Riceviamo e pubblichiamo dalle compagne del Comitato 23 settembre questo contributo, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):
Aborti bianchi, drammi ignorati,
“effetti collaterali” dello sviluppo selvaggio del capitalismo.
Negli anni ’70 le donne non si limitarono a pretendere l’aborto sicuro, cioè l’interruzione di gravidanza legale e protetta, ma denunciarono anche la relazione fra aborto, nocività e/o rischio sul lavoro.
Molta acqua è passata sotto i ponti, numeri e situazioni vanno aggiornate.
Ma la situazione non è poi così migliorata.
L’interesse mediatico si appunta voracemente sull’aborto volontario, che permette di colpevolizzare le donne e alimentare campagne contro la loro autodeterminazione.
Nel frattempo si tace dell’aborto cosiddetto “spontaneo” un dramma personale che è nella maggior parte dei casi un effetto sociale da un lato della nocività del lavoro dall’altro del crescente inquinamento.
Esiste un’ampia letteratura documentale con l’elenco dei lavori che possono provocare un aborto.
Parliamo di tutti i lavori che mettono a contatto le donne in gravidanza con metalli pesanti, con solventi, con sostanze chimiche usate nell’industria farmaceutica e nella sanità in generale, con i pesticidi utilizzati nelle serre e nell’agricoltura, con virus e batteri come nell’allevamento del bestiame e nell’industria delle carni, con le sostanze chimiche usate nelle lavanderie, con l’esposizione a radiazioni, al rumore, alle vibrazioni.
Per non parlare dei turni massacranti, degli orari crescenti, dei lavori pesanti, come lo smistamento dei pacchi nella logistica.
E a differenza degli anni ’70 oggi si è consapevoli che i rischi non sono connessi solo al lavoro in fabbrica o nell’agricoltura, ma anche nei servizi e nel lavoro domestico.Interruzioni volontarie: (IVG) in calo, aborti spontanei in crescita.
Confrontiamo, per farci un’idea, il 1993, il 2011 e il 2018 (=25 anni pre Covid).
Nel 1993 le IVG sono state 148 mila, rispetto a un numero di nascite pari a 547 mila, gli aborti spontanei 62.001.
Nel 2011 le IVG sono state 111 mila, rispetto a un numero di nascite pari a 546 mila, gli aborti spontanei 76.335.
Nel 2018 le IVG sono state 76 mila, rispetto a un numero di nascite pari a 439 mila, gli aborti spontanei 61.580.
Se ne deduce che mentre le IVG sono in costante calo (ma non è l’argomento su cui ci focalizziamo), gli aborti spontanei reali sono in aumento e pesano percentualmente sempre di più rispetto al numero delle nascite.
Un aumento che corrisponde alla crescente nocività e mancanza di tutela delle lavoratrici, ma non solo.L’aborto causato dall’inquinamento.
L’inquinamento è sotto accusa da meno tempo, ed è particolarmente subdolo perché incide dal momento del concepimento e gli agenti chimici passano al feto attraverso la placenta.
Le lotte delle donne e delle popolazioni colpite da inquinamento da Pfashanno messo in luce il fatto che per anni gli acidi perfluoroacrilici (o pfas) utilizzati dalle industrie, passando nell’acqua del rubinetto e nel cibo sono stati assimilati dal sangue della popolazione producendo nelle donne alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, oltre a nascite pre-termine e sottopeso.
Lo studio Moniter della Regione Emilia Romagna ha evidenziato che entro 4 Km da un inceneritore, le donne esposte al PM (particolato primario) hanno subito un incremento degli aborti spontanei del 29%.
Effetti analoghi sono stati rilevati a Latina per i pesticidi ancora utilizzati che restano in frutta e verdura anche se lavata.
Drammatiche le testimonianze degli ostetrici per quanto riguarda la terra dei Fuochi in Campania.
Ipocrisia di classe.Per decenni la sessualità femminile e la gravidanza sono state trattate con superficialità e moralismo.
E anche oggi sui media si definisce l’aborto spontaneo un fenomeno “naturale” oppure si dice che è colpa delle donne moderne che fumano, bevono, mangiano troppo, pensano solo alla carriera e quindi fanno figli tardi; la ginecologia era una cosa di donne e allora “si lasciava fare alla natura” e solo da pochi decenni la si studia e la si approfondisce, e spesso non per rispetto alla salute delle donne, ma per controbilanciare il crollo delle nascite.
Però si continua a non indagare troppo sulle cause per pura ipocrisia di classe. Perché se andiamo a indagare gli effetti del lavoro e dell’inquinamento sull’aborto spontaneo andiamo a toccare interessi economici molto elevati.
E se andiamo a vedere perché si fanno i figli sempre più tardi, non è perché le donne sono egoiste, ma perché le giovani coppie aspettano di avere un lavoro, una casa e un minimo di stabilità e questo “miraggio” le porta a procreare sempre più avanti nel tempo.Ribadiamo che nella pratica corrente non si indaga sulle cause dell’aborto, nemmeno in ospedale, nemmeno dopo due o tre aborti.
La più ampia raccolta di dati sulla professione delle donne ospedalizzate per aborto spontanei, cioè quella dell’Istat, giace inutilizzata, anche se il cosiddetto “rischio biologico”, relativo alle sostanze chimiche con cui si viene in contatto, in fabbrica, ma anche in luoghi come ospedali, scuole ecc. è noto.
Le donne d’altronde, le lavoratrici, spesso subiscono in silenzio, per il timore di perdere il posto di lavoro, oggi ancor più minacciato, dopo il Covid (perché le donne sono da sempre il primo esercito industriale di riserva, come direbbe Marx, alla pari degli immigrati, e pagano ogni crisi).
E spesso tacciono perché non adeguatamente sostenute dai lavoratori maschi, che, certo, non abortiscono, ma sono padri o potenziali tali e anche solo per questo non dovrebbero girarsi dall’altra parte.
Solo una pressione forte delle donne e degli uomini che lavorano può portare a far emergere questi dati, a farli conoscere, a renderli oggetto di rivendicazioni, a lottare in tutti i luoghi di lavoro e nei territori per la difesa della salute riproduttiva delle donne, per garantire la salute ai propri futuri figli ed eliminare le cause che minacciano la salute di tutti.
Comitato 23 settembre