Riceviamo dalla Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria e pubblichiamo il contributo “In risposta ai Carc”, già disponibile sul sito Il Pungolo Rosso (vedi qui).
In risposta ai Carc
È stato messo in circolazione negli scorsi giorni un testo dei Carc – “Il Patto d’Azione smentisce sé stesso e il suo proposito di voler costruire il fronte unico di classe. A chi giovano settarismo e politicantismo?” – che risponde in maniera risentita e sguaiata a tre critiche politiche, del tutto fondate e circostanziate, mosse ai Carc nell’assemblea del Patto d’azione di Milano del 9 dicembre scorso: 1) il P. Carc non può restare nel Patto “perché è alleato del M5S”; 2) non può starci “a causa delle sue posizioni sovraniste”; 3) non può starci in quanto “è interclassista, perché sostiene le rivendicazioni dei commercianti e delle partite Iva”.
La sguaiatezza ci sta (dopotutto, come disse il filosofo, “lo stile è l’uomo”), ma il risentimento è molto strano.
Basterebbe citare quello che scrivono i Carc: la “buffonata spacciata per assemblea”, i riferimenti a “un gruppetto di autoproclamati capi”, “capetti”, “orticelli”, le accuse di settarismo, opportunismo, etc., per giustificare la loro esclusione dalle iniziative del Patto d’Azione. Anzi, la loro auto-esclusione: cosa ci fanno in un contesto del genere (se fosse tale)? Ma nonostante trattino con disprezzo i compagni che in cinque minuti non hanno certo potuto argomentare la richiesta di esclusione dovendo parlare anche d’altro, dicendo peraltro l’essenziale, abbiamo la pazienza di rispondere alle loro affermazioni giudicandole sbagliate e inaccettabili sul piano teorico, politico e del metodo – dal momento che ricorrono al completo travisamento dei fatti a puro scopo propagandistico, con la misera speranza di effettuare qualche reclutamento, di poter dividere i “capi” (presuntamente opportunisti e settari) dalla base (presuntamente) ingenua e manovrata. Argomento cui si è soliti ricorrere quando non si è in grado di mettere in campo serie argomentazioni di linea politica, e quindi ci si affida a formule di stampo “populista”, basista; del resto l’uso della categoria “popolo” certo non fa difetto ai Carc.
La prima argomentazione che mostra la confusione (a dir poco) in cui navigano, riguarda la patrimoniale, qualificata alla stregua di una “rivendicazione tipicamente socialdemocratica”. A prescindere dall’ignoranza storica clamorosa di cui danno prova – l’“imposta fortemente progressiva” è un punto di programma del Manifesto! -, viene da chiedere:
ma come? Hanno aderito al Patto senza neppure aver letto il testo della Piattaforma approvata dall’assemblea “fondativa” perché là, e negli interventi che si sono succeduti, è stata discussa e chiarita la natura né redistributiva, né “populista” della patrimoniale così come il PdA l’ha definita – e il suo stretto legame con il soddisfacimento di precisi interessi di classe. O, se l’hanno letto e la ritengono una rivendicazione “socialdemocratica”, perché hanno aderito tacendolo? Per mero tatticismo? I Carc sono capaci, però, di fare ancora peggio quando provano a manipolare grossolanamente i fatti, sostenendo che esisterebbe la “condivisione di una prospettiva” tra PdA e Grillo/M5s. Sanno benissimo che le esternazioni del comico nazionale sono di molto più recenti della formulazione della rivendicazione da parte del PdA, e hanno tutt’altro tono e contenuto politico e materiale, oltre che una finalità opposta a quella del PdA. Al più, si potrebbe dire che l’attività del PdA ha costretto il M5s a scendere su questo terreno (contraddicendo la fiera ostilità alla patrimoniale appena dichiarata dai suoi alfieri Di Maio e Di Battista, e ribadita di nuovo da Di Maio il 18 dicembre), della qual cosa dovrebbero rallegrarvi visto che la loro pratica politica consiste esattamente in questa nobile attività di evangelizzazione di questa formazione anti-operaia.
