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[CONTRIBUTO] Libano. Presa di posizione della Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Pubblichiamo qui sotto (nella versione italiana e inglese) il contributo dei compagni della Tendenza internazionalista rivoluzionaria “Libano. Presa di posizione della Tendenza internazionalista rivoluzionaria“, già disponibile sul sito della redazione Il Pungolo Rosso (vedi qui).

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


Libano.

Presa di posizione della Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Contro gli avvoltoi occidentali, che cercano di profittare della tragedia libanese.

Pieno sostegno al movimento di massa in rivolta,

che ha abbattuto il governo Diab e vuole mettere fine al regime confessionale.

Le terribili esplosioni del 4 agosto hanno precipitato il Libano, già sconvolto da una crisi economica devastante, nella tragedia. Che si sia trattato di un criminale attacco israeliano, come è possibile, oppure di criminale incuria delle autorità libanesi, una cosa è certa: dall’istante dopo le esplosioni, gli avvoltoi occidentali si sono fiondati a Beirut per banchettare sui suoi lutti. Uno per tutti, E. Macron, a rappresentare la vecchia potenza coloniale francese e le altre potenze occidentali che bramano di riportare il Libano sotto il loro dominio. La conferenza internazionale-lampo allestita da Macron insieme con Trump, Michel (per l’UE), Conte per l’Italia, Sanchez per la Spagna, il FMI, la BM, e cioè i massimi rapinatori esterni delle ricchezze libanesi, si è conclusa con un diktat: vi diamo 250 milioni di euro, ma dovete fare subito le “riforme” che vi dettiamo noi, svendere quel che resta da svendere del Libano e privatizzare/‘liberalizzare’ tutto. Sul piano geo-politico questa iniziativa, di cui è parte integrante Israele, tende anche a marginalizzare Hezbollah e sottrarre spazio all’asse Siria-Iran-Russia.

Ma in campo, in Libano, c’è anche un altro soggetto: il movimento di massa ribelle scoppiato il 17 ottobre dello scorso anno. Esso è tornato a manifestare in questi giorni per la “rivoluzione” con una rabbia intensificata attaccando le sedi del governo e del potere bancario, e ha imposto infine dalla piazza le dimissioni del governo “corrotto e incapace” di Diab. Ancora una volta il moto internazionale delle masse oppresse e sfruttate del mondo arabo ha mostrato al mondo intero la sua volontà, la sua capacità di battersi contro i propri governi e regimi, e ci chiama al sostegno incondizionato e alla controinformazione necessaria per contrastare le visioni deformate e deformanti degli avvenimenti in corso in Libano e in tutta la regione.

La grande forza del movimento di rivolta libanese è stata, fin dal suo inizio, quella di indicare la necessità di mettere fine al regime confessionale-cantonale ereditato dal colonialismo francese, architettato per conservare divise le classi lavoratrici libanesi secondo arcaici confini religiosi o etnici, e – all’occorrenza – scagliarle le une contro le altre. Un regime che ha favorito una molteplicità di cricche di potere parassitanti sul corpo degli sfruttati e una ristretta, ma ricchissima borghesia, gonfiatasi anche con i proventi del debito di stato, che ha investimenti in diversi paesi esteri e ha tessuto fitti rapporti con le monarchie del Golfo e i circoli del capitale globale.

La debolezza del movimento libanese è nell’assenza di una chiara prospettiva per il dopo – il dopo la cacciata dell’attuale nomenklatura politica che non ha saputo evitare il pauroso degrado delle condizioni di vita e di lavoro della grande maggioranza dei libanesi, e il precipitare nell’emarginazione, nella miseria e nella fame della grande maggioranza dei profughi palestinesi e siriani.

L’abbiamo già visto ovunque hanno attecchito i partiti “populisti”, inclusa l’Italia: il grido “se ne vadano tutti all’inferno” (i membri della “classe politica”), benché sia sacrosanto, non basta ad aprire una nuova strada che corrisponda agli interessi delle classi lavoratrici, e conduca alla sola rivoluzione con cui possono liberarsi: la rivoluzione sociale anti-capitalista. Per centrare questo obiettivo, servono al movimento di lotta un chiaro programma politico e la corrispondente strategia e organizzazione politica, armi necessarie per contrastare gli agguerriti e scaltri nemici interni ed esterni di ogni cambiamento che sia realmente, non solo a parole, rivoluzionario – in Libano tra tali ostacoli c’è anche Hezbollah, cresciuto da un lato con la coraggiosa resistenza ad Israele, dall’altro con la gestione clientelare e settaria della povertà, risolutamente contrario a porre fine al regime confessionale.

