Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Kazakistan: sulla sollevazione di gennaio
– Movimento socialista del Kazakistan
(italiano – inglese)
Riportiamo la traduzione di un’interessante ricostruzione della sollevazione operaia e popolare del gennaio scorso in Kazakistan, da parte del Movimento Socialista del Kazakistan (http://socialismkz.info/).
Ne esce confermato il carattere operaio delle proteste, che hanno unito rivendicazioni economiche e politiche, e il carattere borghese della repressione, che ha visto unite tutte le potenze imperialiste a sostegno del potere borghese, garante dei loro interessi nell’area.
Ciò che è importante non è solo la ricostruzione realistica e ragionata degli avvenimenti, da un punto di vista di classe, ma due fatti: 1) i lavoratori kazaki si sono posti, anche se in modo in gran parte spontaneo e poco coordinato, come inevitabile, il problema del potere, creando propri organismi locali; e 2) sono presenti in loco organizzazioni che di questa esperienza di lotta, tra le più avanzate negli ultimi anni a livello internazionale, vogliono far tesoro per dar seguito al movimento proletario, contro il capitalismo, ricollegandosi alla storia del movimento operaio internazionale e alla tradizione marxista.
È ancora più necessario che i lavoratori kazaki che hanno dato questo primo assalto al cielo trovino sostegno in altri reparti del movimento operaio internazionale.
Da leggere, per avere un’idea più concreta e dettagliata di cosa è realmente successo in gennaio, e – più in generale – di quale (da questa kazaka a peggio) è la condizione materiale e politica dei proletari nelle repubbliche centro-asiatiche dopo la dissoluzione dell’URSS. A vergogna di tutti coloro che sono soliti liquidare in automatico come “colorate” le sollevazioni operaie e popolari nei paesi rientranti nell’orbita russa o cinese.
SULLA SOLLEVAZIONE POPOLARE DI MASSA
E GLI SCIOPERI DI GENNAIO IN KAZAKISTAN
L’esplosione sociale è maturata e ormai era stramatura da molto tempo. Ciò è dovuto al fatto che il Kazakistan è diventato una colonia di materie prime dei paesi capitalisti sviluppati. E per 30 anni, la leadership degli ex dirigenti del partito e del Komsomol, guidata da Nazarbayev, ha portato avanti le più drastiche riforme di mercato volte a privatizzare la grande industria e, prima di tutto, l’industria estrattiva, e il sistema di sicurezza sociale è stato demolito, con un aumento dell’età pensionabile tanto che l’ex primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista ha ricevuto le lodi di Margaret Thatcher e il titolo di miglior studente tra i presidenti dello spazio post-sovietico.
Milioni di persone sono cadute sotto la soglia di povertà, hanno perso il lavoro da un giorno all’altro a causa della liquidazione delle imprese manifatturiere e della liquidazione forzata delle fattorie collettive e statali a metà degli anni ’90. Di conseguenza, tutta l’industria su larga scala si è concentrata nell’ovest del Kazakistan, nelle regioni petrolifere, dove dal 1993 le compagnie americane ed europee hanno effettuato trivellazioni, controllando i due terzi della produzione, e nel centro del Kazakistan, dove le principali compagnie sono ArcelorMittal, Temirtau del miliardario inglese Lashkmi, Mittal e la Kazakhmys Corporation.
Per quanto riguarda la regione di Mangistau e le regioni del Kazakistan occidentale, dove sono scoppiate le prime proteste, possiamo dire che lì si sono concentrate maggiormente tutte le contraddizioni sociali e il malcontento, che rappresentano le cause degli scioperi e delle manifestazioni popolari di massa, che qui cercheremo di raccontare.
In primo luogo, le regioni di Mangistau, Aktobe, Atyrau, Kazakistan occidentale e Kyzylorda sono regioni di disoccupazione di massa, dove non c’è praticamente altro lavoro se non le imprese del petrolio e del gas. L’industria manifatturiera sovietica è stata quasi completamente distrutta negli anni ’90. E nelle stesse Zhanaozen e Aktau, dove sono avvenute le prime manifestazioni e scioperi, ci sono 7-8 parenti e figli adulti disoccupati per ogni lavoratore del petrolio. Ed è per questo che gli scioperanti e i manifestanti hanno avanzato, oltre al resto, la richiesta della costruzione di nuove fabbriche.
