Approfondimenti politiciCobasInternazionale

[MYANMAR] Colpo di Stato in Birmania: ruolo dei militari e competizione tra le potenze Usa, Ue e Cina

Pubblichiamo qui sotto il contributo “Putsch a Myanmar”.

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


COLPO DI STATO A MYANMAR

(tratto da GFP del 21/02/03, traduzione a cura di G. L.)

Dopo il colpo di stato di lunedì in Myanmar, la UE e gli USA stanno considerando nuove sanzioni contro il paese, a difesa della democrazia, dice la UE.

In particolare si parla di sanzioni contro i gruppi economici delle forze armate.

Si tratta però di una manovra politica delicata, per non rischiare di spingere il Myanmar ancora maggiormente “nelle braccia della Cina”.

Sanzioni presentate a difesa di alti principi, ma di fatto, come sempre, dipendenti da valutazioni politiche di potere.

Aung San Suu Kyi, la “de facto” capo del governo ora destituita dai militari, ha recentemente intensificato la cooperazione con la Cina, al fine di promuovere il rapido sviluppo del Myanmar.

Questa scelta rappresenta il fallimento dei tentativi delle potenze occidentali di impedire il predominio della Cina nel Myanmar.

Tuttavia, secondo gli esperti i generali, sarebbero preoccupati per l’eccessiva influenza di Pechino.

Le potenze occidentali e i generali

Nel corso degli anni, la Germania ha mantenuto relazioni altalenanti con i militari del Myanmar.

Durante la guerra fredda, mantenne buone relazioni con i generali che avevano preso il potere nel 1962 – considerandoli un importante alleato.

Per un certo periodo, la Germania occidentale è stata il maggior partner commerciale di Myanmar e il maggior donatore di aiuti per lo sviluppo al di fuori dell’Asia.

Fino al 1988, era anche il suo “maggiore fonte di tecnologia degli armamenti, e fattore chiave per lo sviluppo di un’industria nazionale delle armi.

Il regime militare ottenne la licenza per la produzione del fucile d’assalto Heckler & Koch G3.

Le relazioni cambiarono con la fine della Guerra Fredda, avendo Myanmar perso importanza geostrategica.

Le potenze occidentali cominciarono a attaccare il regime in nome dei diritti umani, denunciando la feroce repressione degli oppositori del 1988, con migliaia di morti, e il non rispetto dei risultati delle elezioni parlamentari del 1990; e poi imposero a Myanmar sanzioni di ogni tipo.

La strada della Birmania

L’equilibrio degli interessi si spostò di nuovo negli anni 2000.

L’importanza strategica del Myanmar per la Cina, che nel corso degli anni è diventata il più importante partner economico del paese, da metà degli anni 2000 lo ha reso interessante per i paesi occidentali nello scontro di potenza con la Cina.

Nel 2003, la Cina cominciò a cercare sistematicamente vie di trasporto alternative per le sue importazioni di materie prime dall’Africa e dal Medio Oriente.

La maggior parte di queste dovevano passare via nave per lo stretto di Malacca; ma dato che lo stretto tra Aceh in Indonesia e la Malesia o Singapore può essere facilmente chiuso dagli Stati Uniti in caso di conflitto, Pechino fece dei piani per creare una via di trasporto diretta dall’Oceano Indiano passando per Myanmar fino alla provincia cinese sud-occidentale di Yunnan.

Il modello storico era la “Burma Road”, costruita dal 1937 al 1939 dalla Birmania, al tempo colonia britannica, fino alla Cina per rifornire il paese durante la guerra contro il Giappone.

Nel 2013 è entrato in funzione un gasdotto, seguito da un oleodotto dalla costa del Myanmar alla Cina nel 2017.

È inoltre prevista la costruzione di una ferrovia parallela per treni ad alta velocità.

L’accordo con l’Occidente

Gli Usa avviarono – prima segretamente in occasione degli aiuti per il ciclone Nargis nel 2008 e poi ufficialmente dalla fine del 2009 – trattative con il regime militare di Myanmar.

I negoziati portarono ad un accordo che prevedeva, da un lato, un’apertura economica e, in una certa misura, politica del paese all’Occidente, e, dall’altro, una cauta democratizzazione.