Gli avvoltoi occidentali provano a profittare proprio del lato debole del movimento. Loro, i progettisti e i tutori del sistema confessionale-cantonale detestato dalle piazze in rivolta, si travestono da paladini delle richieste del movimento di lotta. Macron, il violento repressore dei gilets jaunes, il portaborse dei banchieri, il fornitore dei gas lacrimogeni usati dalla polizia libanese, che si traveste da sans-coulotte amico dei dimostranti che si battono con le forze della repressione e danno fuoco alle banche, è credibile quanto Netanyahu, lo spietato carnefice dei palestinesi e il nemico giurato della liberazione dei popoli arabi, che fa illuminare Tel Aviv con i colori della bandiera libanese e offre aiuti e l’intervento della propria intelligence per fare chiarezza sull’accaduto! Non a caso il movimento ha subito respinto con decisione le avance di Macron e quelle, altrettanto provocatorie, di Netanyahu.

Non per questo, però, diventano credibili, come amici del movimento di lotta e dei lavoratori libanesi, i concorrenti dei neo-colonialisti d’Occidente: la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan, l’Iran degli ayatollah iper-borghesi che proprio in questi giorni reprimono gli scioperi degli operai dell’industria petrolifera, o la prudente Cina di Xi Jinping che si dice pronta a “farsi carico” della ricostruzione (degli affari della ricostruzione). Nessuna di queste forze statali intende intaccare i meccanismi di funzionamento del sistema capitalistico globale che in ogni crisi stritolano per primi i piccoli paesi dominati, e anzitutto i loro proletari e semi-proletari. Nessuna di esse è pronta a condonare il debito estero che strangola i libanesi.

La crisi globale del 2008 generò le condizioni per le grandi sollevazioni arabe del 2011-2012, poi schiacciate nel sangue o disperse dalla controffensiva delle borghesie arabe minacciate, con il sostegno di tutto l’establishment imperialista. Questa nuova e più profonda crisi globale, che porta con sé una nuova crisi petrolifera, si abbatterà con ancor maggiore violenza sull’intero mondo arabo e sul Medio Oriente. Questa area è gravida di sollevazioni rivoluzionarie, come si è visto dal 2018 in poi in Sudan, Algeria, Iraq, Iran, Libano, e con le nuove irriducibili proteste dei palestinesi di Gaza. Queste sollevazioni dovranno portare a termine gli obiettivi che già si sono dati – in Libano, ad esempio, la distruzione del sistema confessionale-cantonale che soffoca la vita dei lavoratori e della società, e più in generale, ovunque, il superamento delle pestifere divisioni su basi religiose e la conquista delle libertà fondamentali per le classi lavoratrici, a cominciare dalla libertà di sciopero e di organizzazione. Ma, come si vede in questi giorni con il ritorno di una rovinosa crisi sociale e politica in Tunisia, dovranno anche fare i conti con le illusioni di poter risolvere i propri problemi con un semplice ricambio del personale di governo, lasciando intatti i meccanismi della dominazione imperialista e la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Il recente movimento libanese ha cominciato a prendere forma nel 2012 con la lotta degli insegnanti e delle domestiche immigrate, e la nascita di Comitati sindacali di base che li organizzavano; si è poi interrato per riesplodere con altra ampiezza e tono politico il 17 ottobre del 2019, unendo al rifiuto del sistema settario una serie di rivendicazioni fiscali, ambientali, sociali (contro il carovita), e mettendo capo allo slogan “il popolo vuole abbattere il regime”, “rivoluzione”. In esso sono tutt’oggi mescolate, e quasi indistinguibili, le istanze di un giovane proletariato in larga parte senza lavoro e senza prospettive e quelle di un’ampia parte delle classi medie precipitata improvvisamente nel bisogno.

Questo magma ribollente di energie di più classi sociali ha davanti a sé sfide difficili sia perché tutte le potenze globali e regionali vogliono ingerirsi nelle vicende del Libano, sia perché le vecchie, e più o meno screditate, cricche confessionali non cederanno il passo facilmente. Soluzioni tipo un governo tecnico (i “tecnici” sono quasi sempre i portavoce del capitale), o un governo delle “classi professionali” ispirato al modello-Sudan, non sono in grado di dare alcuna soddisfazione ai bisogni vitali delle masse oppresse. Ci vorrà ben altro! I proletari e le proletarie che oggi sono in prima fila nelle piazze, la forza d’urto del movimento, quelli e quelle che si battono con la polizia e l’esercito, sono chiamati a diventare anche la guida politica del movimento stesso. Sono chiamati a respingere le sirene provenienti dai vecchi colonialisti, lupi mannari travestiti da agnelli. E a collegarsi con le risorgenti lotte di massa nel mondo arabo e medio-orientale, perché non c’è una soluzione rivoluzionaria della questione libanese presa a sé stante senza una completa rimessa in discussione di tutto l’ordine capitalistico internazionale nella regione – e nel mondo.