La differenza totale e inconciliabile tra la proposta di Million tax 10% sul 10% propria del PdA e le ipotesi grilline di patrimoniale nonché le posizioni di Di Maio e Di Battista, dovrebbero già essere chiare. Ma vogliamo lo stesso rimandare i Carc all’articolo postato sul Pungolo rosso dell’8 dicembre 2020 intitolato “Patrimoniale. E con Grillo come la mettete?”. Di quello che loro affermano, non sta in piedi una virgola.
La manipolazione dei fatti operata dai Carc continua facendo un’analogia che non regge tra la loro linea politica verso il M5S (che se non andiamo errati li ha visti coinvolti anche in attività di sostegno elettorale) e quanto accaduto a Modena nella vertenza Italpizza con un deputato del M5S. Non dovrebbe sfuggire a degli “ortodossi leninisti” che c’è una grande differenza tra un esplicito accordo, una esplicita linea di un partito che si rivolge ad un altro partito riconoscendolo, inoltre, in quanto “tutore” e rappresentante “di milioni di operai ed altri lavoratori indignati” (sic!), ed un rapporto stabilito dal SI Cobas nel corso della vertenza Italpizza con quanti, non solo del M5S, hanno ritenuto di dare una qualche forma di solidarietà con le operaie in lotta. Questo modo di deformare i fatti realmente accaduti rasenta la calunnia nei confronti del SI Cobas laddove si sostiene che “ha fatto leva sul M5S quando ha avuto bisogno di dare visibilità e condannare il comportamento di padroni e Forze dell’Ordine”… Davvero? A noi risulta che dalla sua nascita, e anche in quella circostanza, il SI Cobas abbia fatto leva sull’auto-organizzazione e l’organizzazione operaia e sul sostegno militante dei solidali. E abbia pagato e stia pagando un prezzo salato alla repressione padronale e statale proprio per non avere voluto far leva su tramacci istituzionali, espliciti o sotterranei con il M5S o altri. L’episodio, o gli episodi, a cui i Carc alludono travisandoli sono ben diversi da quanto dichiarato nel Comunicato nazionale dell’11/11 in cui, rivolgendosi ai militanti e agli attivisti del M5s si dice: “Il P. CARC sostiene e collabora con quanti sono decisi a promuovere il cambiamento di cui il paese ha bisogno e di cui i lavoratori e le masse popolari sono protagonisti.”. Nessuno può negare al Carc di scegliere con chi e come interloquire. Nessuno gli nega il diritto di voler ostinatamente considerare il M5S una “forza di cambiamento” (concetto, comunque, privo di qualsiasi contenuto di classe) per il solo fatto di essere stata votata da “milioni di operai e di altri lavoratori”. Ma qui stiamo parlando di una forza politica che si rapporta ad altra forza politica di governo, e ne riconosce un ruolo fondante positivo. Liberi di farlo, ma è insostenibile qualsiasi paragone con i fatti realmente accaduti nel corso della vertenza Italpizza. La loro, quella sì, è “condivisione di una prospettiva” con il M5S, o almeno con una sua parte.
Una condivisione così stordente che li porta ad adombrare un paragone esilarante tra i Soviet e il M5S! Il M5S è stato ed è una delle più equivoche formazioni apparse sulla scena politica istituzionale italiana già al suo nascere, già dalle sue prime “piattaforme” – un giudizio, il nostro, che poggia sulla loro ideologia, in tutto e per tutto interna al modo di produzione capitalistico, e sul loro programma politico nel quale non c’è alcun punto che riguardi gli interessi immediati della classe operaia, nemmeno quelli minimi (figurarsi quelli storici!).
E basterebbero i decreti sicurezza per chiudere ogni discorso. La centralità della battaglia per l’abolizione dei decreti-Salvini, assunta come strategica prima nelle lotte del SI Cobas e delle reti immigrate, poi dallo stesso Patto d’azione, probabilmente sintetizza meglio di ogni altra questione la distanza siderale che separa i Carc non certo da qualche “capo”, bensì dall’insieme delle realtà sociali, politiche e sindacali che hanno dato vita al Patto d’azione.
