Da oltre cinque giorni 300 facchini della TNT- Fedex di Piacenza sono in sciopero e presidiano senza sosta i cancelli del magazzino: due notti fa hanno resistito alle cariche e ai lacrimogeni delle forze dell’ordine intervenute ancora una volta a difesa dei profitti e dei piani di ristrutturazione della multinazionale americana, che proprio la scorsa settimana ha annunciato un piano di ben 6300 licenziamenti su tutta la filiera europea.
Questa lotta, partita dalla rabbia dei lavoratori a causa del rifiuto di Fedex e delle aziende d’appalto di riconoscere i premi di risultato per l’anno 2020 così come erano stati concordati in un accordo di secondo livello firmato nel 2019 dal SI Cobas con Fedit e con alcune delle più importanti aziende del comparto spedizioni, ha in realtà una radice ben più profonda, e si ricollega alle lotte altrettanto radicali che la scorsa primavera si sono sviluppate nel magazzino di Peschiera Borromeo a seguito del licenziamento di circa 60 facchini con contratto a tempo determinato che Fedex si era precedentemente impegnata a stabilizzare.
La strategia di Fedex segue un iter a tappe, analogo a quello assunto negli scorsi decenni dai padroni alla Fiat e in tanti grandi fabbriche: dapprima ha colpito i lavoratori precari, quindi più ricattabili, successivamente ha iniziato a rifiutare il confronto col SI Cobas (sindacato maggioritario a livella nazionale nelle aziende di appalto) e a mettere in discussione gli accordi e le conquiste strappate con anni di dure lotte; infine, di fronte alla resistenza decisa degli operai, ha agitato lo spauracchio delle ristrutturazioni e dei licenziamenti su larga scala, usando l’emergenza-Covid come alibi per fiaccare, disorientare e terrorizzare i lavoratori e imporre su tutta la filiera il ritorno alle condizioni di semischiavitù che fino a 10 anni fa rappresentavano la regola nel gruppo TNT e in tutto il settore trasporto merci e logistica.
In questi giorni stiamo assistendo a un cerchio che si chiude: i facchini di Piacenza sono stati i primi, nel 2011, a rivoltarsi contro questo sistema di sfruttamento, contribuendo con i loro scioperi ad aprire una straodinaria stagione di avanzamenti e di conquiste in termini salariali e di tutele sui luoghi di lavoro; oggi sono il magazzino che sta rispondendo colpo su colpo e in maniera più radicale all’attacco padronale.
Ma a differenza di dieci anni fa, hanno al loro fianco migliaia di loro colleghi in decine di magazzini, che hanno scioperato compatti lo scorso 29 gennaio e sono già pronti a riprendere la lotta qualora Fedex continuerà a rifiutare il confronto col SI Cobas (come dimostra lo sciopero già in corso in queste ore a Peschiera Borromeo e su altri siti del centro-nord), e, soprattutto, hanno al loro fianco le migliaia di lavoratori che in Europa si stanno già mobilitando contro il piano di ristrutturazione e, a partire dai lavoratori belgi, già vedono nella lotta di Piacenza un punto di riferimento.
Non è un caso che proprio in queste ore, grazie agli scioperi sta iniziando a delinearsi un ipotesi di accordo con l’azienda fornitrice dell’appalto per il riconoscimento della parte economica del premio di risultato per l’anno 2020.
Come Patto d’azione anticapitalista- per un fronte unico di classe, nell’esprimere il nostro sostegno senza se e senza ma alla lotta dei lavoratori Fedex, invitiamo tutti i lavoratori e i proletari, di ogni categoria ed ovunque collocati, a prendere ad esempio questa mobilitazione: a poche settimane dalla scadenza della moratoria sui licenziamenti e col probabile insediamento del nuovo governo Draghi, espressione piena e integrale degli interessi padronali e confindustriali, stare fermi ad attendere che la tempesta ci travolga (come suggeriscono in primis i vertici di Cgil-Cisl-Uil) equivale ad arrendersi prima del tempo a un futuro di disoccupazione e di fame.
I piani dei padroni vanno contrastati sul nascere: la lotta è qui ed ora.
Patto d’azione anticapitalista – per il fronte unico di classe