I generali del Myanmar hanno sempre mantenuto il controllo politico; si sono costituzionalmente assicurati un quarto dei seggi in parlamento, così come i ministeri degli Interni, della Difesa e degli Affari Esteri.

E, al contempo, hanno una notevole influenza economica tramite gruppi imprenditoriali come la Myanma Economic Holding Limited (MEHL).

La figura di spicco della cauta democratizzazione è stata – ed è tuttora – Aung San Suu Kyi, che ha dovuto passare un totale di circa 15 anni agli arresti domiciliari durante la dittatura militare, ma poi è diventata il capo del governo de facto come “consigliere di stato” dopo la fine formale della dittatura.

Suu Kyi è ancora considerata un leader estremamente popolare dalla maggioranza della popolazione del Myanmar.

Non si è finora concretizzata la svolta in Myanmar auspicata dalle potenze occidentali nella lotta di potere contro la Cina.

Nonostante il forte interesse iniziale, il commercio e gli investimenti nel paese da parte delle imprese tedesche, ad esempio, sono ancora esigui.

Nella primavera 2020, il ministero tedesco per la Cooperazione economica e lo Sviluppo ha deciso di interrompere la sua cooperazione con il Myanmar, che era stata rilanciata nell’estate del 2012, interruzione motivata da un insufficiente “orientamento ralle riforme”.

Le potenze occidentali sono riuscite neppure ad arginare l’influenza politica di Pechino nel Myanmar.

Nel settembre 2018, Cina e Myanmar hanno firmato un memorandum d’intesa per la costruzione del Corridoio economico Cina-Myanmar (CMEC) collegato alla Nuova Via della Seta cinese (Belt and Road Initiative, BRI).

Si tratta di un corridoio di trasporto che collegherà Mandalay, la seconda città più grande del Myanmar nel centro del paese, con la metropoli di Kunming nella provincia dello Yunnan, nel sud-ovest della Cina.


IL POTERE ECONOMICO DEI MILITARI MYANMAR

(tratto da FT del 01.02.2017, traduzione a cura di G. L.)

I tassi di crescita economica del Myanmar sono tra i più alti dell’Asia.

I maggiori gruppi controllati dai militari di Myanmar:

  • Myanmar Economic Corporation [MEC], un conglomerato segreto di proprietà del ministero della Difesa che opera in settori strategici che vanno dai porti alle telecomunicazioni.
  • MEC fa parte di un consorzio, al quale appartiene anche Viettel, che, è di proprietà del ministero della Difesa del Vietnam, consorzio che a gennaio 2017 ha vinto la quarta licenza di telecomunicazioni del Myanmar.
  • Il sito web di MEC riporta oltre 30 altre sussidiarie e consociate. Alcune sono imprese manifatturiere di lunga data, come un cantiere di demolizione navale e una fabbrica di siringhe monouso. Altre puntano a nuovi mercati come i pagamenti elettronici; altre offrono servizi alla ricca borghesia emergente nel paese, campi da golf, bibite.
  • Myanmar Economic Holdings Limited [MEHL], che impingua le tasche di militari e veterani con attività redditizie, tra cui sigarette e importazioni di petrolio.
  • MEHL è ufficialmente fornitore di welfare (fondo pensioni) al personale delle forze armate in servizio ed ex e alle loro famiglie. Alcune delle sue joint venture sono in joint venture con il gruppo statale cinese Wanbao, nel più grande complesso minerario di rame del Myanmar, che è stato a lungo implicato in dispute territoriali e accuse di violenza da parte delle forze di sicurezza.
  • Altre sussidiarie e consociate di MEHL hanno partnership con Kirin, il produttore di birra giapponese, e Posco, il produttore di acciaio sudcoreano. Il gruppo coreano Inno si è associato a MEHL per sviluppare un progetto edilizio da 120 milioni di dollari a Yangon, per appartamenti e un centro congressi.
  • MEHL non avrebbe più come azionista il ministero della Difesa, ma sarebbe ora posseduto da oltre 320.000 singoli azionisti – che vanno dai veterani agli ufficiali in servizio e alle istituzioni militari. nel 2015-16, il gruppo ha avuto profitti al lordo delle imposte di circa 75 milioni di dollari, di cui poco meno di un terzo è stato pagato agli azionisti. In realtà, la ricchezza di MEHL potrebbe essere molto maggiore, avendo il gruppo una posizione di primo piano nel commercio di giada che nel 2014 valeva fino a 31 miliardi di dollari, (stime di Global Witness), in quanto riforniva la Cina il più grande mercato del mondo.
  • La sussidiaria Myanmar Imperial Jade di MEHL ha registrato le seconde cifre di vendita più alte, con lotti privati e in joint venture per un totale di quasi 150 milioni di dollari. Ma, i gruppi gestiti dai militari sono solo la punta di un iceberg, fatto di reti nascoste di imprese gestite da famiglie di ex generali che controllano le attività più redditizie del Myanmar, in particolare la giada.
  • I primi 10 direttori della MEHL sono tutti militari graduati.
  • Nel 2015-16 MEHL e le sue controllate Myawaddy Bank e Myawaddy Trading erano tre dei primi cinque contribuenti.
  • Myawaddy Trading e la controllata Dagon Beverages di MEC sono entrambe tra i primi cinque contribuenti di “IVA”.
  • MEHL e MEC non rendono pubbliche le informazioni su proprietà, gestione o finanze.
  • MEC e, in particolare, MEHL sono intrecciati con la politica del paese. I funzionari di MEHL sono accusati di intascare tangenti dai gruppi esteri che vogliono ottenere contratti, licenze e permessi.