Quanto a noi rivoluzionari internazionalisti, la nostra posizione si può condensare in questo modo:

  • Pieno sostegno alla lotta degli oppressi e degli sfruttati libanesi, alla lotta delle donne libanesi che sono in prima fila nelle piazze, e alla continuazione di questa lotta fino alla vittoria contro l’attuale regime confessionale e i suoi padrini internazionali;
  • Immediata liberazione di tutti i manifestanti arrestati;
  • Imperialisti, giù le mani dal Libano e dal movimento di rivolta libanese! – riferito in primo luogo alle banche e alle imprese italiane (Intesa, Eni, Ansaldo, Maltauro. Cooperativa edile Appennino, etc.), al governo Conte, alle truppe italiane in Libano, di cui chiediamo il rientro immediato;
  • Immediata cancellazione del debito estero libanese; denuncia delle clausole strangolatorie che i paesi “donatori” vogliono imporre alle classi lavoratrici e alla nazione libanese;
  • Unità dei proletari di tutto il mondo arabo e medio-orientale nella lotta contro i loro regimi, e i loro protettori europei, yankee, israeliani e russi!

Proletarie e proletari di tutti i paesi del mondo, uniamoci! Uniti, siamo invincibili!

11 agosto 2020

Tendenza internazionalista rivoluzionaria


Lebanon.

Statement of the Internationalist Revolutionary Tendency

Against the Western vultures, who are trying to profit from the Lebanese tragedy.

Full support to the uprising mass movement,

which has overthrown the Diab government

and wants to put an end to the sectarian regime.

The terrible explosions of August 4 plunged Lebanon, already overwhelmed by a devastating economic crisis, into tragedy. Whether it was a criminal Israeli attack, as it is possible, or mere criminal negligence on the part of the Lebanese authorities, one thing is certain: from the instant after the explosions, the Western vultures rushed to Beirut to feast on its mourning. One for all, Emmanuel Macron, representing the old French colonial power and the other Western powers longing to bring Lebanon back under their rule. The lightning international conference set up by Macron together with Messrs Trump, Michel (for the EU), Conte for Italy, Sanchez for Spain, the IMF, the World Bank, that is the top external robbers of Lebanese wealth, ended with a diktat: we give you 250 million euros, but you must immediately make the “reforms” we tell you, sell off what is left of Lebanon and privatize/’liberalize’ everything. On the geo-political level, this initiative, of which Israel is an integral part, also tends to marginalize Hezbollah and sap the Syria-Iran-Russia axis.

But on the field, in Lebanon, there also is another player: the rebel mass movement which burst out last year on the 17th of October. It is back to demonstrate in these days for the “revolution” with an intensified anger by attacking the seats of government and of the banking power, and from the streets it has finally imposed the resignation of Diab’s “corrupt and incapable” government. Once again the international movement of the oppressed and exploited masses of the Arab world has shown the whole world its will, its ability to fight against its governments and regimes, and calls us to the unconditional support and counter-information needed to counter the distorted and warping visions of the events unfolding in Lebanon and throughout the region.

The great strength of the Lebanese uprising has been, since its inception, to indicate the need to put an end to the sectarian-cantonal regime inherited from French colonialism, designed to keep the Lebanese working classes divided according to archaic religious or ethnic boundaries, and – if necessary – to turn them against one another. This regime has favoured a multiplicity of parasitic power cliques sucking the blood out of the exploited masses, and a narrow, but very rich bourgeoisie, which has also swollen with the proceeds of the national debt, which has investments in various foreign countries and has woven close relations with the Gulf monarchies and the circles of global capital. The weakness of the Lebanese movement lies in the lack of a clear prospect for the time after – after the overthrow of the current political establishment, which was unable to avoid the frightening decay of the living and working conditions of a large majority of Lebanese people, and the marginalization and starvation of a large majority of Palestinian and Syrian refugees. We have already seen it wherever the “populist” parties have taken root, including Italy: the cry “let them all go to hell” (the members of the “political class”), although sacrosanct, is not sufficient to open a new road corresponding to the interests of the working classes, and leading to the only revolution by which they can free themselves: the anti-capitalist social revolution. In order to achieve this objective, the movement of struggle needs a clear political program and the corresponding strategy and political organization – weapons necessary to counter the aggressive and cunning internal and external enemies of any change that is really, not only in words, revolutionary. In Lebanon, among these obstacles there is also Hezbollah, which has grown on the one hand on its courageous resistance to Israel, and on the other on its patronage and sectarian management of poverty, resolutely opposed to putting an end to the sectarian regime.

