Le lotte nella logistica tra pandemia e “amazonizzazione”**
di Giuseppe D’Alesio*
I principali poli della logistica italiani sono stati attraversati in questi anni da un ciclo ascendente di scioperi e di mobilitazioni sindacali, che hanno in larga parte scardinato il sistema di sfruttamento e le condizioni salariali da fame che per lungo tempo hanno imperversato in questa categoria.
Questo movimento, grazie al protagonismo di migliaia di lavoratori, ha rappresentato un fattore di netta controtendenza rispetto al quadro generale di riflusso delle lotte sindacali in Italia e all’oramai pluridecennale arretramento delle condizioni salariali e di vita della classe lavoratrice.
L’emergenza-Covid e il conseguente inasprimento della crisi capitalistica preannunciano anche nella logistica una stagione di controffensiva padronale: il duro scontro avvenuto in queste settimane tra il SI Cobas e Fedex-TNT a Peschiera Borromeo ne è un indizio.
Il quadro di riferimento
Il settore del trasporto merci, logistica e spedizione sul piano internazionale ha registrato negli ultimi due decenni una crescita notevole di volumi e di fatturato, mantenendo un saldo positivo persino negli anni della crisi economica mondiale (2008-2013).
Con 111,8 miliardi di fatturato, in Italia esso rappresenta il 7,5% del PIL, e si stima che arrivi fino al 15% se si considera l’intero indotto; il solo comparto della logistica terrestre contava nel 2016 circa 97 mila aziende e 885 mila occupati.
Circa il 75% delle aziende fanno capo a singoli padroncini o sono piccole imprese di autotrasporto, e oltre il 90% delle imprese di trasporto ha meno di 10 dipendenti: dunque, a fronte di un’estrema polverizzazione del tessuto imprenditoriale nel mondo dell’autotrasporto, vi è una tendenza alla concentrazione nei settori del facchinaggio e magazzinaggio, in larga parte dominati da poche aziende di peso nazionale o internazionale (1).
La crescita della logistica è stata ulteriormente alimentata dall’avvento dell’e-commerce: dal 2008 le vendite online sul piano mondiale aumentano costantemente ad un tasso del 20% annuo, e ad oggi rappresentano circa l’11% delle vendite al dettaglio globali.
Ciò ha portato a una profonda ridefinizione delle attività e delle finalità del settore: al “core business“ tradizionale, legato alle attività di recapito della corrispondenza e/o dal trasporto di pallet industriali (tipologia di attività definita con l’acronimo B2B, ovvero “business to business“), si è affiancata l’attività di consegna di singoli pacchi direttamente al consumatore (detta B2C, ovvero “business to consumer“).
Peculiarità della fileira italiana e composizione di classe
In Italia lo sviluppo dell’ e-commerce ha assunto negli ultimi 5 anni ritmi impetuosi.
Dal 2016 al 2019 il volume complessivo di consegne dei pacchi è aumentato del 54% e i ricavi del 34%: mentre il settore B2C ha registrato incrementi medi di traffico pari a circa il 30% annuo, le consegne di tipo B2B hanno segnato un ben più modesto 5,4% di crescita.
La realtà italiana ha tuttavia un aspetto peculiare: a differenza del resto d’Europa e degli stessi USA, qui le aziende committenti hanno gestito per anni i processi di outsourcing avvalendosi di un fitto sistema di appalti e subappalti affidati a cooperative: fino a qualche anno fa, i facchini addetti alla movimentazione delle merci e i drivers addetti alle consegne erano inquadrati per la quasi totalità come soci di cooperativa.
Questa forma societaria garantisce al committente vari espedienti, sia leciti che illeciti, per abbattere il costo del lavoro:
1) le agevolazioni fiscali che lo Stato ha accordato negli anni a questa forma societaria, con la legge 30/2003 sul socio lavoratore;
2) le molteplici forme di evasione fiscale e contributiva rese possibili dal sistema dei cambi d’appalto, in larga parte fittizi, i quali permettono di eludere ogni controllo, azzerare ogni pretesa da parte dei lavoratori in ordine al mancato pagamento delle spettanze pregresse e liberarsi facilmente della manodopera in eccesso o dei lavoratori “scomodi“ perché combattivi o sindacalizzati;
3) l’espediente del cambio di appalto incentiva vere e proprie forme di estorsione ai danni dei lavoratori, i quali per garantirsi l’assunzione nella nuova cooperativa vengono costretti a firmare verbali di conciliazione, con cui rinunciano a ogni spettanza pregressa, “liberando“ da ogni onere sia il fornitore sia l’azienda committente.