Le imprese straniere di settori che vanno dalla birra all’acciaio non hanno voluto rinunciare a fare affari con soci legati ai militari, accusati di corruzione, accaparramento di terre e abusi dei diritti umani.

Dal 2011, anno in cui i militari si sono formalmente dimessi dal governo, i gruppi internazionali hanno approvato investimenti per oltre 30 miliardi di dollari.

Si sta espandendo velocemente l’industria dell’abbigliamento nel paese in fasi di industrializzazione.

Nel 2015, Coca-Cola ha rivelato che il suo principale partner commerciale nel Myanmar aveva legami con il commercio di giada (31 MD il valore annuale), settore che era sotto sanzioni statunitensi, era accusata di corruzione e abuso dei diritti umani.

Nello stesso anno, Microsoft ha stretto un accordo per software e servizi con il gruppo Shwe Taung, il cui fondatore era sospettato di coinvolgimento nel business della droga.

Le imprese legate strettamente ai militari sono sospettate di aver tratto ai maggiori benefici dall’ondata di privatizzazioni clientelari di asset statali poco prima che la giunta si dimettesse, (da un rapporto del 2015 di Transparency International).

Nonostante i cambiamenti politici formali in Myanmar, i militari rimangono saldamente in controllo – e i loro libri sono ancora chiusi al controllo pubblico.

I militari hanno il controllo di ¼ dei seggi parlamentari, il che assicura loro il veto su un’eventuale modifica della Costituzione; e hanno i ministeri più importanti, e la maggioranza in una Commissione speciale per la sicurezza con poteri di scavalcare il parlamento.

A tutto ciò si aggiunge la campagna di atrocità, con omicidi e stupri, lanciata dai militari contro la minoranza musulmana Rohingya dello stato di Rakhine.

La leader, de facto presidente del Myanmar, Aung San Suu Kyi’s, negò anche davanti alla Corte di Giustizia Internazionale che si trattasse di azioni con scopi di genocidio.

I Rohingya che ad inizio 2017 erano circa un milione, rappresentano lil maggior gruppo di musulmani in Myanmar, paese a prevalenza buddista, e per la maggioranza vive nello stato di Rakhine.

Il governo del Myanmar nega loro la cittadinanza e altri diritti civili, e li ha anche esclusi dal censimento del 2014, rifiutando di riconoscerli come popolo.

Sotto la dura repressione sono stati costretti a fuggire nel vicino Bangladesh.

L’esodo iniziò il 25 agosto 2017, dopo che i militanti del gruppo avevano attaccato più di 30 posti di polizia.

I militari, sostenuti da folle buddiste locali, risposero bruciando i loro villaggi (288) e attaccando e uccidendo i civili.

Vennero uccisi almeno 6.700 Rohingya, tra cui 730 bambini sotto i cinque anni, secondo Médecins Sans Frontières – MSF).

Amnesty International accusa i militari del Myanmar di aver anche violentato e abusato di donne e ragazze Rohingya.