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[CONTRIBUTO] Il patriarcato del disastro: come la pandemia Covid ha scatenato la guerra contro le donne

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo “Il patriarcato del disastro: come la pandemia ha scatenato la guerra contro le donne”.

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


IL PATRIARCATO DEL DISASTRO

COME LA PANDEMIA HA SCATENATO LA GUERRA CONTRO LE DONNE

(Fonte: The Guardian del 01/06/2021 – traduzione a cura di G. L.)

Premessa all’impostazione non classista dell’articolo della femminista Eve Ensler, che tuttavia non inficia i dati di fatto illustrati:

“In analogia all’espressione “capitalismo del disastro” [1], cioè quando il capitalismo usa il disastro per imporre misure che non potrebbero forse passare in tempi normali, per produrre maggiori profitti per se stesso, l’autrice conia l’espressione “patriarcato del disastro”, come processo parallelo e complementare, in cui gli uomini sfruttano la crisi per riaffermare controllo e dominio e erodere velocemente i diritti delle donne faticosamente conquistati. “

L’autrice vede il patriarcato come storicamente parallelo e integrante ai sistemi sociali, ma allo stesso tempo come fenomeno in qualche modo autonomo; non fa riferimento alla divisione della società in classi.

Considera il cambio di mentalità e della cultura dominante come condizione indispensabile (e, sembra, sufficiente) alla sua sconfitta, senza fare appello alla lotta di classe.

«In tutto il mondo, il patriarcato ha approfittato del virus per riappropriarsi del potere – da un lato, aumentando il pericolo e la violenza alle donne, e dall’altro, intervenendo come loro presunto controllore e protettore». «Covid ha rivelato che il patriarcato è vivo e vegeto; che si riaffermerà in tempi di crisi perché non è mai stato veramente smantellato, e come un virus non curato tornerà prepotentemente quando le condizioni saranno mature».

La femminista Gerda Lerner scrisse nel 1986: “Il sistema del patriarcato ha avuto storicamente un inizio e avrà una fine”.

In sintesi: durante la pandemia (che è servita come pretesto/alibi per il patriarcato) le donne perdono sicurezza, potere economico, autonomia, educazione, e vengono spinte in prima linea, senza protezione, per essere sacrificate.

Coesistono due idee incompatibili riguardo alle donne: da una parte sono essenziali per ogni aspetto della vita e dall’altra possono essere facilmente violate, sacrificate e eliminate.

Covid ha messo a nudo questa dualità, già incorporata nel vivo della società dal il patriarcato.

Se vogliamo continuare come specie, questa contraddizione deve essere sanata e risolta.

Durante la pandemia Covid c’è stata un’esplosione di violenza contro le donne, “normali” o lesbiche.

Le condizioni del lockdown – confinamento, insicurezza economica, paura della malattia, eccesso di alcol – hanno creato la “tempesta perfetta” per gli abusi.

In Perù, sono scomparse centinaia di donne e ragazze da quando è stato imposto l’isolamento, e si teme che siano morte.

Tra il 16 marzo e il 30 giugno 2020 (le cifre ufficiali riportate da Al Jazeera), sono scomparse 606 ragazze e 309 donne.

In tutto il mondo, la chiusura delle scuole ha aumentato la possibilità di varie forme di violenza.

La rete Nazionale contro l’Abuso e l’Incesto (Rape Abuse and Incest National Network) degli Stati Uniti riferisce che la sua linea di assistenza per coloro che sono oggetto di aggressioni sessuali è stata richiesta come non mai nei suoi 26 anni di storia, poiché i bambini, rinchiusi assieme a chi li abusa, non hanno la possibilità di avvertire insegnanti o amici.

In Italia, tra il 1° marzo e il 16 aprile 2020, le chiamate al numero verde nazionale antiviolenza sono aumentate del 73% [2].

Le disuguaglianze esistenti sono state amplificate dall’emergenza sanitaria.

Rizzitelli rileva che le donne, che già occupano posti di lavoro e salari inferiori, contratti più precari, e che raramente sono impiegate in ruoli aziendali “sicuri”, sono state le prime a subire gli effetti della crisi, si sono accentuale le disuguaglianze
economiche, sociali, razziali e di genere preesistenti, e ciò rischia di avere conseguenze più durature del virus stesso.

In Messico, i gestori delle chiamate di emergenza hanno ricevuto il più alto numero di chiamate nella storia del paese, ed è quadruplicato il numero di donne che hanno cercato centri di protezione contro la violenza domestica.

In aggiunta, molti governi hanno ridotto i finanziamenti per questi centri proprio in un momento in cui sarebbero stati più necessari, e questo vale per tutta l’Europa.

Nel Regno Unito, i fornitori di servizi hanno riferito a Human Rights Watch che la crisi Covid-19 ha peggiorato la possibilità di accesso ai servizi per le donne immigrate, per le nere, asiatiche e appartenenti a minoranze etniche.