Dovendo vivere nelle condizioni climatiche così dure e difficili di queste regioni semidesertiche, i collettivi di lavoratori e la popolazione locale hanno creato solidi legami, e la solidarietà e la mobilitazione sono state la chiave del successo nella realizzazione dei numerosi scioperi che si sono succeduti dall’inizio degli anni 2000.
In secondo luogo, l’inflazione dell’estate e dell’autunno dell’anno scorso e l’aumento dei costi hanno portato al deprezzamento del tenge [vale oggi 0,0021 euro- n.] e a una diminuzione del potere d’acquisto dei salari. Questo si è riflesso soprattutto nella regione di Mangistau, che è una regione “senza uscita” e che deve importare tutti i prodotti e le merci con prezzi due o tre volte più alti rispetto al resto del paese. Sono inoltre aumentati i prezzi del carburante e dei lubrificanti, e di tutti i tipi di servizi. Chiaramente, il raddoppio del prezzo del gas liquefatto il 1° gennaio è stato solo l’innesco di un’esplosione di malcontento, e non solo degli automobilisti, poiché questo aumento ha portato anche ad un forte aumento del prezzo dei prodotti trasportati su strada.
In terzo luogo, si sostiene che queste proteste sono state una vera sorpresa e un “incidente”. Non credeteci: per tutto il 2021, la regione del Mangistau e tutte le regioni del Kazakistan occidentale sono state in costante fibrillazione, con continui raduni e scioperi dei lavoratori del petrolio e di quelli delle società di servizi, in gran parte imprese con capitale straniero. Per lo più sono stati scioperi con occupazioni, con tende e yurte montate sul terreno delle imprese o davanti ai cancelli per impedire di portare fuori le attrezzature e far entrare i crumiri. Come è accaduto ad inizio di gennaio, durante i raduni la popolazione locale e i collettivi vicini portavano cibo, acqua, vestiti e persino raccolto fondi.
Ma, benché con gli scioperi sia stato ottenuto un aumento dei salari, sono però state ignorate le richieste più importanti: il NO agli effetti della politica di “ottimizzazione”; il reincorporo delle imprese di servizi nella produzione principale; la garanzia della libertà di attività sindacale e la legalizzazione e il riconoscimento dei sindacati indipendenti creati dagli stessi lavoratori. Rimarchiamo che l’ottimizzazione imposta dai manager occidentali ha portato a perdite salariali e del pacchetto sociale per centinaia di migliaia di lavoratori del petrolio.
In quinto luogo, nel dicembre 2021 sono stati improvvisamente licenziati, senza l’offerta di qualche alternativa occupazionale, 40.000 lavoratori delle imprese di servizi e di costruzione del campo di Tengiz, regione di Atyrau, appartenente alla joint venture Tengizchevroil, per il 75% di proprietà delle americane Chevron e Exxon Mobil. La stessa minaccia di licenziamenti incombeva sui lavoratori delle imprese di servizi della regione di Mangistau.
Bisogna tener conto che nella regione del Mangistau i giacimenti, esplorati in epoca sovietica, stanno esaurendosi, molti saranno esauriti entro il 2030. Di conseguenza, per tutti i lavoratori del petrolio si prospetta un’imminente perdita del lavoro. In questa zona si è così venuta a creare una situazione senza speranza, con la minaccia di licenziamenti e l’imminente collasso dell’industria.
L’esplosione sociale
La ragione dell’esplosione del malcontento è stata la decisione del governo di lasciar fluttuare “liberamente” in Borsa il gas liquefatto per le automobili – di venderlo a pronti. Il risultato di questa decisione è che hanno vinto i monopolisti, che già dal primo giorno hanno speculativamente aumentato il prezzo. Il prezzo del carburante è salito da 60 a 120 tenge (fino a 20 rubli) al litro. Il giorno seguente, domenica 2 gennaio, questo ha spinto i residenti e i lavoratori delle compagnie petrolifere locali di Zhanaozen, che usano veicoli a gas, a manifestare con raduni spontanei e a bloccare le strade.
