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[ASIA] Lavoratori del tessile schiacciati da supersfruttamento, competizione tra potenze e crisi Covid

SUPERSFRUTTAMENTO, COMPETIZIONE TRA POTENZE E CRISI COVID SCHIACCIANO I LAVORATORI DEL TESSILE DEL SUD EST ASIA

Il Vietnam, con oltre 6 000 fabbriche e circa 3 milioni di addetti nel tessile abbigliamento, nel 2020 ha sostituito il Bangladesh al secondo posto quale esportatore mondiale del settore per grandi marchi internazionali come Zara e H&M.

I fattori che hanno consentito questo sorpasso sono vari, economici, politici e sociali.

Un primo fattore è da collegare allo scontro globale tra le potenze, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, di cui ha approfittato l’economia del paese, cresciuta nel 2018 del 7,1%.

In questa crescita ha avuto la parte del leone il manifatturiero, in particolare il comparto di produzione di abbigliamento che ne rappresenta il 70%.

A seguito dell’aumento dei dazi sulle importazioni cinesi, molte società di distribuzione negli Usa hanno iniziato a rifornirsi in Vietnam anziché in Cina.

Un secondo fattore è la diversificazione della produzione tessile spostata in Vietnam su articoli non in cotone (tessuti sintetici) più apprezzati sul mercato internazionale.

Il Bangladesh, le cui esportazioni rimangono per il 74% in cotone, sta cercando di affrontare la concorrenza investendo nelle fibre non-cotone, e istituendo nuove zone economiche speciali finalizzate all’export.

Infine, ultimo e recente rilevante fattore la risposta alla pandemia Covid-19 nel 2020.

Il Vietnam è riuscito a contenerla meglio del concorrente Bangladesh, agendo con maggiore prontezza e chiudendo le frontiere, tranne che ai propri cittadini.

Questo ha permesso un incremento delle sue esportazioni sul totale mondiale, dal 6,2% al 6,4%, mentre quelle del Bangladesh sono scese dal 6,8% al 6,3%, a seguito della chiusura per quasi l’intero mese di aprile 2020 delle fabbriche del settore.

Le esportazioni di abbigliamento del Bangladesh, che rappresentano l’85% delle sue esportazioni complessive, sono calate del 18% rispetto al 2019, a 28MD$, con una perdita di 6MD (dati BGMEA, associazione padronale del settore); quelle del Vietnam sono diminuite solo del 6%, giungendo a 29 MD$. (la Cina rimane al primo
posto mondiale, con esportazioni per 142MD$ nel 2020).

Ma, fondamentalmente, l’incremento delle esportazioni vietnamite del tessile poggia su costi di produzione molto bassi, vale a dire su un feroce sfruttamento dei circa 3 milioni di lavoratori del settore che questa ricchezza stanno producendo, costretti a misere condizioni di lavoro e di vita, non migliorate dal migliorato posizionamento sul mercato internazionale del loro padronato.

I salari del tessile, che pure sono il doppio del salario minimo legale (1), non bastano ai bisogni essenziali, e di conseguenza i lavoratori sono costretti a fare grandi quantità di lavoro straordinario.

Da un’indagine campione di Fair Labor Association (FLA) del 2019 risultò che quasi tutti gli intervistati facevano oltre 50 ore di straordinario al mese, rinunciando alle 24 ore di riposo consecutive a cui hanno diritto per legge, per aggiungere l’equivalente di 43$ al salario mensile.

In Vietnam le violazioni della legislazione sugli straordinari sono molto superiori alla media globale della regione, secondo lo studio.

Nel 2019 il governo vietnamita ha aumentato del 5,3% il salario minimo che va dai 125$ ai 180$ al mese.

Secondo un recente rapporto Oxfam, il 99% dei lavoratori vietnamiti dell’abbigliamento guadagnano meno del salario minimo di sussistenza indicato dall’Asian Floor Wage per l’Asia e il 74% di loro guadagna meno del salario minimo di sussistenza globale indicato dalla Global Living Wage Coalition.

L’immagine riportata illustra uno degli effetti della competizione per l’export dell’abbigliamento sui lavoratori del tessile bengalesi.

Un traghetto (Shimulia a Munshiganj) stracolmo dilavoratori che cercano di raggiungere le fabbriche, nell’area di Dhaka e Ganzipur soprattutto, dopo che il governo ha – con un preavviso di una sola giornata – deciso di consentire l’apertura delle strutture produttive orientate all’esportazione, nonostante il lockdown di 14 giorni decretato per tutto il paese.

La decisione è stata sollecitata dai proprietari delle fabbriche.

Solo nella notte precedente, venerdì 31, il governo ha emesso una circolare che consentiva la circolazione dei mezzi pubblici fino a mezzogiorno di sabato 1° agosto.

Data la forte carenza di mezzi di trasporto dovuta appunto al lockdown, decine di migliaia di lavoratori/lavoratrici – richiamati improvvisamente al lavoro dopo le festività dell’Eid durante le quali si calcola che almeno per la metà fossero tornati ai villaggi – hanno preso d’assalto, spesso con i loro familiari, ogni mezzo di locomozione disponibile, apecar, pescherecci, furgoni carichi di merci, traghetti pagati a caro prezzo, in una massa caotica con un forte rischio di contagio Covid.

Oppure hanno dovuto percorrere molti chilometri a piedi sulle autostrade.

A Rangpur, un gruppo di lavoratori ha bloccato un’autostrada per 4 ore.

Hanno protestato perché non riuscivano a trovare mezzi di trasporto per andare a Dhaka, dato la decisione del governo di riaprire le fabbriche senza consentire il trasporto pubblico.

Forte condanna è stata espressa dai sindacati dell’abbigliamento (2).

Shahidullah Chowdhury, presidente del Bangladesh Trade Union Centre ha denunciato «una decisione capricciosa e irresponsabile del governo…

I lavoratori sono trattati come cavie.

Né il governo né i proprietari delle fabbriche pensano al benessere dei lavoratori».

E questo nonostante lo stesso ministro della Sanità il 27 luglio avesse assicurato: «Non possiamo accettare la richiesta dei proprietari della fabbrica che hanno sollecitato la riapertura».

Due giorni dopo, il ministero ha ritrattato, escludendo tutti i settori e le industrie orientate all’export dal lockdown previsto a partire dal 1° agosto.

La circolare è stata emessa poche ore dopo che la Direzione Generale dei Servizi Sanitari (DGHS) aveva raccomandato di estendere il lockdown oltre il 5 agosto per contenere l’aumento delle infezioni da Covid, prevedendo che, con il forte aumento dei contagi, non ci sarebbero stati sufficienti posti negli ospedali.

Nell’ultimo mese il paese sta attraversando una pesante crisi sanitaria per un picco di contagi e decessi per Covid, causato dalla variante Delta.

Il peso del supersfruttamento a cui si aggiunge quello della crisi sanitaria, può essere alleviato dai lavoratori del tessile-abbigliamento vietnamiti e bengalesi solo se uniscono le loro forze contro i rispettivi padronati, e contro i rispettivi governi solleciti a sostenere gli interessi del capitale nazionale.

Note

  1. Nel 2019 il governo vietnamita ha aumentato del 5,3% il salario minimo che va dai 125$ ai 180$ al mese.
  2. Tra questi il Bangladesh Trade Union Centre, la Sammilito Garment Sramik Federation, Bangladesh Apparels Workers Federation, il Sramik Karmachari Oikkya Parishad.