Per comprendere le dimensioni di questo colossale furto ai danni degli operai, basta pensare che – su circa 42 mila conteggi operati dal SI Cobas sulle buste-paga dei soci di cooperativa – in più del 90% dei casi emergevano differenze retributive
superiori ai 1.000 euro per ogni anno lavorato, e nel 45% dei casi superiori ai 5.000 euro per anno lavorato rispetto a quanto previsto dal CCNL di categoria, frutto in larga parte dal mancato pagamento di malattia, straordinari, indennità di notturno, ferie ed istituti contrattuali vari.
Dunque, per anni la crescita dei volumi, del fatturato e dei profitti nel settore trasporti e logistica è stata il frutto di un sistema fondato sul caporalato e su forme brutali di sfruttamento.
D’altra parte, la massa dei sovraprofitti generati dalla compressione dei salari al di sotto dei minimi di legge trae fondamento da alcune caratteristiche strutturali di larga parte delle filiere italiane:
a) il basso livello di produttività, frutto della scarsa automazione e della mancata innovazione tecnologica degli impianti: per dirla con Marx, la bassa composizione tecnica di capitale all’interno dei magazzini – combinata con gli alti saggi di
plusvalore ottenuti attraverso l’aumento dei ritmi e con i bassi salari – ha consentito considerevoli saggi di profitto alle aziende committenti;
b) il criterio del massimo ribasso delle tariffe per l’aggiudicazione degli appalti è stato un formidabile attrattore di capitali legati alla criminalità organizzata, la quale è disposta ad operare con ricavi minimi o addirittura nulli pur di riuscire a “ripulire“ i proventi frutto di attività illecite: le cronache degli ultimi anni testimoniano come le infiltrazioni mafiose negli appalti della logistica siano un elemento endemico del sistema delle cooperative.
Tale meccanismo “arcaico“ di compensazione dei ritardi tecnologici, per mezzo di una riduzione esasperata sia dei costi fissi che dei costi variabili, non poteva funzionare in eterno, bensì solo fin quando non fossero intervenuti dei fattori di riequilibrio del sistema.
Tali fattori non hanno tardato a manifestarsi: da un lato con il ciclo di lotte operaie per il miglioramento delle condizioni salariali e normative; dall’altro, con l’irrompere sul mercato del modello-Amazon.
Un formidabile ciclo di lotte e conquiste operaie
Il movimento dei facchini nasce nel 2008-2009 nella cintura industriale milanese attorno a quello che sarebbe diventato il nucleo fondativo del SI Cobas, per poi estendersi a gran parte del centro-nord e a parti del centro-sud, radicandosi in tutti i principali hub logistici della penisola sia nel comparto dei corrieri sia in quello della GDO: dagli hub della DHL, della TNT, di GLS, SDA, BRT, UPS, Fercam, Palletways ecc., ai magazzini di Esselunga, Ikea, Gigante, Granarolo, Mercatone Uno e a centinaia di aziende minori (2).
In migliaia di magazzini lo scenario di partenza sarà sempre lo stesso: lavoratori costretti a turni e ritmi infernali, fino a 13–14 ore al giorno, il più delle volte nel cuore della notte, in cambio di salari spesso inferiori ai 5 euro l’ora, ricattati dal caporale di turno e licenziati non appena osano ribellarsi.
Gli scioperi del SI Cobas (a cui nel nord-est, a partire dal 2013, si unisce l’ADL Cobas) portano alla firma di accordi con numerose aziende fornitrici, che accolgono gran parte delle rivendicazioni operaie, e divengono per migliaia di altri lavoratori una prova tangibile di come sia possibile opporsi in maniera efficace agli arbitrii dei padroni.
Questi primi successi determinano un’ulteriore estensione delle mobilitazioni, grazie alle quali nel 2015 si arriva alla firma del primo accordo-quadro di secondo livello tra SI Cobas, Adl Cobas e l’associazione datoriale FEDIT, a cui aderiscono quattro tra i principali corrieri espressi: TNT, BRT, SDA e GLS.
Questo accordo, cui seguiranno altri due nel 2016 e nel 2018, prevede non solo l’applicazione integrale del CCNL anche negli appalti, ma introduce anche una serie di condizioni di miglior favore, che nei fatti scardinano il sistema delle cooperative: pagamento della malattia e degli istituti contrattuali al 100%, garanzia della riassunzione in caso di cambio-appalto, mantenimento dell’anzianità di servizio maturata con i precedenti fornitori, erogazione dei ticket-restaurant a tutti i lavoratori, forti misure di disincentivo allo svolgimento dei turni spezzati, passaggi automatici di livello in base all’anzianità e non solo alle mansioni svolte, aumento delle ore di permesso retribuito e, su tutto, la disapplicazione integrale del Jobs Act
per tutte le assunzioni successive al 2015.
