Riceviamo e pubblichiamo qui sotto il contributo “Le proteste preoccupano ancora il regime egiziano”.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
LE PROTESTE PREOCCUPANO ANCORA IL REGIME EGIZIANO
Il 25 gennaio, l’Egitto ha celebrato il decimo anniversario della rivoluzione del 2011 che rovesciò il governo di Hosni Mubarak.
[Fonti: Hrw, 20/10/13 – Africa Report, 21/01/25 – Mei.Edu, 201006 – The Economist, 19/08/08; France24, 20/11/08. Traduzione a cura di G.L.]
Cosa è cambiato?
Ben poco per i lavoratori e in generale per la popolazione egiziana, se, nonostante la forte repressione statale, anche nel settembre 2020, lo stesso giorno delle proteste del 2019, nei villaggi e nelle città che si estendono da Damietta nel nord a Luxor e Assuan nel sud, sono scoppiate piccole ma diffuse proteste di strada, per lo più in alcune delle aree più povere e remote del paese.
Arresti di massa e repressione violenta delle proteste rivelano quanto il regime al-Sisi tema le proteste di massa, nonostante da a sette anni abbia soppresso quasi tutte le sedi di impegno politico e civile (1).
Dall’altra, queste proteste dimostrano che gli egiziani non hanno rinunciato ai loro diritti umani, nonostante la pesante repressione statale.
Nel corso delle proteste dello settembre 2020, le forze di sicurezza hanno ucciso almeno due uomini, Owais al-Rawy a Luxor e Samy Basheer a Giza.
E, come nel 2019, le autorità hanno arrestato centinaia di manifestanti e passanti.
La Commissione indipendente egiziana per i diritti e le libertà (ECRF) ha documentato 944 arresti in 21 governatorati, compresi almeno 72 bambini, alcuni di appena 11 anni.
Il numero reale potrebbe essere molto più alto.
Le proteste dell’ottobre 2019
Nell’ottobre 2019, le proteste popolari contro il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si diffusero in almeno otto città, con grande partecipazione al Cairo, Alessandria e Suez, le manifestazioni più significative dal luglio 2013 e da quando al-Sisi salì al potere nel 2014.
La diffusione della protesta ha messo a nudo le crepe nella tenuta del regime di al-Sisi.
Inoltre, il fatto che la maggioranza dei manifestanti non appartenessero ad un partito politico o a un gruppo di opposizione indica che esiste un profondo malcontento trasversale a diversi gruppi sociali.
Circa 2000 gli arrestati.
La maggior parte dei detenuti è accusata delle solite cose: proteste senza permesso del governo, organizzazione di proteste non autorizzate, adesione a un gruppo terroristico, diffusione di notizie false e abuso delle piattaforme dei social media.
ECRF e altre organizzazioni accusano le forze di sicurezza di aver sequestrato per giorni decine di arrestati, prima di consegnarli ai procuratori.
Gli arresti tuttavia non hanno colpito solo i personaggi noti dell’opposizione, ma anche alcuni “critici”, alcuni appartenenti alle Forze armate, come ad es. il portavoce dell’ex capo di stato maggiore.
Il che rivela la crescente preoccupazione di al-Sisi per il dissenso interno alle forze armate, e indica che il suo regime non è affatto stabile o sicuro come lui lo dipinge.
Queste proteste vennero, in parte, scatenate da una serie di video dell’esule egiziano Mohamed Ali che denunciavano la corruzione nell’establishment militare e le misure di austerità di al-Sisi che hanno arricchito le élite e impoverito ulteriormente le masse egiziane.
Data la velocità con cui le manifestazioni si sono diffuse in tutto il paese, e il sospetto che Ali sia un burattino delle élite militari, è sorto il dubbio che a fomentare queste manifestazioni
ci fosse lo stato militare profondo, e di coloro che hanno portato al potere al-Sisi, alla ricerca di un nuovo loro fantoccio.
Quali le ragioni delle proteste?
- I lavoratori egiziani guadagnano meno di tre anni fa, al netto dell’inflazione. Le spese medie delle famiglie sono aumentate del 43% dal 2015, mentre il reddito medio è aumentato solo del 33%, e il debito delle famiglie verso le banche è salito del 58%.
- La carne è un lusso inaccessibile: un chilo di manzo costa il 9% della paga di una settimana media. Sta diventando costoso anche il pasto base per molti egiziani, un piatto di koshari, la miscela di lenticchie, ceci, riso e pasta.
- L’aumento del costo dei trasporti provocato dal taglio ai sussidi sul carburante ha fatto sì che per un egiziano sulla soglia ufficiale di povertà viaggiare ogni giorno sulla metropolitana del Cairo costerebbe ora il 25% del suo reddito mensile.
- È salito il prezzo di quasi tutti i servizi. Le tasse delle scuole pubbliche sono
aumentate del 20-50%.
- Di recente il governo ha deciso di imporre forti sanzioni a milioni di residenti che vivono in case vecchie di decenni costruite senza permessi, per “legalizzare” le loro abitazioni evitando lo sfratto e la demolizione.
- L’epidemia di Coronavirus ha ulteriormente esacerbato la crisi, soprattutto tra i cinque milioni di lavoratori del settore informale, già vulnerabili. Dall’inizio della pandemia Covid-19, i pilastri dell’economia egiziana hanno vacillato: il settore del turismo è crollato, come pure il prezzo del gas, sono diminuite le rimesse dei lavoratori espatriati nel Golfo come pure le entrate dal canale di Suez, principale fonte di entrate estere e un importante datore di lavoro.