Essi hanno immediatamente ricevuto il sostegno dei residenti e dei lavoratori di tutti i centri distrettuali della regione. La sera stessa è stata organizzata una manifestazione nel centro regionale di Aktau, dove in un primo momento la polizia ha cercato, senza riuscirci, di cacciare la folla dalla piazza principale della città, Yntymak. Il risultato dell’intervento della polizia è stato il rifiuto categorico dei manifestanti di disperdersi e il blocco di tutte le strade centrali.
Si sono così formati due centri di protesta – Zhanaozen e Aktau, dove i partecipanti hanno deciso di tenere una manifestazione a tempo indeterminato fino a quando la loro richiesta – la riduzione del prezzo del gas a 50 tenge al litro (9 rubli) – fosse pienamente realizzata. Parallelamente a questa richiesta i manifestanti hanno chiesto un aumento del 100 per cento dei salari.
Successivamente, durante la notte, e poi la mattina e il pomeriggio del 3 gennaio, hanno cominciato ad unirsi ai manifestanti dei collettivi di lavoratori, con dichiarazioni di sostegno. Tende e yurte venivano erette nelle piazze, la popolazione locale ha organizzato pasti caldi e ha dato il via alla raccolta di fondi. Iniziative queste non nuove, poiché anche durante l’estate e l’autunno, i residenti avevano mostrato solidarietà agli scioperanti, portando cibo e acqua alle tende dei lavoratori.
Le attuali proteste sono perciò da considerare una continuazione degli scioperi di massa dell’anno scorso contro la politica di ottimizzazione imposta dalla direzione occidentale, dove molte imprese ausiliarie e di servizi sono state scorporate dalla produzione principale.
Ha suscitato l’indignazione dei manifestanti anche la notizia del trasferimento di aerei da trasporto militare con truppe il 3 gennaio. Ne è conseguita l’estensione della protesta, i residenti e i lavoratori del centro regionale hanno bloccato tutte le entrate dell’aeroporto.
Una reazione prevedibile, dato il fresco ricordo dell’uccisione degli scioperanti nel dicembre 2011 a Zhanaozen da parte della polizia. Questa notizia ha colpito fortemente i manifestanti, e in risposta a tali azioni delle autorità, già nel corso della notte e il mattino seguente è iniziato uno sciopero generale dei lavoratori del petrolio nella regione di Mangistau, e i lavoratori hanno fermato la produzione nel campo di Tengiz nella vicina regione di Atyrau.
Sono entrati in sciopero i lavoratori petroliferi della compagnia Tengizchevroil, per il 75% di propretà americana – Chevron con il 50%, ExxonMobil il 25%, e la compagnia kazaka KazMunayGas solo il 20%. Così, poco prima del nuovo anno, sono stati licenziati con effetto immediato 40 mila lavoratori, di fatto buttati sulla strada. Ma subito dopo questi licenziamenti, gli scioperi si sono estesi non solo a tutte le imprese di produzione di petrolio delle cinque regioni del Kazakistan occidentale, ma anche all’intera industria estrattiva e alla metallurgia.
Il 4 gennaio sono entrati in sciopero i minatori e metallurgici di Arcelor Mittal nella regione di Karaganda, e i minatori e fonditori di rame della Kazakhmys, con la partecipazione di capitale britannico. I metallurgici locali hanno preso il controllo della città di Khromtau nella regione di Aktobe.
Le principali richieste sociali degli scioperanti: riduzione dei prezzi di alcune merci, aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro, stop ai licenziamenti, libertà di attività sindacale e la costruzione di nuove fabbriche – la creazione di una moderna industria manifatturiera per garantire il futuro della regione.
Il 5 gennaio, a Zhanaozen, divenuta la sede politica effettiva di tutto il movimento operaio, sono state avanzate anche richieste politiche: le dimissioni del presidente Tokayev e di tutti i funzionari dell’entourage di Nazarbayev, il rilascio dei prigionieri politici e dei detenuti, il ritorno alla Costituzione del 1993, che garantisce la libertà di formare sindacati, scioperi e di fondare dei partiti. E’ stato eletto nella città il cosiddetto Consiglio degli anziani scelto tra i rappresentanti di tutti i settori, che è diventato l’organo di coordinamento del movimento nella regione ed è stato l’esempio per la creazione di simili comitati e consigli in altre regioni interessate dagli scioperi.
