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[ETIOPIA] Land grabbing: rapina sulla pelle di milioni di proletari, tra guerra e emigrazione forzata

Riceviamo e pubblichiamo qui sotto il contributo “Etiopia: land grabbing”.

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


Etiopia e “land grabbing”

Nelle precedenti schede sull’Etiopia abbiamo riferito del conflitto in corso nel paese, delle conseguenze sulla popolazione in termini di vittime e sfollati. Abbiamo accennato anche al rischio che questo conflitto tra governo centrale e il governo regionale del Tigray, oltre a coinvolgere direttamente e militarmente la vicina Eritrea, rappresenti l’occasione per l’intervento di potenze regionali e globali, e porti ad una ulteriore destabilizzazione il Corno d’Africa, con conseguenze ancora più tragiche per le popolazioni coinvolte.

Nella presente scheda parliamo brevemente della questione del Land Grabbing, concentrato nel quinquennio seguente alla crisi del 2008-2009, e dell’impatto sui piccoli agricoltori e pastori e sulle comunità indigene dell’Etiopia.

Gli effetti di questa rapina violenta, camuffata come occasione di sviluppo economico e di progresso sociale, sulla condizione di vita di milioni di etiopi perdurano e costituiscono il contesto disperante su cui si inseriscono gli eventi bellici attuali.

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Il land grabbing è l’acquisizione o la locazione di appezzamenti di terreno relativamente grandi, assieme alle risorse idriche e minerarie, da parte di gruppi o investitori esteri o nazionali, per produrre cibo e biocombustibile per i mercati internazionali o nazionali. Il tutto senza previa consultazione o consenso delle comunità locali che hanno usato il terreno, e senza adeguato risarcimento.

La triplice crisi alimentare, energetica e finanziaria del 2007-2008 (con incrementi dei prezzi nominali per i generi alimentari oltre il 50%) ha favorito un quadro in cui l’agricoltura e le materie prime agricole hanno attratto gli investimenti. In un paio d’anni decine di milioni di ettari sono stati affittati nel Sud del mondo.

L’ammontare complessivo degli accordi, siglati, programmati o falliti, riguarda una superficie quella complessiva di Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Svizzera e Irlanda.

La Banca Mondiale riporta che prima del 2008, a livello globale, i contratti medi annuali per acquisire terreni agricoli riguardavano un’area di circa 4 milioni di ettari. Nel 2009, a seguito della crisi finanziaria, alimentare ed energetica globale, questi accordi hanno riguardato oltre 56 milioni di ettari, di cui il 70% in Africa, una corsa neocolonialista all’Africa. Da uno studio Oxfam del 2012, risulta che dal 2001 erano stati venduti o affittati 230 milioni di ettari, un’area grande quanto l’Europa occidentale, per la maggior parte in un solo anno, nel 2008.

L’Etiopia – uno dei paesi più poveri del mondo, dipendente dagli aiuti alimentari internazionali, è però ricca di terreni coltivabili, acqua  risorse – è stata e rimane uno dei punti caldi per l’accaparramento di terreni in Africa.

In Etiopia i terreni sono di proprietà del governo e sono gestiti da un sistema proprietà rurale o urbana. Quelli rurali sono detenuti in base a diritti di usufrutto protetti da un sistema di certificazione fondiaria; le terre rurali non possono essere acquistate o vendute, ma vengono trasferite agli eredi ammissibili (secondo quanto stabilito dai proclami delle autorità regionali e locali). I terreni urbani sono regolati da un sistema di locazione, che può essere acquistato e venduto.

Nel 2013 c’è stata una revisione in senso centralista dei regolamenti sugli investimenti agricoli, e gli investimenti esteri in agricoltura sembrano essere diminuiti in modo significativo.

L’agricoltura è il settore più importante del paese, rappresenta l’85% dell’occupazione totale, contribuisce per circa il 50% al prodotto interno lordo (PIL) e all’85% delle esportazioni. Ma dipende fortemente dalle precipitazioni, e perciò è a forte rischio di ricorrenti siccità e carestie. Nel 2016 fu colpita dalla peggiore siccità degli ultimi 50 anni, che provocò una carestia con almeno 10,2 milioni di persone divenute dipendenti dagli aiuti umanitari, in aggiunta agli 8 milioni costantemente dipendenti dai programmi alimentari annuali del governo etiope.

Alla carestia provocata dalla siccità si aggiunge quella provocata dalla sottrazione del diritto a usufruire di terra coltivabile, con lo sfollamento forzato.

Il cambiamento climatico ha causato siccità nel 2015/2016 e 2016/2017; le vittime della siccità del 2014/2015 sono state 10,2 milioni di persone; nel 2016/2017 la siccità si è protratta, ma il numero delle vittime è sceso a 5,2 milioni.