Il nodo del contendere che genera scandalo ed isteria nei Carc, e che li spinge al goffo e maldestro tentativo di arrampicata sugli specchi contenuto nel loro comunicato, è in realtà semplice e comprensibile da chiunque: da un lato abbiamo l’insieme delle realtà che hanno dato vita al Patto, che considerano il razzismo di stato (borghese) insito dei decreti-sicurezza come parte integrante di un programma di governo organicamente reazionario e filo-padronale, individuano in quel programma di governo l’espressione compiuta e organica dei piani di super-sfruttamento del proletariato immigrato (altro che sicurezza!), assumono la battaglia per i pieni diritti cittadinanza degli immigrati e contro la repressione degli scioperi come fondante e discriminante essenziale per una reale ricomposizione di classe, e per questo ne hanno derivato fin dal principio un chiaro, inequivoco e radicale antagonismo rispetto a un governo trumpistaquale è stato l’esecutivo Di Maio-Salvini; dall’altro chi, come i Carc e un’ampia fauna di sovranisti di sinistra, ha seminato e continua a seminare tra i proletari l’illusione che il M5S, artefice e complice di quelle politiche, possa anche solo lontanamente svolgere una funzione progressiva e/o rappresentare in parlamento le istanze degli sfruttati; che alla lotta per lo smascheramento del ruolo compiutamente borghese di questo movimento sostituisce qualche sommesso e scodinzolante “appello” ai parlamentari pentastellati per “dare piena applicazione al programma elettorale”; che continua ancora oggi ad individuare nei grillini una voce sincera eautentica “dei bisogni delle masse popolari”, e che continua ancora oggi a considerare nei fatti il Conte uno come un governo “di rottura“ con le compatibilità del sistema.
Dovrebbe apparire chiaro a chiunque che tutto ciò non rappresenta una semplice “sfumatura” di poco conto. La scelta di sostenere un partito di governo (o meglio: la componente parlamentare di maggioranza relativa in entrambi i governi Conte) non risponde a una differente coniugazione tattica di una medesima strategia (che come tale potrebbe non avere conseguenze sulla praticabilità di un percorso comune), ma al contrario è il metro più evidente di una divergenza politico-programmatica tra due opzioni chiaramente inconciliabili: da un lato la lotta per sviluppare l’autonomia di classe da un punto di vista anti-capitalista e internazionalista, fuori e contro ogni collateralismo con le istituzioni borghesi; dall’altro la collaborazione e il dialogo con quelle stesse istituzioni, che nel perpetuare l’illusione di poter fungere da pungolo nei confronti del principale partito di governo, nei fatti contribuisce a disarmare i proletari, a diseducarli, a distrarli, a deviarli e in ultima analisi a corromperne le spinte più autentiche e di avanguardia che si sono espresse nelle lotte e nello scontro di classe che le vede quotidianamente impegnate non solo contro i padroni, bensì contro la totalità dei suoi comitati d’affari politico-istituzionali.
Che i Carc fingano di non comprendere che il Patto d’azione anticapitalista per il fronte unico di classe si regge su questa discriminante essenziale, mettendo in scena un piagnisteo il cui unico scopo è un generico e astratto richiamo al “volemose ben“, non è solo un’offesa all’intelligenza altrui, ma anche alla propria.
Che qualche deputato M5S, per farsi bello davanti a sé stesso o anche ad un gruppo di lavoratori in quanto votanti, si proponga come “cambiatore”, può essere. Ma è semplicemente infantile farne il perno di una tattica generale verso il M5S. I 5S hanno chiarito bene con atti precisi e definitivamente cosa intendono fare e dove intendono andare. Una forza politica che si appella addirittura al “leninismo” dovrebbe assumersi il compito di smascherarli attivamente anziché tentare di “lisciargli il pelo”, di spingerli sulla retta via, e quindi abbellirli, mascherarli come convertibili, con appelli da collaterali, da compagni di strada, rivolti ad una loro presunta frazione di sinistra, invitando a “Rifiutare alleanze con il PD – tanto a livello nazionale che a livello locale – come condizione essenziale per risalire la china” (citiamo testualmente, sempre dall’ineffabile Comunicato nazionale), visto che il governo con la Lega, per loro, è stato molto più proficuo!
