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[CONTRIBUTO] Gli orfani bianchi di Romania, Moldova, Ucraina, Bulgaria…

Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

Gli orfani bianchi

di Romania, Moldova, Ucraina, Bulgaria…

Riceviamo dal Comitato 23 settembre, e volentieri diffondiamo questa analisi sulle conseguenze del saccheggio della capacità di cura delle donne romene, moldave, ucraine, bulgare ai danni dei loro figli che restano a casa, come delle loro relazioni famigliari in genere.

Il linguaggio e le categorie usate da M. Usuelli non sono i nostri (tanto per dirne una: non chiamiamo né consideriamo “stranieri” i lavoratori immigrati, non chiamiamo né consideriamo straniere le lavoratrici di cura romene, moldave, ucraine o peruviane), ma non per questo la sua analisi, e la denuncia che contiene, perdono di forza e di interesse. Allo stesso modo non possiamo cauzionare le associazioni citate, ma solo prendere atto delle forme di autodifesa che queste lavoratrici hanno al momento. Autodifesa da un’oppressione e da uno sfruttamento che giustamente il Comitato 23 settembre definisce e attacca come neo-coloniali.

Gli orfani bianchi dell’Est Europadi Marianna Usuelli

Centinaia di migliaia di bambini in Moldova, Romania, Ucraina, Bulgaria crescono senza i genitori. Ad accudirli sono spesso i nonni, gli zii, i fratelli maggiori: vengono chiamati orfani bianchi perché la madre e il padre sono vivi, ma sono costretti a emigrareper trovare lavoro e sostenere economicamente la famiglia.

Da una quindicina d’anni, il fenomeno ha assunto una dimensione inaudita. La stima più recente risale a una ricerca Unicef condotta nel 2010, che ha registrato circa 350 mila bambini con entrambi i genitori all’estero nella sola Romania.

Le conseguenze sui figli sono di natura psicologica – depressione, senso di colpa e di abbandono, tentativi di suicidio – e sociale: abbandono scolastico, condizioni sanitarie precarie, esposizione alle reti di prostituzione e al traffico degli esseri umani.

Il tema è raramente affrontato dai media italiani, nonostante il nostro paese sia una delle principali mete dei lavoratori e delle lavoratrici dell’est. La comunità di stranieri più numerosa in Italia è quella romena, che conta 1,3 milioni di persone, per la maggior parte donne (oltre 57%), che lavorano nell’ambito dei servizi alla persona come colf e badanti.

L’Italia ha la più alta richiesta in Europa di lavoratori domestici: il Primo Rapporto Annuale sul lavoro domestico (2019), redatto da Domina, associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, ha rilevato che il 35% di colf e badanti presenti in tutta Europa lavora nel nostro paese.

Per conoscere più da vicino il fenomeno degli orfani bianchi in Romania e Moldova abbiamo parlato con Silvia Dumitrache, fondatrice dell’Associazione per le Donne Romene in Italia, e Igor Belei, direttore della Missione Sociale Diaconia, operativa in Moldova.

Orfani bianchi in Romania: cause e conseguenze sociali e psicologiche

Tutto ha inizio nei villaggi poveri della campagna romena, dove il lavoro scarseggia e gli stipendi, insufficienti per una famiglia, si aggirano intorno a 970 leu al mese (circa 200 euro).

Per questo sono oltre 5 milioni i romeni che sono espatriati per cercare lavoro, di cui oltre un quarto si è stabilito in Italia, racconta Silvia Dumitrache.

Nel 2011, Silvia ha fondato ADRI (Associazione per le Donne Romene in Italia). ADRI si occupa di favorire l’integrazione delle persone romene in Italia e di sostenere la genitorialità transnazionale, per ridurre l’impatto negativo delle migrazioni sugli orfani bianchi.

Le madri romene, infatti, trovando un’occupazione in Italia nell’assistenza domestica, lasciano i figli ai mariti o, ancora più spesso, ai nonni o agli zii. Si insediano in una famiglia dove abitano e lavorano 24 ore al giorno per spedire le rimesse in Romania. Nei villaggi della campagna romena circa un bambino su due cresce almeno senza un genitore, e questo succede anche in molti altri paesi dell’est.

Quando è il marito a rimanere nel paese d’origine e ad occuparsi dei figli si genera, afferma Dumitrache, “un ribaltamento degli equilibri familiari: l’impossibilità di svolgere il ruolo di capo-famiglia e lavoratore e la condizione di dipendenza economica dalle mogli all’estero può causare disagi che alimentano l’abuso di alcol e le violenze domestiche”. Ancora più frequentemente i bambini sono affidati ai nonni, che non sono tuttavia nelle condizioni fisiche per poterli accudire.

