29 GENNAIO: UN’OCCASIONE PERSA PER CHI NON C’ERA
Mentre pubblichiamo queste righe, la coda dello sciopero generale è nei fatti ancora in pieno svolgimento: lo testimoniano in queste ore le cariche alla Fedex-TNT di Piacenza e la difesa ostinata e vincente del presidio da parte di centinaia di lavoratori accorsi ai cancelli, la mobilitazione in corso alla SDA di Roma e nazionale, lo sciopero alla Zust-Ambrosetti di Bologna, la trattativa alla Prefettura di Napoli sulle sorti dei nove portuali cacciati dal padrone per motivi ritorsivi.
Proprio nelle stesse ore in cui i manganelli e i lacrimogeni dello stato borghese piovono sulle teste dei facchini di Piacenza, assistiamo al definitivo canto del cigno del governo di Giuseppe Conte e, con ogni probabilità, all’incoronazione di Draghi come capo di un nuovo esecutivo tecnico e di emergenza nazionale: un cerchio che si chiude nel segno della continuità dell’offensiva padronale contro i lavoratori
.Come avevamo più volte affermato, lo sciopero del 29 mirava non solo a rilanciare la piattaforma di lotta per cui migliaia di lavoratori si stanno battendo fin dall’inizio della pandemia, ma anche e soprattutto ad anticipare sul tempo i piani padronali: le nostre previsioni si sono avverate prima di quanto credessimo.
Di questo sciopero si è discusso molto anche all’interno del sindacalismo di classe: sulla sua presunta “inopportunità“, sul suo essere “prematuro” e “d’avanguardia“, nelle scorse settimane ne abbiamo sentite e dette tante e da ogni pulpito, sia da realtà con cui il SI Cobas ha condiviso percorsi e lotte importanti, sia da chi ha sempre ammantato il proprio opportunismo dietro il velo della realpolitik e del sempreverde alibi sull’”assenza delle condizioni oggettive” per uno sciopero generale.
Ma i fatti, come sempre, hanno la testa dura.
E i fatti di questi giorni ci dicono due cose:
1- Lo sciopero del 29, pur mobilitando una parte oggettivamente minoritaria della classe lavoratrice nostrana, ha contribuito a coinvolgere, attivare e ri-motivare molti di quei settori conflittuali che per molto tempo erano rimasti a guardare, ingessati dai veti incrociati e dalle guerre intestine al sindacalismo di base e combattivo o ripiegati su un terreno essenzialmente localista e aziendalista;
2- Lo sciopero è riuscito nel suo intento essenziale: lanciare un segnale chiaro a padroni e governo per le settimane e i mesi a venire.
L’adesione di un segmento importante dei lavoratori della scuola, del comparto multiservizi, della sanità, delle poste, di numerose fabbriche metalmeccaniche, del tessile, dei porti e del trasporto ferroviario è un dato che non è passato inosservato dai piani alti del padronato e delle istituzioni, così come non sono passate inosservate le mobilitazioni studentesche e le iniziative di piazza indette in decine di città a supporto delle ragioni politiche, sindacali e sociali alla base della mobilitazione e, soprattutto, l’ennesima dimostrazione di forza messa in campo dai lavoratori della logistica, protagonisti del terzo sciopero nazionale in soli 4 mesi.
La giornata del 29, conclusasi formalmente con il partecipato presidio di sabato 30 in piazza del Duomo a Milano, è stata una data di lotta autentica e non simulata, il frutto di un lavoro, di un impegno e di una condivisione effettiva delle ragioni e delle necessità oggettive alla base della sua indizione: lo si è percepito già durante le centinaia di assemblee preparatorie che come SI Cobas abbiamo svolto sui luoghi di lavoro, nel corso delle quali la stragrande maggioranza dei lavoratori percepivano questo sciopero come opportuno, giusto e necessario; lo si è percepito ancor più nelle manifestazioni svoltesi in tutte le più importanti città grazie all’iniziativa del Patto d’azione anticapitalista e, in particolare, al protagonismo delle sue componenti giovanili.
Oltre a Milano, un ottima partecipazione si è registrata anche a Torino, a Brescia e nella piazza studentesca promossa dalla FGC a Roma, mentre a Napoli la lotta dei lavoratori si è saldata fisicamente con quella dei disoccupati con un blocco a oltranza dei Terminal portuali che ha paralizzato la città per oltre 10 ore, e a Bologna si è svolto un presidio nel pressi dell’ufficio immigrazione per porre l’accento sulla condizione di doppia oppressione dei lavoratori stranieri.
Ad uscire rafforzato da questa grande giornata di mobilitazione è il percorso dell’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, il quale, a diversi mesi dalla partecipatissima assemblea di Bologna, ha potuto finalmente testare le sue reali potenzialità sul terreno concreto della lotta.