Non abbiamo mai creduto che si possa fare di tutte le erbacce (i partiti borghesi) un unico fascio. Ma qui c’è da restare esterrefatti dal fatto che i Carc non ricordano gli attacchi sistematici della s.p.a. Grillo&soci al sindacato (non ad uno in particolare ma a TUTTI i sindacati, e non certo da sinistra), le dichiarate simpatie per il fascismo di diversi suoi esponenti di primo piano, il razzismo più volte emerso nei post del fondatore, le intimidazioni alla classe operaia, a settori di insegnanti e dipendenti pubblici, etc. declamate nei comizi da avanspettacolo cui gli attivisti e i militanti hanno assistito da claque. Ebbene, invece di fare chiarezza, i Carc propongono alla “base” del M5S questa poderosa indicazione, contenuta sempre nel citato Comunicato Nazionale: “Per gli attivisti e i militanti si tratta di tornare nelle strade e nelle piazze e partecipare alle mobilitazioni e alle battaglie in corso per nazionalizzare le aziende, per garantire scuola e sanità pubbliche, per salvaguardare e tutelare il territorio, ecc.; si tratta di spingere i loro eletti a non cedere ai ricatti del PD e a prendere tutte le misure che gli incarichi che ricoprono rendono possibili, ricorrendo alla mobilitazione popolare per imporle”.
Tornare nelle strade e nelle piazze? Anzitutto: non ci risulta che gli attivisti ed i militanti M5S abbiano mai riempito strade e piazze. Ciò poteva essere vero durante la fase ascendente di questo partito, laddove alcuni temi cari alla sinistra più o meno di classe (opposizione alla TAV, battaglie ambientali, ecc.) servivano come bacino di reclutamento elettorale funzionale alla scalata nelle istituzioni con la promessa di aprirle “come una scatoletta di tonno”. Da anni a questa parte, con l’approdo dei pentastellati prima sulle poltrone parlamentari, poi su quelle di governo e sottogoverno della sesta potenza imperialista mondiale, assistiamo tutt’al più a qualche singolo militante che sventola la sua personale bandiera della sua personale presenza a manifestazioni altrui. Non ricordiamo nemmeno un picchetto, un presidio, una qualunque iniziativa del M5S che non sia stato il banchetto elettorale. Ricordiamo ben altre ‘imprese’ pentastellate, per esempio quelle della Raggi, vicende semi-giudiziarie tutte sostenute e difese a spada tratta dal “garante” e capetto unico alla faccia dell’onestà-onestà e della demagogia uno-vale-uno. E l’elezione bulgara del candidato unico Di Maio plurincaricato? Tutta squisita democrazia dal basso di cui i Carc non si sono mai accorti, per non parlare dei parlamentari la cui elezione viene addirittura definita nei loro manifesti “breccia nel sistema”, e successivamente “breccia da allargare”. Ma “è stata data battaglia contro Berlusconi”, si potrebbe obiettare. Ammesso (e non concesso) che l’azione di interdizione contro Berlusconi sia di per sé un’azione di classe, neppure questo è vero. Infatti i 5S non hanno detto una sola parola sul fatto che la seconda carica dello stato è stata affidata – proprio da loro – alla Casellati di cui nessuno di loro pare ricordare i legami organici con il “cavaliere nero”.