Western vultures are trying to take advantage of the weaker side of the movement. They, the designers and guardians of the sectarian-cantonal system hated by the uprising crowds, disguise themselves as advocates of the demands of the movement of struggle. Macron, the violent suppressor of the yellow jackets, the bankers’ bagman, the supplier of the tear gas used by the Lebanese police, who disguises himself as a sans-coulotte friend of the demonstrators who fight against the forces of repression and set fire to the banks, is as credible as Mr. Netanyahu, the ruthless executioner of the Palestinians and the sworn enemy of the liberation of the Arab peoples, who has Tel Aviv lit up with the colours of the Lebanese flag and offers help and the intervention of his own intelligence to shed light on what happened! It is no coincidence that the movement immediately rejected the advances of Macron as well as Netanyahiu’s equally provocative ones. However, this does not make more credible, as friends of the movement of struggle and of the Lebanese workers, the competitors of the Western neo-colonialists: Putin’s Russia, Erdogan’s Turkey, or the Iran of the hyper-borgeois ayatollahs who, in these very days, are suppressing the strikes of the oil workers, nor the prudent China of Xi Jinping who says he is ready to “take charge” of the reconstruction (of the business of reconstruction). None of these governmental forces intends to undermine the mechanisms of operation of the global capitalist system that in every crisis crush the small dominated countries first, and first of all their proletarians and semi-proletarians. None of them is ready to forgive the foreign debt that strangles the Lebanese.

The global crisis of 2008 generated the conditions for the great Arab uprisings of 2011-2012, subsequently crushed in blood or dispersed by the counter-offensive of the threatened Arab bourgeoisies, with the support of the entire imperialist establishment. The present new and deeper global crisis, which brings with it a new oil crisis, is going to hit the entire Arab world and the Middle East with even greater violence. This area is rife with revolutionary upheavals, as we have seen from 2018 onwards in Sudan, Algeria, Iraq, Iran, Lebanon, and with the new, unrelenting protests of the Palestinians in Gaza. These uprisings need to carry through the objectives that have already been set – in Lebanon, for example, the destruction of the sectarian-cantonal system that suffocates the lives of workers and society, and more generally, everywhere, the overcoming of pestilential divisions on religious grounds and the conquest of fundamental freedoms for the working classes, starting with the freedom to strike and organize. But, as we can see in these days with the comeback of a ruinous social and political crisis in Tunisia, they will also have to reckon with the illusions that they can solve their problems with a simple change in government officials, leaving intact the machinery of imperialist domination and private ownership of the means of production.

The recent Lebanese movement began to take shape in 2012 with the struggle of teachers and immigrant maids, and the birth of grassroots trade union committees that organized them; it then got buried to re-explode with greater breadth and political thrust on October 17, 2019, combining the rejection of the sectarian system with a series of fiscal, environmental, social demands (against the high cost of living), and chanting the slogans “the people want to overthrow the regime”, “revolution”. In this movement there are still mixed, and almost indistinguishable, demands of a young and largely jobless proletariat with no prospects and those of a large part of the middle classes suddenly plunged into need. This boiling magma of energies of different social classes faces difficult challenges both because all the global and regional powers want to interfere in the affairs of Lebanon, and because the old, and more or less discredited, sectarian cliques will not give way easily. Solutions such as a technical government (the “technicians” are almost always the spokesmen of capital), or a government of the “professional classes” inspired by the Sudanese model, are unable to give any satisfaction to the vital needs of the oppressed masses. It will take much more than that! The proletarians, men and women, who today are in the front line in the streets, the shock power of the movement, the people who fight against the police and the army, are also called to become the political leadership of the movement itself. They are called upon to repel the sirens coming from the old colonialists, werewolves disguised as lambs; and to connect with the resurgent mass struggles in the Arab and Middle Eastern world. There is no revolutionary solution to the Lebanese question in isolation, without a complete questioning of the entire international capitalist order in the region – and in the world.

Our position as internationalist revolutionaries can be condensed as follows:

  • Full support to the struggle of the oppressed and exploited Lebanese, to the struggle of Lebanese women who are in the forefront in the streets, and to the continuation of this struggle until victory over the current sectarian regime and its international godfathers;
  • Immediate release of all arrested protesters;
  • Imperialists, hands off Lebanon and the Lebanese uprising movement! – referring first of all to Italian banks and companies (Banca Intesa, Eni, Ansaldo, Maltauro, Cooperativa edile Appennino, etc.), to the Conte government, to Italian troops in Lebanon, whose immediate withdrawal we demand;
  • Immediate cancellation of Lebanon’s external debt; denunciation of the strangling clauses the “donor” countries want to impose on the working classes and the Lebanese nation;
  • Unity of proletarians from all over the Arab and Middle Eastern world in the struggle against their regimes, and their European, Yankee, Israeli and Russian protectors!

Proletarian women and men of all countries, let’s unite! United we are invincible!

August 11, 2020

Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria – Italy