M. – Noi siamo venuti da Pomigliano perché tu insieme agli altri giovani di questa fabbrica avete innescato una miccia, avete innescato una piccola protesta da cui è scaturita l’iniziativa di oggi. Raccontami un po’ perché c’è un sentimento in una parte di giovani di Melfi che ha fatto poi scaturire questa iniziativa, tra l’altro importante perché parte dal basso, e quindi viene organizzata direttamente da te e dagli altri lavoratori.
G. – Parte dal basso perché siamo stati noi lavoratori che abbiamo chiesto direttamente l’autorizzazione a farla, senza la copertura di alcuna sigla sindacale o politica, anche se poi per fortuna in seguito qualcuno ci ha appoggiato. Parte dal basso, perché noi in questa regione abbiamo prima di tutto il problema della desertificazione; tanti nostri amici e coetanei sono andati via per costruire una famiglia perché in questa regione il lavoro non si trova. Melfi e l’indotto Fiat sono sempre stati una base di approdo perché ha sempre prodotto tantissimo lavoro per questa regione. Noi siamo giovani Jobs Act senza la tutela dell’art.18, e quindi è stata ancora più coraggiosa la nostra protesta, perché abbiamo una tutela inferiore rispetto ai vecchi contratti. L’abbiamo fatta proprio perché sentiamo un dovere morale, una coscienza sociale che oggi sembra un po’ essersi persa. Noi vogliamo restare nella terra in cui siamo nati. Vogliamo continuare a lavorare, noi siamo qui perché chiediamo di lavorare, non per altro. Non vogliamo che la fabbrica chiuda. Anzi. Ma non vogliamo neanche essere sfruttati. Siamo i ribelli, siamo i briganti. Non vogliano essere sfruttati, e non vogliamo che questa cosa si capovolga, e poi appunto ci troviamo ad essere fuori, costretti a dover andare fuori per cercare lavoro.
M. – Tu pensi che questa miccia che è scattata qui, e io lo spero nell’esperienza che ho potuto fare in Fiat, possa allargarsi e diventare da esempio anche negli altri stabilimenti Fiat?
G. – E’ quello che mi auguro. C’era il dovere di farla partire da Melfi, perché oggi è di Melfi che principalmente si parla come ridimensionamento, e come un problema già vivo. Ma parlando con i colleghi che conosco di Cassino, Pomigliano, Mirafiori, anche in Sevel, che è sempre stato il fiore all’occhiello, anche lì stanno iniziando a tremare. Io sento che questa dev’essere un’unione di ribellione, e di chiedere semplicemente i nostri diritti. Perché oggi ci hanno fatto passare i diritti come favori. Il lavoro non è un favore, noi ce lo guadagnamo il pane, e vogliamo continuare a lavorare. Io mi auguro che parta da qui una rete che unisca tutti gli stabilimenti italiani, e possiamo chiedere quello che è il nostro diritto.
M. – Su questo ti voglio dire una cosa. Noi dei Cobas, tu lo sai, non ne facciamo una questione di sigla sindacale, perché abbiamo sempre ritenuto che a volte, e soprattutto negli anni, le sigle sono state divisive, io sono della Fiom, tu sei della Uilm, e così via, è la guerra tra poveri… Tu sai che noi con Mimmo De Stradis e gli altri si è deciso di tenere una videoconferenza da fare a livello nazionale, sabato prossimo. Voi ci parteciperete, siete parte integrante di questa conferenza?
G. – Assolutamente sì! Noi partecipiamo perché è importante il confronto con tutte le altre fabbriche e gli indotti di tutt’Italia per capire quello che sta avvenendo per tutti, quali sono le preoccupazioni di tutti. E’ importantissimo partecipare a questa conferenza.
M. – Ti ringrazio. Avete fatto qualcosa che a uno come me che viene da vent’anni di fabbrica, gli vengono i brividi addosso. Grazie per quello che state facendo.