Ma almeno non si può contestare che “la Raggi ha sfrattato Casapound”, quindi è antifascista, ha fatto fare “un passo avanti” al rispetto della Costituzione che tanto lodano i Carc, e di cui si fanno strenui difensori in un’altra delle loro battaglie di retroguardia. A parte il fatto che la Raggi non ha sfrattato Casapound, l’operazione è tutta di facciata e somiglia splendidamente alle targhette che De Magistris appiccica di tanto in tanto su edifici pubblici di Napoli condendo i suoi comizietti d’occasione nei quali lascia cadere la parola “rivoluzione” mandando in visibilio compagni dell’ultim’ora. Anche a Napoli ne abbiamo viste di belle sui risultati di questa linea di mistificazione che ha fatto fare passi avanti solo alle piccole clientele e a personaggi di quel tipo, ammantati di idee “di sinistra” che non sono mai state le loro e che mai hanno portato avanti in nessuna delle loro attività politiche ed amministrative. Come si può ignorare che queste posizioni mistificatorie servono a svilire la coscienza di classe, a falsificarla e spingerla verso l’opportunismo perché il giusto disgusto di settori semi-proletari e proletari verso alcuni settori delle istituzioni e alcuni partiti, invece di essere indirizzato contro le istituzioni del capitale in quanto tali, viene fatto deviare sulla via del “populismo”, canalizzato verso nuove espressioni politiche altrettanto prone agli interessi del sistema capitalistico, che aprono a loro volta la strada a soluzioni ancor più aggressivamente reazionarie?
Quindi: la contestazione ai Carc di essere alleati o collaterali al M5S – e perfino suoi galoppini, almeno in alcune elezioni locali – è più che fondata. Passiamo ora al sovranismo – un termine diventato di moda che equivale a nazionalismo, in qualunque modo qualificato: sovranità nazionale, democratica, popolare. Del resto non è un caso che nessuno, per quanto abile in mistificazioni, arrivi a dire: sovranità operaia o proletaria, giusto?
Il “sovranismo”, non stiamo qui a discutere le ragioni e le radici di un processo che viene da lontano, ha fatto presa anche su una certa sinistra che si è inizialmente affacciata verso il PdA, e che, una volta capito che non c’era trippa per gatti, ha pensato di lasciar perdere, anzi di lanciare qualche frecciata contro l’impostazione del PdA – ci riferiamo a Rifondazione, a Potere al Popolo, ad un settore dell’opposizione Cgil. Queste forze ritengono di interpretare il malcontento popolare per portarlo, ciascuna a suo modo, sulla via, sempre prolifica, del “nemico esterno”, del “tedesco imperialista”, dei “paesi ricchi “, dell’UE che ci strozza” e dell’“euro che ci ha rovinato”.
I “leninisti” dovrebbero ricordare le parole d’ordine con cui le mobilitazioni per le guerre imperialiste hanno inizio. Sono esattamente queste: difesa della sovranità nazionale, solidarietà “di popolo” contro tutto ciò che è o viene artificialmente mostrato come “straniero”. Naturalmente i veri leninisti non possono dimenticare che il nemico principale sta in casa propria, e che le “masse popolari” non sono mai state sovrane di alcunché. In regime di capitalismo imperialista il proletariato e le classi sfruttate (il “popolo” è ben altro e anche qui i “leninisti” dovrebbero sapere quello che i maoisti hanno dimenticato, o non hanno mai saputo) vengono chiamati in causa solo come singoli per mettere foglietti ripiegati in un’urna e andare a farsi massacrare per gli interessi sovrani (sovrani su di loro) della propria borghesia. Per tutta la questione rimandiamo i Carc alle cose che abbiamo scritto sugli epigoni dell’Italexit. Intanto, per rimanere a quanto hanno scritto loro, viene da chiedersi che cosa si intenda con la frase: “la lotta per impedire chiusure e delocalizzazioni delle aziende italiane e la loro vendita ai gruppi multinazionali”. Che le multinazionali sono la malvagità e i padroni italiani sono qualcosa di diverso, o magari “buoni”? Ma nelle stesse multinazionali non manca certo la partecipazione del capitale made in Italy. E quindi la prospettiva della rivoluzione internazionale parte, ancora una volta, dal proprio paese sia per il necessario indebolimento della borghesia internazionale sia per produrre l’effetto moltiplicatore del movimento negli altri paesi, e questo vale per il proletariato di tutto il mondo. Anche per la “lotta contro la UE e le sue istituzioni”, bisogna tener presente che in quelle istituzioni il capitale italiano è ben presente e rappresentato dal “nostro” governo e, visto che il P. Carc vuole incalzare il M5S, bisognerebbe ricordarsi del suo ministro degli Esteri e delle sue pubbliche dichiarazioni su emigrazione, frontiere nazionali, lotta (anzi, guerra) all’islamismo, etc., tutte invariabilmente di stampo imperialista, colonialista e pro-Nato.