Il ruolo del movimento operaio in questi eventi si è dimostrato decisivo, poiché i collettivi di lavoro hanno costituito il nucleo delle proteste nelle regioni industriali e hanno dato impulso alle manifestazioni di massa in tutte le città del Kazakistan.
Eventi ad Almaty e l’imposizione della legge marziale
Allo stesso tempo, martedì 4 gennaio sono iniziate le manifestazioni a tempo indeterminato ad Atyrau, Uralsk, Aktyubinsk, Kyzyl-Orda, Taraz, Taldykorgan, Turkestan, Shymkent, Ekibastuz, nelle città della regione di Almaty e nella stessa Almaty, dove il blocco delle strade, già nella notte del 4-5 gennaio, si è trasformato in scontro aperto tra manifestanti e polizia, e ne è coseguita la temporanea occupazione dell’akimat [municipio – n.] della città. Questo ha spinto Kassym-Jomart Tokayev ad annunciare lo stato di emergenza la mattina del 5 gennaio.
Va notato che a questi scontri ad Almaty hanno partecipato soprattutto giovani disoccupati e immigrati interni che vivono nei sobborghi della metropoli e lavorano in lavori temporanei o sottopagati. I tentativi di acquietarli con promesse, con la riduzione del prezzo del gas a 50 tenge, solo per la regione di Mangystau e Almaty, non hanno soddisfatto nessuno.
Non ha fermato le proteste neppure la decisione di Kassym-Jomart Tokayev di licenziare il governo e di rimuovere Nursultan Nazarbayev dalla carica di presidente del Consiglio di Sicurezza. Infatti il 5 gennaio sono iniziate manifestazioni di protesta di massa in quei centri regionali del Kazakistan settentrionale e orientale, dove prima non c’erano state – a Petropavlovsk, Pavlodar, Ust-Kamenogorsk, Semipalatinsk. Allo stesso tempo, ad Aktyubinsk, Taldykorgan, Shymkent e Almaty, ci sono stati tentativi di assalto agli edifici degli akimat regionali.
Il 5 gennaio, quando le proteste si sono diffuse in tutto il Kazakistan, e la polizia e l’esercito non potevano più contenere i manifestanti, molti attivisti hanno rilevato il ricorso a provocatori da parte delle autorità. Nella notte tra il 4 e il 5 gennaio e durante il 5 gennaio ad Almaty, nella regione di Mangistau, a Shymkent, a Taldykorgan, a Taraz e in altre città, questo ha fatto sì che molti poliziotti e soldati ordinari disertassero per passare dalla parte dei ribelli.
Pertanto, I servizi speciali, rappresentati dal Comitato di Sicurezza Nazionale, hanno utilizzato gruppi di militanti addestrati da tempo in basi e campi chiusi, per organizzare una “zona di caos” ad Almaty e nel Kazakistan meridionale. Questi gruppi di giovani addestrati, e di criminali agli ordini dei servizi speciali, hanno effettuato pogrom, saccheggi, attacchi alle istituzioni statali, con armi.
L’azione di questi provocatori doveva servire ad accusare tutti i manifestanti di “terrorismo”, per poi dare il via alla repressione dei raduni pacifici e degli scioperanti. Così, la TV e i giornali hanno cercato di presentare tutti i manifestanti come predoni, rapinatori, assassini e persino terroristi. Il 6 gennaio, sono state portate ad Almaty unità dell’esercito e della guardia nazionale, che hanno sparato su molti manifestanti disarmati, e ai giovani disoccupati che il giorno precedente, disarmata la polizia e le truppe locali, avevano preso le armi per rovesciare il regime di Nazarbayev.
A seguito di tutto ciò, per ordine di Kassym-Jomart Tokayev, in Kazakistan è stato instaurato un rigido regime di legge marziale, allo scopo di reprimere con l’esercito le rivolte popolari e gli scioperi dei lavoratori delle industrie estrattive e della metallurgia ferrosa e non ferrosa di proprietà di compagnie americane ed europee.