- A causa dei lockdown per Covid-19, nel periodo aprile-giugno 2020 sono stati persi circa 2,7 milioni di posti di lavoro, principalmente nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, nell’industria manifatturiera, nel turismo, nei trasporti e nelle costruzioni, portando la disoccupazione ufficiale al 9,6% (dati Banca Mondiale).
- Considerando i parametri macro-economici, quelli che riguardano la classe al potere, per il 2020 l’FMI, nonostante la pandemia, ha previsto per l’Egitto una crescita del 3,6%, ciò che fa dell’Egitto l’unica economia nordafricana in espansione quest’anno. Ma buona parte di questa crescita è dovuta da megaprogetti, come una nuova capitale amministrativa in costruzione nel deserto, finanziati da un crescente debito estero, salito
dai 48 MD$ nel 2015 ai 111,2 MD$ di dollari nel 2020. Un debito che dovrà essere ripagato, con gli interessi, ovviamente dai lavoratori egiziani.
- Secondo i dati più recenti, 2017-18, quasi un terzo degli oltre 100 milioni di egiziani vive sotto la soglia di povertà, con meno di 2 dollari al giorno, contro il 28% del 2015.
- All’inizio del 2019 la Banca Mondiale riportava che il 60% degli egiziani erano “poveri o vulnerabili”.
- Invece le élite militari egiziane si sono arricchite. Al-Sisi ha permesso ai militari di fare soldi in settori diversi come il cemento e i media, ha approvato una forte crescita della spesa per armamenti.
- Il governo egiziano non si è occupato di questioni fondamentali come
l’approvvigionamento idrico, e, al di fuori del settore energia, sono mancati investimenti produttivi nel manifatturiero o nei servizi che potrebbero fornire posti di lavoro.
- Alla miseria delle condizioni di vita si aggiunge la feroce repressione statale delle proteste. Il regime usa metodi collaudati: blocca l’accesso alle piattaforme dei social media e alle app di messaggistica nel tentativo di impedire l’organizzazione di ulteriori manifestazioni, mentre le forze di sicurezza sparano sui manifestanti usando gas lacrimogeni , proiettili veri e di gomma.
Il governo egiziano, che nel 2016 aveva ottenuto un prestito di 12 miliardi di $ dall’FMI, supressione di quest’ultimo ha tagliato i sussidi per il carburante, lasciato svalutare la moneta di quasi il 48%, e ha introdotto l’IVA al 14%, manovre che hanno consentito un avanzo primario del bilancio statale e ridotto il deficit sul PIL dal 12,5% del 2016 all’8,3%, e incentivato gli investimenti.
Ma i sussidi erano il cuore della “previdenza sociale” dell’Egitto, e non sono
stati sostituiti in modo adeguato. I principali programmi di aiuti ai poveri, Takaful e Karama (Solidarietà e Dignità), coprono circa 9,4 milioni di persone, meno del 10% della popolazione.
Queste riforme sono stati colpi inferti ai lavoratori e alla popolazione egiziana. I più colpiti sono gli egiziani più poveri, che spendono fino al 48% del loro reddito per mangiare.
Se negli scorsi anni Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti hanno alleggerito il mercato del lavoro assorbendo una quota di disoccupati egiziani, ora anche le loro economie sono in difficoltà.
Anche prima di COVID-19, le entrate del governo egiziano erano divenute sempre più dipendenti dalle imposte indirette, legate alla domanda dei consumatori (2).
Nel 2019 sono divenuti trascurabili i contributi dei governi del Golfo, che nel 2014 erano stati pari a 100 miliardi di sterline egiziane (6,4 miliardi di dollari).
Per quanto riguarda le relazioni internazionali la costruzione una nuova capitale amministrativa a 30 miglia a est del Cairo con investimenti cinesi testimonia che è in corso un allentamento delle relazioni con gli storici alleati USA a favore della potenza ascendente cinese.
Nell’ultimo decennio, Egitto e Cina hanno forgiato legami sempre più profondi., avviati nel 2012 da Morsi, e proseguiti da al-Sisi (il quale ha già fatto sei viaggi ufficiali in Cina).
Pechino ha cercato di sfruttare la sua relazione con l’Egitto per portare avanti la Belt and Road Initiative (BRI), mentre il Cairo si è rivolto alla Cina per lo sviluppo economico.
Nel dicembre 2014 hanno stretto una “partnership strategica globale”.
Il nuovo presidente americano Biden – diversamente da Trump che ha definito al-Sisi il suo “dittatore preferito”- introdurrà probabilmente delle condizioni per gli aiuti e il sostegno ad al-Sisi, il che questo potrebbe far avvicinare ulteriormente l’Egitto alla Cina, secondo Harry Broadman, del Berkeley Research Group LLC di Washington.
Note
1) Sotto Sisi, le istituzioni civili come la magistratura, la legislatura e l’autorità di controllo hanno perso la loro indipendenza.
2) Nel 2019 le entrate fiscali rappresentavano il 78% di tutte le entrate del governo, contro il 65% nel 2002 (François Conradie, economista
presso NKC African Economics, Città del Capo). Le imposte dirette sono scese al 34% nel 2019, dal 51% del 2007, mentre le imposte indirette
sono salite dal 34% al 48%.