Negli Stati Uniti, tra l’inizio della pandemia e novembre 2020, sono stati persi più di 5 milioni di posti di lavoro femminili. Dato che una grande parte del lavoro delle donne richiede un contatto fisico con il pubblico – ristoranti, negozi, assistenza all’infanzia, ambienti sanitari – i loro posti di lavoro sono stati tra i primi ad essere persi.

Quelle che sono riuscite a mantenere il lavoro erano spesso lavoratrici in prima linea le cui posizioni le hanno messe in grande pericolo; sono donne circa il 77% dei lavoratori degli ospedali e il 74% del personale scolastico.

Anche molte delle lavoratrici che avrebbero potuto mantenere il lavoro, non potendo disporre di un’adeguata assistenza all’infanzia, non hanno potuto tornare al loro lavoro.

Il tasso di disoccupazione delle donne nere e latine era già più alto prima del virus, e ora è peggiorato.

La situazione per le donne è ancora più grave in altre regioni del mondo.

L’attivista indiana, Shabnam Hashmi, riferisce dice che ad aprile del 2020 ha perso il lavoro il 39,5% delle donne, aggiungendo che “Il lavoro da casa è molto gravoso per le donne perché non hanno più uno spazio personale e il carico di lavoro è triplicato”.

Quando le donne sono sottoposte a maggiore pressione finanziaria, i loro diritti vengono rapidamente erosi.

Con la crisi economica creata da Covid, riprende la tratta del sesso e della mano d’opera.

Abbandono scolastico

Al termine della pandemia, secondo Unesco potrebbero non tornare a scuola più di 11 milioni di ragazze, 20 milioni secondo Malala Fund.

Di tutte, questa involuzione si dimostrerà la più rilevante.

Quando le ragazze sono istruite, conoscono i loro diritti e sanno cosa chiedere.

Hanno la possibilità di trovare un lavoro e di prendersi cura delle loro famiglie.

Quando invece non possono accedere all’istruzione, diventano un peso finanziario per le loro famiglie e sono spesso costrette a matrimoni precoci.

Questo ha conseguenze particolari per quanto riguarda le mutilazioni genitali femminili (MGF).

Spesso, i padri accettano di non sottoporre le loro figlie a questo procedimento perché, grazie all’istruzione, le figlie possono diventare fonti di reddito.

Ma, se non c’è istruzione, riprendono le abitudini tradizionali, in modo da poter cedere le figlie in cambio di dote.

Lavori di cura alla persona

Le donne che si prendono cura delle famiglie, senza pausa o tempo per se stesse rischiano di cadere in stati di esaurimento, ansia e paura.

Ma, mentre si prendono cura di malati, sofferenti o morenti, chi si prende cura di loro?

La situazione degli infermieri negli Stati Uniti, per la maggior parte donne.

I fatti rilevati da interviste realizzate in collaborazione con il maggior e più radicale sindacato degli infermieri, il National Nurses United:

“Per mesi estenuanti turni di 12 ore, con scelte angoscianti e traumatiche, come fossero le “ostetriche della morte”; e mancanza di dispositivi di protezione personale. In alcuni ospedali statunitensi, le infermiere indossavano sacchi della spazzatura invece dei camici e riutilizzavano più volte le maschere monouso; erano costrette a rimanere al lavoro anche se avevano la febbre. Il trattamento delle infermiere che stavano rischiando la loro vita per salvare la nostra è stato un tipo scioccante di violenza e mancanza di rispetto.”

Lavori nei magazzini, nell’industria alimentare, ristorazione, agricoltura…

Ma ci sono molte altre aree di lavoro in cui le donne sono state lasciate senza protezione, dalle magazziniere che imballano e spediscono le nostre merci, alle donne che lavorano nell’industria alimentare, lavorazione pollame e carne, stipate in una vicinanza pericolosa e costrette a rimanere al lavoro anche quando sono malate.

Uno degli eventi più scandalosi è stato il caso delle lavoratrici dei ristoranti “con mancia” negli Stati Uniti, il cui contratto prevede che vengano pagate con un salario scandalosamente basso, 2,13 dollari all’ora, lo stesso negli ultimi 22 anni.

Con la pandemia non è diminuito solo il lavoro, ma anche le mance sono diminuite notevolmente per queste donne.

A questo si è aggiunto un nuovo degrado, le “molestie delle maschere”: i clienti maschi insistono che le cameriere si tolgano la maschera per poter determinare se e quanto dar loro la mancia in base al loro aspetto.

Sono diminuite le protezioni per le lavoratrici agricole negli Stati Uniti.

Il direttore esecutivo di Alianza Nacional de Campesinas Mily Treviño-Sauceda, riferisce l’aumento delle pressioni sulle campesinas, le lavoratrici agricole, con un incremento degli incidenti di avvelenamento da pesticidi, abusi sessuali e problemi di stress da calore, e un minor controllo da parte delle agenzie governative o delle forze dell’ordine, a seguito della pandemia Covid-19.

[1] Coniata da Naomi Klein.

[2] Secondo l’attivista Luisa Rizzitelli.