Ad oggi, secondo le cifre ufficiali, sono state arrestate più di 10 mila persone, 225 sono morte ad Almaty e in alcune città del sud del Kazakistan. Ma in realtà i morti sono stati molti di più, perché ci sono state vere e proprie battaglie tra il popolo in rivolta e le forze della repressione. Allo stesso tempo, ci sono state esecuzioni a Kyzylorda, Aktyubinsk, Atyrau e in altre città, dove non ci sono stati casi di pogrom. Il presidente ha definito terroristi i manifestanti, sostenendo che dall’esterno erano giunti 20.000 combattenti armati. Una menzogna!
Sabato 8 gennaio, allo scopo di evitare spargimenti di sangue, i lavoratori petroliferi del Kazakistan occidentale, come pure i metallurgici, i minatori, i fonditori di rame e i minatori delle miniere della regione di Karaganda, hanno deciso di diminuire i raduni e di sospendere gli scioperi. Ma dal 2 gennaio, nelle regioni industriali dove la classe operaia rappresentava il nucleo delle proteste, i lavoratori sono riusciti a mantenere viva la protesta nelle manifestazioni.
L’influenza esterna sugli eventi
I media e i social network, così come molti partiti di sinistra e comunisti [? -n.], hanno diffuso teorie cospirative sull’intervento di Stati Uniti, Ucraina, Gran Bretagna, Turchia e altri stati che avrebbero cercato di organizzare una “rivoluzione colorata” in Kazakistan.
In verità, già il 6 gennaio, il Dipartimento di Stato americano si è espresso a sostegno del regime esistente in Kazakistan, come pure le autorità della UE, e le leadership di Russia e Cina. Cioè, si è trattato di una esplicita manifestazione di solidarietà di classe borghese nella lotta contro il movimento di massa dei lavoratori e degli strati popolari.
E’ falsa anche la dichairazione del presidente Tokayev su un presunto intervento di 20.000 terroristi islamici che avrebbero invaso il territorio del Kazakistan. Fino ad oggi, non è stato trovato un solo cittadino di paesi arabi tra i morti, i feriti o gli arrestati. Questa leggenda di un’invasione esterna serviva a giustificare il ricorso a carri armati e armi pesanti contro i manifestanti e gli scioperanti, e anche a giustificare la necessità di trasferire truppe dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva in Kazakistan. In questo modo si cerca anche di demonizzare agli occhi dei lavoratori di altre repubbliche dell’Unione Sovietica le rivolte operaie e la protesta popolare di massa.
Finora, nessuna forza sta cavalcando questo movimento di protesta o le prese di posizione dei lavoratori, poiché al momento il campo politico è stato completamente sgombrato, tutti i partiti e movimenti di opposizione, compreso il Partito Comunista, sono stati chiusi. Tutti i sindacati indipendenti sono stati liquidati. E, dopo l’adozione della legge anti-lavoro “sui sindacati” nel 2014, più di 600 sindacati sono stati liquidati in Kazakistan per ordine del tribunale. L’ultima Confederazione dei sindacati indipendenti del Kazakistan è stata chiusa da una decisione del tribunale nel 2017, e quattro dei loro leader sono stati condannati a varie pene detentive.
Naturalmente, ci saranno in seguito tentativi da parte delle forze borghesi di addomesticare il movimento di protesta, ma finora questo non è successo e non ci sono leader e associazioni politiche che possano parlare a nome di queste masse. Questo dimostra ancora una volta che quanto è avvenuto è un’esplosione sociale e un movimento popolare di massa che ha avanzato una serie di giuste rivendicazioni economiche, sociali e politiche, con la caduta dell’attuale regime.
Ad oggi, il presidente Tokayev è riuscito a stabilizzare temporaneamente la situazione introducendo un regime militare. Ma è un successo temporaneo, perché permangono tutte le contraddizioni di classe e lo stesso sistema politico, così come il dominio delle corporazioni transnazionali, nonostante il populismo nazionalistico dei suoi recenti discorsi. È da notare che le imprese americane ed europee sono state le prime a rivolgersi al presidente con la richiesta di ristabilire l’ordine. Il 5 gennaio Tokayev ha dichiarato che le proprietà e gli investimenti delle imprese straniere sarebbero stati protetti dallo Stato. E infatti ora per proteggere la proprietà delle compagnie americane Chevron e ExxonMobil sono state inviate le truppe nel campo di Tengiz, dove in precedenza i lavoratori del settore petrolifero in sciopero avevano bloccato la ferrovia e l’autostrada.