L’impegno e la partecipazione allo sciopero e alle iniziative locali mostrato anche da quei lavoratori e delegati che nell’assemblea del 29 novembre avevano espresso perplessità sui tempi di indizione, è la riprova che la convergenza reale sui contenuti, sulle parole d’ordine, sulla strategia e sulla pratica quotidiana (così come si è sviluppata in questi mesi nell’assemblea) è il presupposto essenziale per superare in avanti ogni differente valutazione tattica.
A un anno dall’esplosione della crisi pandemica, con quasi un milione di nuovi disoccupati (nonostante la moratoria sui licenziamenti), con le migliaia e migliaia di operai sacrificati al CoVid sull’altare dei profitti, con l’insieme della classe lavoratrice che ha visto i propri salari dimezzati dalla Cig, in un quadro sociale segnato dall’inasprimento della precarietà e dalla crescita esponenziale della povertà e dell’esclusione sociale, dover assistere al perpetuarsi delle pre-tattiche di apparato e/o agli inviti alla prudenza, o è il segno che non si è compresa minimamente la portata oggettiva di questa crisi, oppure è la dimostrazione che non si ha alcun interesse ad intraprendere la strada di una lotta unitaria contro padroni e governo.
In queste ore i vertici istituzionali borghesi sono ancora intenti a trovare una toppa per risolvere la crisi di governo in atto, e sembra oramai delinearsi abbastanza chiaramente l’ipotesi di un incarico tecnico a Mario Draghi.
Questa opzione conferma la previsione da noi fatta la scorsa primavera: di fronte all’acuirsi delle contraddizioni capitalistiche come riflesso della crisi sanitaria ed economica, l’ultima risorsa nelle mani della classe dominante è quella di un esecutivo che è e dev’essere l’espressione degli interessi diretti e immediati del capitale finanziario; un esecutivo chiamato (ancora una volta) a snellire e velocizzare i processi decisionali, sottraendoli alle beghe e alle liturgie parlamentari e richiamando le sue rappresentanze a svolgere il compito di mero comitato d’affari, chiamato a ratificare il programma di fase della classe dominante.
L’esito di questa crisi non ci vede indifferenti, poiché in base a quest’esito si potrà comprendere il grado di forza e di intensità con cui i padroni scateneranno la loro offensiva antiproletaria.
Il ricorso a Draghi quale extrema ratio della crisi di governo è la riprova di come il processo di adeguamento della sovrastruttura istituzionale ai desiderata della classe dominante risponde a dinamiche a variabili ben più complesse rispetto a un semplice meccanismo di causa-effetto, e denotano come le aule parlamentari, entro certi limiti, continuino a svolgere un ruolo di mediazione e di filtro tra gli interessi della classe dominante e quelli dei gruppi intermedi, delle mezze classi e, seppur sempre più in minima parte, degli strati superiori della stessa classe lavoratrice.
Da questo punto di vista, la convergenza su Draghi è un messaggio chiaro indirizzato dalla grande borghesia alle altre classi: l’ora di ricreazione è finita e tocca allinearsi integralmente alla volontà dei padroni del vapore, senza riserve e tentennamenti.
E’ del tutto evidente che tutto ciò si tradurrà in un’intensificazione degli attacchi alle condizioni di vita delle masse salariate.In quest’ottica, il messaggio che con lo sciopero del 29 abbiamo inteso lanciare all’insieme dei lavoratori e dei proletari è quanto mai attuale: indipendentemente dalla forza, dall’intensità e dalla sua diluizione nel tempo, quell’offensiva è già in atto fin dal principio della crisi pandemica, e ha visto finora milioni di lavoratori, di disoccupati e di precari del tutto privi di strumenti efficaci sia per rispondere agli attacchi della controparte, sia anche solo per difendersi in maniera organizzata.
Lo sciopero di venerdì scorso è stato politico nel senso stretto del termine: non contro questo o quel singolo provvedimento governativo, ma contro il complesso delle politiche del governo Conte, contro la sua subordinazione agli interessi di Confindustria e della grande borghesia, contro la gestione ipocrita e fallimentare della pandemia sul piano sociale e sanitario, contro la politica delle briciole elargite ai proletari al fine di celare l’immenso processo di accumulazione di profitti e di ricchezze che continua a gonfiare le tasche dei padroni e della finanza speculativa anche durante la crisi pandemica (e talvolta proprio grazie a questa), contro il suo silenzio complice verso la mattanza che si è prodotta e continua a prodursi nei luoghi di lavoro a causa dell’assenza di misure efficaci per il contenimento dei contagi, contro le sua sostanziale continuità col Conte 1 finanche sul tema dei decreti-sicurezza.
Il percorso messo in campo con l’assemblea delle lavoratrici si proponeva e si propone esattamente questo: riunificare il panorama frastagliato e polverizzato del sindacalismo combattivo a partire dalla necessità di una comune battaglia contro il fronte padronale e le politiche di un governo che, manco a dirlo, per tutta la durata del mandato è andato a braccetto con Cgil-Cisl-Uil-Ugl.
