Approfondimenti politiciCobasInternazionale

[CONTRIBUTO] Una grande notizia: la super-potenza yankee è nel caos

Riceviamo e pubblichiamo qui sotto il contributo dei compagni della redazione de Il Pungolo Rosso “Una grande notizia: la super-potenza yankee è nel caos”, già disponibile sul loro sito (vedi qui).

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


Una grande notizia: la super-potenza yankee è nel caos

Il 2020 è l’anno delle grandi notizie dagli Stati Uniti. La prima arrivò nei giorni successivi al 25 maggio con la nascita del forte movimento di giovane proletariato nero e multirazziale per George Floyd. La seconda è delle ultime ore: l’esito contrastato delle elezioni presidenziali e lo scoppio di una vera e propria, devastante, crisi istituzionale con Trump, il presidente in carica, che accusa gli avversari democratici e il presidente entrante di essere dei ladri, fa appello alla mobilitazione dei suoi sostenitori e si prepara a chiamare in causa la Corte suprema per invalidare il voto. Troppo bello per essere vero! Ma è vero. Lo diciamo non da anti-americani, è banale, bensì da anti-capitalisti, da internazionalisti rivoluzionari che tifano sfegatatamente da sempre per l’altra America, per la nostra America. E vedono nell’indebolimento della super-potenza di Wall Street e del Pentagono un fattore fondamentale di destabilizzazione dell’intero ordine capitalistico mondiale – quello che ogni giorno toglie il respiro a miliardi di lavoratrici e lavoratori in tutto il globo, fuori e dentro i confini del Nord America.

E’ “una catastrofe culturale e spirituale”, frigna Giuliano Ferrara, uno dei decani dell’oltranzismo atlantista in Italia. Il suo giornale (Il foglio) freme di rabbia perché, davanti ad uno spettacolo del genere, “Cina e Russia tirano fuori i popcorn per godersi il caos americano”. “La situazione è davvero esplosiva”, si lascia sfuggire la ministra della difesa tedesca, Kramp-Karrenbauer. In effetti mai, dal 1945, gli Stati Uniti sono apparsi così divisi, e così poco attrattivi, perfino così logori e screditati, agli occhi del mondo.

Del crack sociale dell’Amerika abbiamo già scritto su questo blog – e detto che è il prodotto del lento, inesorabile, declino della sua potenza economica, della crisi del 2008, dell’avvento della pandemia in un paese senza uno straccio di servizio sanitario nazionale universale. Su questo sfondo emerge ora un crack istituzionale senza precedenti (dai tempi del fallimento della Black Reconstruction). Questo crack istituzionale alimenta a sua volta lo scontro sociale e politico con le dimostrazioni di piazza contrapposte dei “Count every vote” [vedi sotto] e degli “Stop the cheat” a New York, Portland, Minneapolis, Phoenix, Detroit, Las Vegas, etc., e con il movimento del Black Lives Matter che torna a farsi sentire. Ed è assai difficile che questo agitarsi di proteste di piazza e di avvocati, che l’incertezza e la rissa da saloon ai vertici dello stato, possano avere buone ricadute sull’economia.

L’unico segnale, in astratto, positivo per la cattiva salute della democrazia statunitense, la più alta partecipazione al voto dal 1908 (circa il 67%), ha un suo risvolto inquietante per le élite del potere. Perché è stata generata da un diffuso malcontento sociale, da un lato rivolto contro Trump e le sue politiche razziste e malthusiane, dall’altro rivolto contro ogni ipotesi di abbandonare quell’ipotetica riscossa all’insegna del “Make America Great Again” in cui ripongono le loro speranze, oltre la classe media bianca, anche frazioni delle “minoranze etniche” e della classe lavoratrice.

Da molti decenni la società statunitense non era così divisa lungo linee razziali, politiche (con Trump che ha accusato Biden ripetutamente di essere un socialista tenuto in ostaggio dagli antifa, dai marxisti, dai comunisti), territoriali (aree rurali e piccoli centri contro metropoli), culturali/valoriali (la spaccatura tra un aggressivo tradizionalismo, spesso a sfondo religioso, e la difesa di principi liberali). Questa profonda polarizzazione sociale e politico-ideologica avrà il suo pallido riflesso perfino nel Congresso con la presenza di una pattuglia di “socialisti democratici” e una contro-pattuglia di suprematisti/razzisti dichiarati.