D’altronde, che la “tattica“ elettoralista dei Carc si sia già da qualche tempo sostanziata in un’escalation di prese di posizioni a dir poco deliranti, è reso tristemente evidente dal sostegno, dichiarato pubblicamente e più volte rivendicato come parte di una scelta “antisistema” in risposta all’indignazione di non pochi compagni, nientemeno che a un candidato sindaco di Fratelli d’Italia alle ultime elezioni comunali nella cittadina di Piombino. Davvero un modo coerente e lineare di sostanziare il proprio antifascismo: fare appelli al voto per un sindaco fascistoide!
Un ultimo appunto va fatto per la polemica del tutto infondata dei Carc contro i compagni del Csa Vittoria. Infondata perché loro hanno ben specificato cosa intendono per sovranismo, e non si può chiedere loro di presentarsi alle assemblee leggendo per intero i documenti e gli atti che hanno prodotto e, allo stesso modo, non risulta da nessuna parte che abbiano indicato l’estraneità alla lotta di classe della battaglia contro la Nato, per l’azzeramento del debito pubblico, contro licenziamenti e delocalizzazioni ad opera di imprenditori italiani o “multinazionali” che siano. Se lo hanno fatto, vanno citate le circostanze precise, altrimenti siamo al metodo della calunnia.
Il punto della lotta contro il Vaticano mostra un’altra delle inestricabili contraddizioni dei Carc perché si dovrebbe sapere che i Patti Lateranensi ed i privilegi della chiesa cattolica sono consacrati nella Costituzione che loro tanto difendono e per la quale non mancano d’iniziativa, naturalmente mai ricordando la posizione dei togliattiani sulla questione e gli ordini staliniani in materia. Ci si deve decidere! Questa Costituzione è il frutto della Resistenza o della sconfitta delle aspirazioni proletarie presenti nella Resistenza alle quali si fece niente più che qualche omaggio verbale di facciata? Ma c’è dell’altro: noi siamo contro tutti i privilegi accordati alle diverse religioni, mentre pare che i Carc siano per uguali privilegi per le diverse religioni. La frase “abolizione […] dei privilegi della Chiesa Cattolica rispetto alle altre organizzazioni e associazioni religiose” si presta a più di un equivoco, a meno che non si voglia dire proprio quello che sembra si voglia dire…
Chi rileva e attacca il nazionalismo dei Carc, quindi, sa quel che dice e quel che fa.
Passando alla terza contestazione – l’ interclassismo – i Carc ce la mettono proprio tutta a distorcere fatti dei quali hanno una conoscenza quanto mai sommaria. A Napoli il 24 ottobre hanno manifestato in Piazza dei Martiri sotto la sede di Confindustria compagni e lavoratori che la mattina “si alzano per andare a lavorare”, o per cercare lavoro: non c’erano né padroncini né commercianti. E le successive iniziative del Collettivo Iskra nell’area di Bagnoli (pensiamo che i Carc alludano a quelle) hanno fatto perno sui lavoratori salariati del commercio e sui piccoli esercenti in proprio, non certo su padroncini e commercianti. Su Piacenza due sono i casi: il SI Cobas ha organizzato una manifestazione in cui c’erano anche partite IVA, oppure il SI Cobas ha “organizzato la manifestazione dei commercianti” – se fosse vero il secondo caso, lo troveremmo strano. In realtà anche in questo caso si trattava di un’iniziativa partita e sviluppatasi dai lavoratori della logistica e rivolta non certo all’universo-mondo delle classi medie e dei commercianti sfruttatori ed evasori, bensì a quegli esercenti del commercio minuto, in primo luogo immigrati, provenienti dal proletariato e che a causa della crisi pandemico-capitalista sono ogni giorno di più spinti verso una ri-proletarizzazione delle loro condizioni economiche e di vita.