In sostanza “i benefici derivanti dalle rimesse delle donne emigrate sono di gran lunga inferiori ai danni che questa situazione genera:i bambini, spesso in mancanza di una figura genitoriale di riferimento, possono cadere in depressione, sviluppare patologie, abbandonare la scuola, essere esposti alla tratta di esseri umani e ad abusi”.

Come ha sostenuto la psicologa romena Lavinia Ţânculescu in un documentario Rai dedicato al fenomeno: I bambini, non comprendendo le ragioni per le quali vengono lasciati coi nonni, pensano di non essere voluti dalla madre, si sentono in colpa e possono sviluppare forme forti di depressione, attacchi di panico e insonnia.

Le conseguenze possono essere gravissime: “solo in Romania sono 120 i bambini che hanno commesso suicidio tra il 2008 e il 2019, in seguito a forti crisi depressive” afferma Silvia Dumitrache, che ha cominciato a documentare il fenomeno una decina di anni fa.

“In Romania il numero degli orfani bianchi è sottostimato” per diverse ragioni, secondo Dumitrache. Innanzitutto, molti genitori non dichiarano alle autorità di aver lasciato i figli coi nonni, perché rischierebbero un intervento da parte degli assistenti sociali. Inoltre, le stime si basano sui registri della scuola, ma l’abbandono scolastico è molto frequente tra gli orfani bianchi, che spesso non vengono quindi conteggiati.

Orfani bianchi in Moldova: una situazione molto critica

Stime simili sono del tutto assenti per altri paesi in cui il fenomeno è diffuso, come ad esempio la Moldova. La situazione nel paese ci viene raccontata da Igor Belei, coordinatore dei progetti sociali di Diaconia, struttura della Chiesa Ortodossa Romena sul territorio moldavo finanziata anche da Caritas Ambrosiana.

Tra le altre cose, Diaconia gestisce un programma dedicato agli orfani bianchi in età adolescenziale. È proprio alla fine della scuola dell’obbligo, a 16 anni in Moldova, che si presentano le difficoltà maggiori. Le ragazze, in particolare, rischiano di essere intrappolate nelle reti di prostituzione e abusi, che molte hanno già precedentemente subito nelle loro comunità: “il nostro compito è dar loro una rete sociale di riferimento e una professione”, dice Belei.

Il servizio di Diaconia si rivolge quindi a ragazze tra i 15 e i 18 anni che provengono da contesti familiari e economici particolarmente vulnerabili. Si tratta della parte degli orfani bianchi più povera e con maggiori difficoltà.

Diaconia compone un gruppo di ragazze e fornisce loro un appartamento da condividere, creando un ambiente familiare e occupandosi della loro formazione lavorativa. Alla fine del percorso di 11 mesi, abbiamo in media il 90% di successo professionale: le ragazze frequentano un corso per imparare un mestiere (parrucchiere, cameriera) e riescono a mantenere il posto di lavoro.

In Moldova però sono migliaia i bambini e i ragazzi che vivono in condizioni precarie. Talvolta sono accuditi da nonni anziani, altre volte non hanno una casa e sono costretti a vivere per strada, nei boschi o in stalle.

“Fino a 15 anni fa il territorio moldavo era cosparso di orfanotrofi, che in totale accoglievano 12 mila bambini” racconta il coordinatore di Diaconia, “i genitori spesso erano vivi”. Per le famiglie molto povere, “l’orfanotrofio era uno strumento per garantire ai propri figli un futuro migliore e per l’URSS il contesto perfetto per modellare l’homo sovieticus, a cui veniva inculcata l’ideologia del partito”.

Ma questa dinamica ha generato una catena di abbandono. “Alcuni bambini avevano i nonni nati come loro negli orfanotrofi”, continua Belei, “si era venuto a perdere un modello di vita in famiglia”.

A partire dal 2006, sulla spinta delle Ong, le autorità moldave hanno deciso di chiudere molti istituti, con l’obiettivo di interrompere questo circolo vizioso e di ricostruire un modello familiare.

Alla chiusura degli orfanotrofi tuttavia non è seguita alcuna politica sociale che fosse in grado di fornire un’alternativa. Se quindici anni fa ospitavano 12 mila bambini, oggi gli orfanotrofi ne hanno solo mille. Attraverso i servizi parentali, lo Stato si occupa di 800 bambini: sono quindi migliaia i bambini scoperti dagli aiuti sociali.

Anche in questo caso, spesso si tratta di orfani bianchi: i genitori sono vivi, ma non possono occuparsi dei figli perché sono emigrati per lavorare o non hanno i mezzi economici. Con la chiusura degli orfanotrofi, la situazione è molto peggiorata in Moldova. I tassi di abbandono scolastico sono altissimi, sono aumentati gli abusi sui bambini, che spesso vivono per strada in condizioni sanitarie precarie e l’abuso di alcool è cresciuto.