E per quanto già Biden si sia affrettato a porgere la mano ai probabili sconfitti, è da escludere che la sua futura amministrazione sarà in grado di attuarla davvero questa riconciliazione. La tenterà, e per questo aprirà anche alla sparuta dissidenza repubblicana. Questa scelta, però, radicalizzerà l’opposizione lasciandola tutta nelle mani di Trump e del trumpismo, e deluderà quel tanto di attese di una “svolta sociale” (e ambientale) nella politica di Washington che aveva fatto trapelare in modo assai prudente in una campagna elettorale priva di programmi ben stagliati, caratterizzata dal solo obiettivo di cacciare Trump. Non a caso gli gnomi di Wall Street non lo temono, e sono ben contenti che dovrà fare i conti con delle maggioranze assai risicate alla Camera e al Senato, e una fiera opposizione trumpiana nel paese, così non potrà fargli alcun danno in materia fiscale.

Anche in politica internazionale non ci saranno cambiamenti radicali. La dura contesa con la Cina e la Russia e la concorrenza sempre più accesa con l’UE sono necessità strutturali di lungo periodo per l’imperialismo statunitense. Il carattere umorale o la spacconeria dell’inquilino uscente dalla Casa Bianca è soltanto folklore al pari del color arancione della sua capigliatura. Né cambierà la politica medio-orientale, essendosi Biden definito più volte “sionista”, ed essendolo nei fatti non meno di Trump.

Insomma, gli Stati Uniti sono ormai entrati in una fase di grandissime turbolenze interne e internazionali, che ne accentueranno le debolezze. In alto i calici! Come già si è visto a maggio, questo è un contesto favorevole allo sviluppo e alla radicalizzazione della lotta di classe degli sfruttati. Non solo in Nord America.

***

Sull’organizzazione “Count Every Vote”, da Noi non abbiamo patria

Una organizzazione “bipartisan” Count Every Vote è spuntata dal nulla.(counteveryvote.org). Si prefigge di sostenere il conteggio accurato dei voti, nel rispetto della volontà di voto di ogni cittadino, ma contro l’halt chiesto da Trump. La cosa è dubbia e l’iniziativa viscida, per il suo contenuto di difesa dello Stato costituzionale. Se non fosse, però, che a sostenerla sono scesi già in piazza a New York, Boston, Detroit e Philadelphia al grido “Count every vote”. Le manifestazioni, i cortei sono protetti da un servizio d’ordine con giubbetti arancioni. È la prima volta che vediamo una scesa in campo – per certi aspetti spontanea – della middle class democratica durante questa campagna elettorale. Ma potrebbe anche essere una middle class bipartizan che si agita per scongiurare il peggio.

Ovviamente è una mobilitazione nel solco della difesa dello Stato, del diritto Costituzionale, quanto lo è quella del “popolo” trumpista che chiede di fermare lo spoglio delle schede. Tendenzialmente la borghesia liberale e democratica bianca (anche si vi è anche una parte della middle class nera), scende contro Trump (anche se gli slogan e la piattaforma non sono direttamente contro di lui), ma facendolo risponde principalmente ad una necessità superiore delle forze del capitale: non lasciare la piazza e le strade al movimento BLM, alle ragioni ed alle energie della rivolta proletaria nera e multirazziale contro il razzismo sistemico e il capitale razzializzato di questa lunga e calda estate.

Ma non finisce qui: mentre a Philadelphia (la contestata Pennsylvania) sfilano per le strade i “count every vote”, per questa sera (4 novembre) è già in programma la mobilitazione per il Black Lives Matter contro l’assassinio di Walter Wallace di qualche giorno fa. Sì, perché nonostante i media fossero tutti focalizzati sulla campagna presidenziale, le proteste (con decine di arresti soprattutto a Brooklyn) sono proseguite durante la scorsa settimana ed il weekend.

Si incroceranno, si terranno distinte queste due piazze o si guarderanno l’una l’altra con diffidenza? Una piazza (del ceto medio liberal, dunque del capitale) ed un’altra piazza (quella di un proletariato di tutti i colori senza riserve e di ceto medio già impoverito e sprofondato nella crisi): quale delle due eserciterà una attrazione verso l’altra? La speranza del Comunista è alquanto ovvia.

Ma non finisce qui: la Guardia Nazionale è già allertata e presente in queste città. Anzi era già preallertata.

Càos senza fine.