Il punto merita, comunque, una specificazione. La composizione di un movimento ci interessa per la conoscenza dei fatti e la messa a punto della tattica, ma non abbiamo mai snobbato le “piazze”. Sappiamo bene per lunga esperienza di lotta che non esiste un movimento, e nemmeno una lotta di fabbrica, che siano “puramente” proletari, e con omogeneo livello di coscienza. Quello che viene contestato ai Carc non è la partecipazione a lotte che non hanno al loro interno solo figure proletarie. È tutt’altro. E ha a che vedere con il vero nodo della loro impostazione teorica e politica che ricorre costantemente alla categoria “popolo”. Tale categoria comprende tutte le classi sociali di un dato paese, ed anche volendo maneggiare questo concetto in maniera ristretta, cioè escludendo da esso la classe capitalistica, resta pur sempre un insieme indistinto di classi medie e del proletariato. La parola d’ordine-chiave del “blocco popolare” tipica dei Carc è precisa, e non ha assolutamente niente a che vedere con quella dei bolscevichi che definivano con precisione la formula del governo operaio e contadino (intendendo contadini poveri), poi aggiornata nelle Tesi di Aprile con “alleato con i contadini”, differenza non da poco. Loro parlano invece di blocco, cioè di unità strutturale, stabile, organica tra classe operaia e classi medie (quelle che in Italia, e non solo, sono composte da una marea di padroncini che scorticano vivi i proletari), senza indicare alcun confine di tale blocco, al punto che appare quasi come una fusione tra queste classi proprio per la mancanza di chiarezza su cos’è questo blocco, o con “precisazioni” che risultano essere tali solo di facciata. L’interclassismo è proprio questo.
Annessa a questa, c’è la questione: “se i comunisti devono o meno promuovere l’egemonia della classe operaia sulle altre classi proletarie e anche sulle classi non proletarie delle masse popolari”. Mah. Le “altre classi proletarie” oltre la classe operaia è un pasticcio difficile da capire. Mentre la formula “le classi non proletarie delle masse popolari” è un autentico abracadabra, che può significare anche (o solo?) l’insieme delle mezze classi, piccoli e medi capitalisti inclusi. Ma supponiamo che ci sia stato qualche refuso materiale o concettuale, e che vogliate riferirvi ai settori non operai del proletariato e solo alla sparpagliata massa di artigiani, commercianti e partite Iva che non sfruttano lavoro salariato. Come rapportarsi a questa massa, soprattutto agli strati “non proletari?” Ci sono due modi fondamentali di farlo, tra loro alternativi, specie in questa congiuntura storica di crisi epocale: o sollecitarne e difenderne i sentimenti, le illusioni e gli interessi piccolo-proprietari, o assumerne la difesa in quanto candidati a precipitare nel proletariato, se non già improvvisamente caduti in questa condizione. In entrambi i casi nel mirino va messo il grande capitale nazionale e i governi del grande capitale – cosa che si può fare realmente, in modo coerente, solo da internazionalisti. Ma nel primo caso, la prospettiva del “blocco popolare” è quella della ricerca della “sovranità nazionale” e di un posto più elevato nella competizione internazionale che consenta la salvezza anche del piccolo accumulatore; nel secondo, la prospettiva della riunificazione della classe (capace anche di attrarre a sé i ceti medi in via di accelerata proletarizzazione) è quella della unità tra i proletari di tutti i paesi per la distruzione del sistema sociale capitalistico.