Eppure in molti casi non sono gli orfani bianchi di strada a subire le conseguenze più estreme della mancanza dei genitori. Igor Belei racconta che “i fenomeni di depressione, ansia, senso di colpa e talvolta suicidio sono molto più diffusi tra gli orfani bianchi che vengono cresciuti dai nonni o da altri parenti nelle loro case”.

Paradossalmente, si tratta di coloro che hanno maggiore sostegno economico e vivono in condizioni migliori, ma ciò nonostante sono più sofferenti da un punto di vista emotivo. Secondo Belei, “a fare la differenza non è il benessere economico ma la rete sociale che li circonda e che dà senso alla loro vita”.

In questo momento, c’è grande preoccupazione per l’impatto della pandemia da covid-19 su un paese piccolo e molto povero come la Moldova: i contagi sono in aumento e con essi aumenta la povertà ed è più difficile realizzare i progetti sociali.

Qui puoi sostenere Diaconia a dare aiuto alle persone in povertà che hanno bisogno di cibo, servizi, mascherine e altri interventi per fronteggiare l’emergenza coronavirus

Sindrome Italia e orfani bianchi: due facce della stessa medaglia

La mancanza di rapporti sociali è tra le ragioni per le quali anche le madri all’estero si trovano spesso in condizioni di salute mentale precaria. Molte lavoratrici dell’est in Italia e in altri paesi europei vivono e lavorano 24 ore su 24 in una casa di anziani malati.

La mancanza di ore di sonno e la privazione di relazioni affettive contribuiscono a sviluppare forme di depressione che spesso le portano ad abbandonarsi all’isolamento e a tagliare i ponti con la loro famiglia e i loro figli.

Questo fenomeno è conosciuto con il nome di Sindrome Italia, perché coinvolge numerose donne che fanno le badanti nel nostro paese.

A Iaşi, in Romania, sono ricoverate presso l’Istituto psichiatrico Socola ogni anno circa 200 ex badanti rientrate dall’estero che soffrono di disturbi d’ansia, attacchi di panico, insonnia e depressione.

La sindrome Italia è un fenomeno medico-sociale, alimentato dalla distanza dalla famiglia di origine e dall’impossibilità di veder crescere i propri figli.

Gli orfani bianchi e la sindrome Italia sono due facce della stessa medaglia, il prodotto di un’emigrazione dettata da una crisi economica e da una mancanza di welfare che obbliga le famiglie a dividersi per garantire una vita dignitosa ai figli.

Il 2,2% del Pil della Romania proviene dalle rimesse degli immigrati all’estero. Tuttavia, “è con lo sgretolarsi della società e della famiglia che si paga il prezzo di questi benefici economici”, sostiene Silvia Dumitrache, che denuncia “il disinteresse del governo romeno rispetto al fenomeno e l’assenza di politiche a sostegno della famiglia transnazionale”.

Oltre ai progetti di doposcuola e alle mense sociali, “c’è bisogno di politiche del lavoro che consentano a madre e figli di mantenersi uniti nonostante la distanza, e scongiurare i devastanti impatti psicologici”.

Un esempio è già stato sperimentato da alcuni paesi: in Russia e in Bielorussia, alcune agenzie di lavoro stanno organizzando turni di espatrio di tre mesi, con équipe di donne che si alternano, in modo tale da poter rientrare dalla famiglia periodicamente.

Molto può essere fatto anche dall’estero: Silvia Dumitrache, tramite l’Associazione per le Donne Romene in Italia, a Milano ha attivato il programma te iubeste mama (in romeno “la mamma ti vuole bene”) per aiutare le madri a mantenere i contatti con i propri figli in Romania tramite mezzi audiovisivi. In cerca di una sede stabile, ADRI si occupa ora soprattutto di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sul tema tramite articoli, studi, ricerche e conferenze.

In Italia gli orfani bianchi e la sindrome Italia sono pressoché sconosciuti, ma complici di questo dramma sono anche i turni di lavoro disumani delle donne badanti in Italia e le scarse tutele di cui godono. Il Primo Rapporto Annuale sul lavoro domestico, citato in apertura, indica che in Italia colf e badanti sono per la maggior parte donne (88%) e stranieri (75%) e che quasi 6 lavoratori su 10 sono irregolari.

Eppure il lavoro domestico genera ben l’1,2% del Pil italiano, percentuale che è destinata a crescere, visto che la domanda di lavoratori nell’assistenza domestica è aumentata del 10% negli ultimi 6 anni e la nostra popolazione è in un trend di invecchiamento.

Di fronte a questo quadro, l’Italia non può continuare a mostrare disinteresse e indifferenza come fatto finora. Orfani bianchi e sindrome Italia sono una diretta conseguenza del nostro modello socio-economico e delle nostre scelte di vita. Dovremmo iniziare a farci carico anche delle loro conseguenze.