In realtà in questi mesi abbiamo dovuto constatare che anche nell’area del sindacalismo di base si è ampiamente diffusa la logica del “non disturbare il manovratore”, dell’accontentarsi del meno peggio o persino del considerare il Conte bis come il governo ”amico dei lavoratori”: al netto delle dispute tra addetti ai lavori sugli involucri organizzativi o sulla formula magica per arrivare alla tanto agognata unità del sindacalismo di base, ci sembra che il principale elemento (reale per quanto non dichiarato) di divergenza attorno alla proposta di sciopero generale sia proprio il giudizio sull’operato del governo uscente.
Gli esiti probabili della crisi di governo da un lato dimostrano ancora una volta come la logica del “meno peggio” sia il miglior viatico per spianare la strada al peggio, dall’altro mettono a nudo il ruolo nefasto dell’opportunismo di chi ha contribuito sia dal versante politico che da quello sindacale, a far si che il nuovo esecutivo tecnico si insediasse in un clima di pace sociale che, alla luce delle dimensioni della crisi in atto, ha del surreale.
Come SI Cobas abbiamo investito nel percorso dell’assemblea nazionale, così come nel Patto d’azione anticapitalista, rinunciando a logiche di primogenitura e di autosufficienza, e mettendo a disposizione di tutte le forze sane del movimento di classe un patrimonio di lotta e di conflittualità operaia quale quello espresso dai lavoratori della logistica: un movimento a larga prevalenza di lavoratori immigrati, che porta in se, costituzionalmente, il dna dell’internazionalismo, e che, come riconosce oramai la stessa stampa borghese, ha espresso almeno negli ultimi due decenni una forza e un peso che non hanno pari (purtroppo) in nessun altra esperienza di lotta dentro i confini nazionali.
La riuscita dello sciopero del 29, la combattività espressa fuori ai cancelli e nelle piazze, gli importanti segnali di coinvolgimento di altri settori lavorativi e dello stesso mondo studentesco, consolidano le ragioni e le indicazioni programmatiche e di metodo che sono alla base del Patto d’azione e dell’assemblea delle lavoratrici e lavoratori combattivi.
I compiti ardui che saremo chiamati ad assolvere nei prossimi mesi ci spingono sin d’ora a lavorare nella direzione di un ulteriore ampliamento dell’assemblea e a un’ancor maggiore apertura di quest’ultima alle istanze di ogni segmento sociale colpito dalla crisi e disponibile a porsi sul terreno della lotta, fuori da ogni settarismo e/o feticismo degli involucri organizzativi ma al tempo stesso facendo tesoro degli importanti passi avanti in termini di visibilità e di radicamento compiuti da questo percorso nei suoi primi mesi di vita.
E’ per questo motivo che abbiamo da sempre considerato l’assemblea dei lavoratori combattivi come un ambito distinto dal Patto d’azione, non sovrapponibile ma neanche contrapponibile ad esso.
La profondità della crisi impone sempre più la necessità di dotarsi di strumenti e ambiti di confronto capaci di convogliare e attivare le forze oggi estremamente frastagliate del movimento di classe, e dunque capaci di superare la dicotomia meccanicistica “politico vs sindacale”: una dicotomia astratta e priva di riscontro con le problematiche e le necessità reali a attuali di milioni di proletari.
Ma questi ambiti devono anche essere capaci di sviluppare quelle sintesi necessarie passare dalle parole ai fatti, dal terreno delle enunciazioni di principio a quello della lotta e del protagonismo diretto della classe, altrimenti si riducono a un agorà astratta, asfittica ed inconcludente o, al contrario, a convergenze estemporanee su singole date o singole vertenze, utili nell’immediato ma del tutto incapaci di sedimentare percorsi solidi e duraturi.
La battaglia in corso in queste ore alla Fedex di Piacenza e nel resto d’Italia è l’esempio più lampante del campo minato su cui ci muoviamo, ma anche della capacità dei lavoratori combattivi di saper rispondere colpo su colpo all’offensiva padronale: gli esiti di questa battaglia sortiranno in ogni caso dei riverberi importanti sia nella filiera sia più in generale nel settore della logistica e non solo.
Per questi motivi occorre far tesoro della forza e delle potenzialità espresse dallo sciopero del 29 al fine di compattarle in un fronte di lotta unitario: battere oggi i piani della multinazionale statunitense significa presentarsi più forti alle battaglie di domani contro i piani di ristrutturazione “lacrime e sangue” di governo e padroni.
La lotta e il protagonismo dal basso dei proletari sono l’unico carburante che può mettere in moto una risposta di massa alla pandemia capitalistica e su cui misurare l’efficacia degli antidoti a questo sistema di sfruttamento, precarietà e morte.
Si Cobas nazionale