Non pensiamo che questa sia la sconfitta finale del movimento operaio. Al contrario, i lavoratori del petrolio, i minatori e i metallurgici hanno acquisito una preziosa esperienza nelle battaglie di classe, e per la prima volta c’è stato uno sciopero generale nell’industria mineraria. Le autorità non sono riuscite ad abbattere e schiacciare le proteste e gli scioperi dei lavoratori nell’Ovest e nel Centro del Kazakistan, dove i lavoratori hanno sospeso le proteste in modo organizzato. Questo significa che lo sciopero generale può essere ripetuto di nuovo, solo con richieste più specifiche e tattiche di lotta avanzate.
La nostra missione è sostenere la creazione di sindacati di classe e il ribaltamento della decisione della Corte Suprema del 2015 di liquidare il Partito Comunista e legalizzare il Movimento Socialista, e mostrare alla classe operaia che il socialismo è l’unica alternativa che riflette i loro interessi.
THE WORKERS’ UPRISING IN KAZAKHSTAN
We report below the translation of an interesting reconstruction of the workers’ and popular uprising of January 2022 in Kazakhstan, published by the Socialist Movement of Kazakhstan (http://socialismkz.info/).
It confirms the working-class character of the protests, which combined economic and political demands, and the bourgeois character of the repression, which saw all the imperialist powers united in support of the bourgeois power, as the guarantor of their interests in the area.
What is important is not only the realistic and reasoned reconstruction of the events, from a working class point of view, but also the following two facts: 1) the Kazakh workers have confronted, albeit in a largely spontaneous and uncoordinated way, as inevitable, the problem of power, creating their own local bodies; and 2) there are organisations on the spot that intend to build on this experience of struggle, which is among the most advanced in recent years internationally, to continue the proletarian movement, against capitalism, reconnecting with the history of the international workers’ movement and the Marxist tradition.
It is all the more necessary that the Kazakh workers who started this first assault on the sky find support in other sections of the international labour movement.
To read, to get a more concrete and detailed idea of what really happened in January, and – more generally – of which (from this Kazakh situation to worse) is the material and political condition of the proletarians in the Central Asian republics after the dissolution of the USSR. To the shame of all those who authomatically dismiss the workers’ and popular uprisings in countries within the Russian or Chinese orbit as “colored”.
ABOUT THE JANUARY MASS PEOPLE’S ACTIONS
AND STRIKES IN KAZAKHSTAN
January 24, 20220
We publish material with a preliminary primary analysis of the events. More articles will be published over the coming weeks with conclusions and clarifying details.
Reasons for speeches
The social explosion itself has matured and by now has been overripe for more than a long time. This is due to the fact that Kazakhstan has become a raw material colony of developed capitalist countries. And for 30 years, the leadership of the former party and Komsomol leaders, headed by Nazarbayev, carried out the most stringent market reforms aimed at privatizing large industry and, first of all, mining, and the social security system was being scrapped, with an increase in the retirement age that the former First Secretary of the Central Committee of the Communist Party of China [?] received praise from Margaret Thatcher and the title of the best student among presidents in the post-Soviet space.
Millions of people fell below the poverty line, lost their jobs overnight due to the liquidation of manufacturing enterprises and the forced liquidation of collective and state farms in the mid-90s. As a result, all large-scale industry was concentrated in the west of Kazakhstan in the oil-producing regions, where since 1993 American and European companies have dug in, controlling two-thirds of production, and in the center of Kazakhstan, where the main companies are ArecelorMittal Temirtau of the British billionaire Lashkmi Mittal and the Kazakhmys Corporation .
As for the Mangistau region and the regions of Western Kazakhstan, where the first protests broke out, we can say that all social contradictions and discontent were most concentrated there, which became the causes of strikes and mass popular demonstrations, which we will try to tell here.
Firstly, Mangistau, Aktobe, Atyrau, West Kazakhstan and Kyzylorda regions are regions of mass unemployment, where there is practically no other work except for oil and gas enterprises. The Soviet manufacturing industry there was almost completely destroyed back in the 90s. And in the same Zhanaozen and Aktau, where the first rallies and strikes were noted, there are 7-8 more unemployed relatives and adult children per working oil worker. And that is why the strikers and protesters put forward, apart from the rest, the demand for the construction of new industries.
