gli standard internazionali del lavoro…”
Cambogia
Superl Holding che produce borsette di lusso per Michael Kors, Jimmy Choo, Kate Spade, Coach e Versace ha presentato una denuncia contro una lavoratrice, Soy Sros, per incitamento al disordine sociale, aver diffamato la fabbrica e diffuso “notizie false”.
Il Tribunale ha aggiunto altre due accuse per provocazione, che prevedono fino a tre anni di carcere.
Il trattamento riservato a Sros… e il silenzio dei marchi… incute grande timore tra i
lavoratori cambogiani.
E alimenta il timore degli attivisti per i diritti dei lavoratori che Covid-19 sta fornendo una copertura per la repressione delle voci dei lavoratori in tutto il settore tessile-abbigliamento. Sros, che è anche una rappresentante sindacale,… ha trascorso 55 giorni in detenzione preventiva…
La copertura data dai media e la campagna condotta dal sindacato di Sros hanno costretto Superl Holding a lasciar cadere le accuse.
Sros è tornata al lavoro, rimangono però pendenti le accuse mosse dal governo.
Pakistan
Il tessile-abbigliamento è il maggior settore manifatturiero del paese, il secondo
datore di lavoro dopo quello agricolo; rappresenta quasi il 9% del PIL e il 70% delle
esportazioni del paese, dirette principalmente negli USA, in Cina UK e Germania.
La maggior parte dei proprietari delle fabbriche tessili usano la crisi del Coronavirus per licenziare; la crisi del settore era già in corso e la pandemia l’ha accelerata.
Il primo ministro Imran Khan ha chiesto alle società di non licenziare perché milioni di lavoratori era a rischio di morire di fame a causa della pandemia.
La provincia di Sindh ha emesso un’ordinanza che proibisce i licenziamenti e ha istituito un fondo di emergenza per i lavoratori.
A Lahore centinaia di lavoratrici/ori del tessile-abbigliamento hanno organizzato uno sciopero contro il mancato pagamento dei salari in diverse fabbriche, accusano il padronato è accusato di trattare i lavoratori come merce di cui disporre liberamente.
La polizia ha caricato con i manganelli e sparato a centinaia di lavoratrici/ori disarmati che protestavano chiedendo migliori condizioni di lavoro e salariali, fuori da una fabbrica che produce denim per marchi internazionali, e che dall’inizio della pandemia di Coronavirus ha licenziato oltre 15mila operai, una parte senza neppure comunicazione scritta.
Le chiusure con i licenziamenti, e la sospensione del normale bonus festivo, che consente ai migranti dalle campagne di tornare a casa prima della festa di Eid, che segna la fine del Ramadan, ha gettato molti dei manifestanti nella disperazione.
L’anno scorso Human Rights Watch ha denunciato le fabbriche dell’abbigliamento del Pakistan per eclatanti violazioni, compreso il mancato pagamento del salario minimo, la costrizione a straordinari non retribuiti, il mancato congedo per malattia e pause inadeguate.
Le fabbriche possono licenziare facilmente perché l’85% dei lavoratori è senza contratto; pochi lavoratori hanno il denaro necessario per intentare causa.
Bangladesh
La pandemia Covid19 ha colpito duramente i milioni di lavoratrici/ori del tessile-
abbigliamento, con i marchi internazionali che hanno cancellato o sospeso ordinativi del valore di 3,18 miliardi di $, equivalenti ad un mese di esportazioni, riguardanti 2,28 milioni di lavoratrici di 1150 fabbriche.
Il settore rappresenta circa l’80% delle esportazioni del paese, è pari a circa 40 miliardi di $ annui, impiega circa 4,1 milioni di addetti per l’80% forza lavoro
femminile.
Oltre 1 milione di loro è stato licenziato (dati ad inizio aprile), sorte comune alle lavoratrici/ori del settore di Cambogia, India, Myanmar, Vietnam.
Il 58% dei fornitori di abbigliamento bengalesi hanno dichiarato di aver sospeso la maggior parte se non tutte le attività; circa il 72% degli appaltatori ha rifiutato di coprire i costi delle materie prime già acquistate dal fornitore, e il 91 di pagare i costi di produzione. Solo H&M e PVH Corp. proprietario di Tommy Hilfiger e Calvin Klein si erano già impegnati a pagare la merce già in produzione; si sono in seguito impegnati a pagare ordini già finiti o in produzione anche altri gruppi tra cui il proprietario di Zara, Inditex, Target Polish clothing company LPP. Primark
(Dublino) è il gruppo con il maggior numero di ordinativi cancellati o sospesi.
Nel 2019 Primark ha avuto un fatturato di circa 7,8 miliardi di £ e guadagni per 913 milioni di £, ed è il proprietario del gigante dell’alimentazione Associated British Food, fatturato 2019 pari a £15,8 MD e profitti per £1,4 MD.
I gruppi della moda possono ricorrere alle clausole di “forza maggiore” che li libera dagli impegni contrattuali in caso di circostanze eccezionali.
La questione delle cancellazioni di ordinativi è stata sollevata dal ministro degli Esteri bengalese con il ministro per il commercio estero e la cooperazione allo sviluppo olandese, dopo la riapertura di oltre 2356 (su un totale di 7602) fabbriche del tessile-abbigliamento, nonostante il rischio Coronavirus per i lavoratori.
Il Bangladesh ha annunciato un pacchetto di stimoli per 588milioni di $ per le industrie orientate all’export.
Delle fabbriche riaperte circa 1300 sono nelle aree industriali di Savar, Ashulia, Gazipur e Narayanganj attorno alla capitale Dhaka.
Decine di migliaia di lavoratori del tessile-abbigliamento hanno lasciato Dhaka dopo il lockdown Covid annunciato il 26 marzo.
Notizie tratte da: Esquierda diario Brasil; The Nation; business-humanrights.org; CCC rejoinder; Guardian 17.07.2020; Xinhua.
(1) Inditex appalta nelle tre fabbriche, Myan Mode, Rui-Ning e Huabo Time; Besteseller da Rui Ning e Huabo Times, mentre Mango e Primar da Myan Mode e Huabo Times.