Oltre l’80% della popolazione etiope è costituita da piccoli contadini, ognuno con una superficie media coltivata di un ettaro. Nonostante questo, il governo del Fronte Democratico Rivoluzionario Popolare Etiope (EPRDF) puntò su investimenti fondiari su grande scala.

Nel 1996 lanciò l’Industrializzazione guidata dallo Sviluppo Agricolo (ADLI), e diede il via alla commercializzazione su larga scala delle piccole aziende agricole, e alla produzione dei biocombustibili, che mira a trasferire 1,5 milioni e mezzo di famiglie rurali dalla loro terra a nuovi villaggi “modello”. Una strategia di sviluppo accompagnata dalla creazione di condizioni favorevoli per attirare investimenti diretti esteri nel settore agricolo. Sono state create banche agricole federali per investimenti prioritari, incentivati da un’esenzione fiscale per 5 anni per gli investitori agricoli che esportassero almeno il 50% dei i loro prodotti. Nel 2009, a seguito della crescente domanda di mercato di terreni agricoli venne istituita  la Direzione per il sostegno agli investimenti agricoli, come parte del Ministero dell’Agricoltura e Sviluppo Rurale (MoRAD). Questa Direzione ha il compito di individuare e delimitare i terreni coltivabili adatti agli investimenti. Ne ha identificati 3 673 806 ettari su cinque regioni (Oromia, Benishangul Gumuz, Gambella, Nazioni del Sud, Regione delle dei Nazionalità e Popoli /SNNNPR, Afar e Somalia). Il governo federale ha revocato alle regioni, accentrandolo a sé, il diritto di negoziazione per quanto riguarda i terreni che superano i 1 000 ettari.

La maggior parte degli investitori è etiope, ma riguarda soprattutto acquisizioni di terreni su piccola scala. I maggiori investitori sono le imprese private internazionali provenienti da India, UE, Israele, Stati Uniti, seguite da alcuni investitori provenienti da Arabia Saudita, Pakistan, Gibuti ed Egitto. L’investimento più grande è gestito da Karuturi Global, un investitore privato indiano, che copre 111.104 ettari di terreno agricolo (Tekleberhan, 2012).

Questa strategia ha portato a livelli di investimento senza precedenti nei terreni agricoli. La Banca Mondiale riporta che a partire dal 2007, sono stati trasferiti agli investitori sette milioni di ettari pari alle dimensioni del Belgio. Di questi più di un milione sono andati ad investitori stranieri. Nel 2011 sono stati siglati 406 progetti di investimento, per un milione di ettari; nel 2016 circa mezzo milione di ettari sono stati ceduti a investitori stranieri per la sola produzione di colture alimentari.

Questi trasferimenti sono avvenuti per la maggior parte senza alcuna consultazione preventiva e senza un adeguato risarcimento o indennizzo, agli agricoltori sfrattati e ai membri della comunità. L’affitto annuo richiesto agli investitori è pari a circa 2$ per ettaro, uno degli affitti più bassi al mondo. Il governo sostiene che la maggior parte degli affitti di terreni siglati riguardano terreni non utilizzati, e definiti “terra desolata”. In realtà le varie comunità dicono il contrario, sono terreni utilizzati per rotazione di colture, per pascolo e coltivazione. Il governo sostiene anche che gli investimenti faciliteranno il trasferimento di tecnologia, creeranno occupazione e svilupperanno le infrastrutture.

In Etiopia è in corso un forte sviluppo delle infrastrutture, ma è insignificante quelle su iniziativa degli investitori, i quali si accontentano delle infrastrutture esistenti. Alcuni investimenti fondiari hanno creato posti di lavoro per la gente locale, ma con salari medi giornalieri di a 20 birr etiopi, pari a circa 1$, inferiore alla soglia di povertà stabilita a livello globale e di quella per l’Etiopia.

Nelle regioni in cui la sicurezza alimentare è scarsa, le comunità locali hanno sviluppato meccanismi di compensazione, come il trasferimento delle coltivazioni, coltivazione di appezzamenti fissi lungo le rive dei fiumi e affidamento sulle risorse della foresta. L’accaparramento dei terreni in queste aree ha portato allo sgombero delle foreste e allo spostamento degli appezzamenti coltivati che sono tamponi cruciali per la sicurezza alimentare dei proprietari di bancarelle locali. Il fatto che gli investitori preferiscano i terreni vicini a corsi d’acqua ostacola l’accesso all’acqua per il consumo e danneggia le aziende agricole su appezzamenti sedentari lungo le rive.

La situazione viene aggravata dall’accento posto sull’esportazione di prodotti alimentari dal governo etiope. I grandi investitori agricoli sono incoraggiati e incentivati ad esportare i loro prodotti, sacrificando la sicurezza alimentare in cambio di valuta estera.

Così, un paese in cui milioni di persone dipendono per la sopravvivenza dagli aiuti alimentari internazionali ora esporta prevalentemente prodotti alimentari e colture commerciali.

Fonte: African Human Rights Law Journal; traduzione: G. L.