Il risultato più importante degli accordi-Fedit (che saranno replicati anche in decine di altre aziende) è l’uscita di scena delle cooperative in centinaia di appalti, e l’ingresso delle Srl o, in alcuni casi, l’internalizzazione diretta dei lavoratori alle dipendenze delle aziende committenti.
I successi riportati dal movimento dei facchini non solo sono il prodotto della ribellione spontanea a condizioni di lavoro semischiavistiche, ma anche il frutto della combinazione di vari elementi.
In primo luogo va evidenziato come più del 90% dei lavoratori attivi nelle lotte sono immigrati provenienti da paesi africani e asiatici, spesso provenienti da aree di guerra e da condizioni di povertà estrema, dunque più propensi alla lotta e più capaci di resistere sia ai ricatti padronali sia alla repressione dello stato e delle forze di polizia che in questi anni (e ancor più dopo l’approvazione dei decreti Minniti e Salvini) si sono ripetutamente accaniti contro le lotte nella logistica, con cariche, arresti e denunce nei confronti degli scioperanti.
In secondo luogo va rilevato che la logistica è un settore particolarmente vulnerabile agli scioperi, poiché poche ore di fermo delle attività sono spesso sufficienti ad inceppare l’intera filiera e comportano notevoli perdite per la committenza a causa dei ritardi nelle consegne.
Infine, non meno importante è il tessuto di solidarietà messo in campo dal SI Cobas, con l’utilizzo di una cassa di resistenza a sostegno dei licenziati e il coinvolgimento diretto negli scioperi anche di Cobas di altri magazzini e di altre categorie.
Modello Amazon, fusioni e acquisizioni
A partire dal biennio 2015-2016 la logistica italiana attraversa una fase di profonda trasformazione.
Le criticità in termini di produttività e di innovazione descritte sopra spingono in breve tempo Amazon, principale operatore mondiale di commercio online, alla decisione di aprire propri magazzini di logistica, gestendo in proprio sia la fase di stoccaggio, sia quella di trasporto e consegna al consumatore di gran parte delle merci ordinate sulla sua piattaforma online.
Questo processo di integrazione verticale delle attività, attuato non solo in Italia, fa sì che Amazon diventi al tempo stesso cliente e concorrente dei corrieri tradizionali (TNT, BRT e UPS su tutti).
La centralizzazione dell’intero ciclo del trasporto e della consegna permette ad Amazon di poter rinegoziare a proprio favore i costi dei servizi offerti dai corrieri espressi.
Il modello-Amazon è radicalmente diverso dai suoi concorrenti: automazione spinta e standardizzazione delle attività, riduzione delle scorte attraverso l’incentivazione delle consegne in giornata; utilizzo massiccio del lavoro in somministrazione, in luogo degli appalti alle Srl o alle cooperative; rispetto formale del CCNL e contestuale utilizzo di forme estreme di flessibilità: riduzione al minimo delle pause, controllo pervasivo di ogni attività da parte dei capisquadra, metrica di lavoro e di picking completamente assoggettata ai tempi degli algoritmi e dei robot operativi.
La concorrenza di Amazon sconvolge gli equilibri del mercato della logistica italiana e impone alla gran parte degli operatori un profondo riassetto industriale per velocizzare i tempi delle consegne in base a nuovi parametri di efficientamento tecnologico e organizzativo dei magazzini e accurate strategie di abbattimento dei costi di trasporto, noti come “logistica dell’ultimo miglio“.
Di pari passo con le ristrutturazioni e la ridislocazione di molti hub e filiali, ha inizio un processo significativo di fusioni e di acquisizioni societarie: solo nel biennio 2017-2018 vengono stimate ben 40 fusioni e acquisizioni, segno di una chiara tendenza alla concentrazione del mercato (3).
I casi più rilevanti sono: la fusione nel 2017 tra la multinazionale olandese TNT e il colosso statunitense Fedex; la progressiva acquisizione di BRT da parte di La Poste (Poste francesi), la quale nell’agosto 2019 acquisisce l’85% del pacchetto azionario del principale corriere italiano; la scissione parziale delle attività commerciali e di assistenza di SDA a favore della sua capogruppo Poste Italiane S.p.A.
Nuovi scenari di conflitto nel contesto pandemico
I dati della prima metà del 2020 tendono a confermare le capacità di tenuta della logistica anche nell’attuale quadro di crisi.
Questa tenuta è stata favorita dai Dpcm governativi di marzo, i quali hanno consentito alla quasi totalità delle aziende del settore di continuare le attività, ritenendole “di prima necessità“, nonostante il 95% dei volumi movimentati nei magazzini non riguardasse beni essenziali.