Torniamo ora alla stretta cronaca dell’assemblea di Milano – senza le virgolette che i Carc appongono in tono dispregiativo. Le affermazioni su caccia alle streghe, maccartismo, trappole nelle quali non è caduto nessuno non appartengono ai contenuti di cui si è discusso e quasi certamente agli estensori della lettera inviata per email è sfuggito il fatto che si è parlato e si è votato su altre questioni che non “l’espulsione”, ma evidentemente tutto il resto non ha interesse per i Carc. Certamente non c’è stata alcuna richiesta di pronunciamento per cui lamentarsi del silenzio di alcuni è del tutto strumentale, come lo è giudicare il grado di “entusiasmo” di FGC o l’impegno sindacale di “un compagno del PCL” o indagare su trame milanesi dal comportamento inquisitorio che non si dice in cosa sia consistito.
Per quel che ci riguarda, abbiamo tutta la volontà di partire da ciò che ci unisce e proprio perché siamo contro i “coordinamenti sommatoria di gruppi” cerchiamo l’unità nella chiarezza e negli obiettivi condivisi e non riteniamo che si possa lavorare in maniera costruttiva con chi vuole portare il movimento tra le braccia dei 5S a livello nazionale e sostenere i vari De Magistris a livello locale. Noi lavoriamo perché il proletariato riconquisti il suo ruolo autonomo, che non significa affatto settarismo. Siamo contro il codismo che assoggetta la classe operaia ai bisogni della borghesia “nazionale” ritenuta progressista dai sovranisti di sinistra. E’ solo da questa posizione di indipendenza che la classe operaia può stringere alleanze con le classi immediatamente contigue alla sua posizione, ma che hanno interessi differenti e contraddittori. Viceversa i Carc propongono un’unità senza principi con “le masse popolari” genericamente intese che soprattutto in questa fase sono i migliori alleati della borghesia imperialista italiana (quest’aggettivo viene sempre dimenticato) e che reclamano anch’esse pari facoltà di esercitare un maggiore sfruttamento della classe operaia. Parte da questa posizione di chiarezza il problema delle alleanze (non certo dei blocchi popolari!) con settori semi-proletari e con una parte della piccola borghesia per strapparli alla dipendenza dalle classi superiori. Alle classi contigue al proletariato va chiesta l’unità sugli obiettivi di classe e la separazione dalla borghesia. Tutte le striscianti teorie più o meno esplicitate secondo il grado di “astuzia” dei loro propagandisti, tutte le iniziative sovraniste, populiste e codiste portano la classe sulla strada dei processi controrivoluzionari.
Il punto 1. delle sconclusionate conclusioni del documento dei Carc recita: “unità d’azione con tutti coloro che mettono al centro gli interessi della classe operaia e delle masse popolari [e può ancora andar bene], rifiuto e lotta contro chi promuove la contrapposizione fra classe operaia e il resto delle masse popolari (il nemico è la borghesia imperialista!)”. Lo slogan a-classista e interclassista dei Carc “Noi non mettiamo masse contro masse” ha una sola valenza: riproporre i Fronti popolari di infausta memoria, che sono stati la rovina della classe operaia in Spagna, in Italia, in Grecia, in Cina. La prospettiva del Patto d’azione è tutt’altra. E l’essere immuni dal settarismo non può significare abbassare l’istanza dell’autonomia di classe ad un’unità senza principi con chiunque, anche se – come nel vostro caso – imbevuto di nazionalismo, interclassismo e di legami tutt’altro che occulti con settori delle istituzioni del capitale.
Chi ha imputato ai Carc una impostazione interclassista sa quello che dice.
Infine: i Carc dichiarano di essere contro l’unità di facciata e la pace senza principi, ma si smentiscono immediatamente perché si stupiscono e replicano risentiti se questi vengono posti alla discussione. Noi riteniamo che la pratica politica dei Carc sia divergente rispetto a quella che intendiamo stabilire e che i principi che li guidano sono contrapposti a quelli che informano l’attività che il Patto d’Azione vuol portare avanti. Il Patto non smentisce sé stesso, afferma la sua impostazione di fondo, che è anti-capitalista, anti-sovranista, classista. Tutto qui.
27 dicembre 2020
Tendenza internazionalista rivoluzionaria