Come negli ospedali, anche nei magazzini la pandemia ha messo a nudo la voracità insaziabile del capitale, disposto a sacrificare levite dei lavoratori e la stessa salute pubblica in nome del profitto: basta osservare la mappa della concentrazione dei contagi per rendersi conto di come le aree a più alto contagio coincidano quasi perfettamente con le aree a più alta densità industriale.
Di fronte all’arroganza padronale, fin dall’inizio del lockdown il SI Cobas e l’ADL Cobas hanno dato indicazione a tutti i lavoratori di astenersi dal lavoro e di mettersi in autoquarantena indipendentemente dalla disposizioni aziendali, garantendo un numero di operai strettamente necessario alla movimentazione di beni e servizi di prima necessità e chiedendo ai padroni la stipula di protocolli di sicurezza per la prevenzione dei contagi nei magazzini: una condotta simile a quella adottata negli Stati Uniti da migliaia di operai del settore automotive, e che anche in Italia si è diffusa con scioperi e astensioni in varie aziende del comparto metalmeccanico.
La pandemia sta mostrando come nelle fasi di crisi lo scopo dei padroni è uno solo: massimizzare i profitti e socializzare le perdite.
Nei magazzini della logistica questo disegno passa necessariamente attraverso l’attacco ai diritti e alle conquiste ottenute dal movimento dei facchini, conquiste in seguito estese anche a settori consistenti di driver e autotrasportatori, nonché ad altre categorie caratterizzate da analoghe forme di sfruttamento (4).
La vertenza in corso da due mesi in TNT-Fedex è l’emblema della condizione di ricatto generalizzato cui sono sono sottoposti milioni di precari, costretti a mettere a repentaglio le loro vite per garantire la continuità dei profitti durante tutto il periodo di emergenza e poi buttati per strada, in barba a ogni moratoria governativa sui licenziamenti.
I 66 somministrati del magazzino di Peschiera Borromeo, che Fedex si era impegnata ad assumere per mezzo di un accordo col SI Cobas, sono gli stessi che durante il lockdown sono stati costretti a sfiancanti turni notturni e a ore di straordinario pur di non perdere il lavoro.
Ma nonostante tutto sono stati licenziati.
In risposta agli scioperi in tutti i principali hub nazionali, Fedex ha annunciato un piano di ridimensionamento su larga scala delle attività di trasporto domestico, il che significherebbe dar vita a breve a un’ondata di licenziamenti, e ha comunicato l’imminente uscita da Fedit (indizio, quest’ultimo, di una possibile messa in discussione degli accordi nazionali): tutto ciò in un quadro che vede Fedex chiudere le porte alle richieste di confronto e alle rivendicazioni di SI Cobas e ADL Cobas in tutti i magazzini d’Italia, riguardanti la gestione dei ritmi, la sicurezza e l’utilizzo sempre più diffuso di contratti a termine e di somministrazione.
Le imponenti mobilitazioni di giugno e luglio a Peschiera Borromeo, la solidarietà espressa da centinaia di attivisti e la manifestazione dello scorso 6 giugno promossa a Milano e in numerose altre città dalle sigle aderenti al “Patto d’azione
anticapitalista” rappresentano senz’altro una preziosa base di partenza per il prossimo autunno.
La difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori di Fedex-TNT e della logistica dagli attacchi padronali è oggi un importante banco di prova per la ripresa di un fronte unico di lotta dei lavoratori, capace di contrastare il complesso delle politiche antioperaie, l’ondata di licenziamenti e il peggioramento generalizzato delle condizioni di vita e di lavoro che già iniziano a materializzarsi come effetto della crisi capitalistica.
* L’articolo originale é stato pubblicato sulla rivista “Su la Testa” del settembre 2020.
** Giuseppe D’Alesio è componente dell’Esecutivo nazionale SI Cobas
1) AGCOM: Analisi del mercato dei servizi di consegna dei pacchi. Allegato A – delibera n. 212/20/CONS
2) Per una disamina esaustiva delle principali lotte e vertenze prodottesi nell’ultimo decennio nel settore della logistica e nella filiera alimentare, si veda Carne da macello, a cura del SI Cobas, Red Star Press, 2017
3) Dati 2018 dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano
4) Su tutte, il settore delle carni di Modena, epicentro nel 2016-17 della durissima lotta alla Alcar Uno – che porterà tra l’altro all’arresto del coordinatore nazionale SI Cobas, Aldo Milani – e, tra le altre, della mobilitazione delle lavoratrici di ItalPizza.