Being in such harsh conditions and difficult climatic conditions, as these are semi-desert regions, labor collectives and the local population formed a real bond, and solidarity and rallying became the key to success in carrying out numerous strikes that have been since the beginning of the 2000s.
Secondly, the inflation of the summer and autumn of last year and the increase in the high cost led to the depreciation of the tenge and to a decrease in the purchasing power of wages. This was especially reflected in the Mangistau region, which is a “dead end” region and where all products and goods are imported and their prices are two or three times higher than in the whole country. And besides this, prices for fuel and lubricants and all types of utilities increased. Naturally, the doubling of the price of liquefied gas on January 1 simply became the trigger for an explosion of discontent and not only motorists, since this increase in cost also meant a sharp rise in the price of products transported by road.
Thirdly, do not believe it when they say that these speeches were a complete surprise and accident, because the whole of 2021, the Mangistau region and all regions of Western Kazakhstan were in a fever with constant rallies and strikes of oil workers and workers of service companies, largely at enterprises with foreign capital . And these were largely capture strikes, when tents and yurts were set up on the territory of enterprises or in front of the gates in order to prevent the equipment from being taken out and the strechbreichers to be brought in. The local population and neighboring collectives, as well as in early January, brought food, water, clothes and even collected funds at the rallies.
But despite the fact that as a result of the strikes it was possible to achieve an increase in wages, the most important demands, such as the rejection of the results of the policy of optimization and the return of service enterprises back to the main production, as well as ensuring the freedom of trade union activity and the legalization and recognition of independent trade unions created by the workers themselves , were ignored. It should be noted that as a result of the optimization carried out by Western managers, hundreds of thousands of oil workers lost their salaries and social package.
Fifth, in December 2021, at the Tengiz field at the Tengizchevroil joint venture in the Atyrau region, where 75% of the shares are owned by the American companies Chevron and Exxon Mobil, 40,000 workers were immediately fired from among service and construction enterprises without providing any alternative jobs. The same threat of layoffs hung over the workers of service companies in the Mangistau region.
It should also be taken into account that in this region in the Mangistau region, the deposits are already fading, explored in the Soviet era, many of which will be exhausted by 2030. And here all the oilmen come to the prospect of imminent job loss. Therefore, the threat of layoffs and the imminent collapse of the industry in this area also created a hopeless situation.
Social explosion
The reason for the explosion of discontent was the decision of the government to send liquefied gas for cars “to free float” – to sell it on the stock exchange in spots. As a result, the monopolists won, who speculatively raised the price on the first day. Fuel has risen in price from 60 to 120 tenge (up to 20 rubles) per liter. This led to the fact that the next day, Sunday, January 2, residents and workers of local oil companies, who use gas-powered vehicles, began to go out in Zhanaozen to spontaneous rallies and block roads.
They were immediately supported by residents and workers of all district centers of the region, and by the evening a rally had already unfolded in the regional center of Aktau, where the police unsuccessfully tried at first to force the crowd out of the main city square Yntymak. As a result, all the central streets were blocked there, and people flatly refused to disperse.
As a result, two centers of protests were formed – Zhanaozen and Aktau, where the participants decided to hold an indefinite rally until their demand was fully implemented – reducing the price of gas to 50 tenge per liter (9 rubles). In parallel, the protesters put forward another demand – a 100 percent increase in wages.
Subsequently, at night, and then in the morning and afternoon of January 3, labor collectives began to join the protesters, who made statements of support for the protesters. Tents and yurts began to be erected on the squares there, and the local population organized hot meals and began to raise funds. Actually, this is not something new, since during the summer and autumn, residents also showed solidarity with the strikers, bringing food and water to the workers’ tents.
Therefore, the current protests can be called a continuation of the mass strikes of last year against the optimization policy imposed by Western management, where many auxiliary and service enterprises were separated from the main production.
Information about the transfer of military transport aircraft with troops on January 3 also aroused the indignation of the protesters. As a result, the protest expanded even more, and residents and workers in the regional center blocked all entrances to the air harbor, blocking the airport.
This reaction was also to be expected, since everyone still has fresh memories of the execution of strikers in Zhanaozen in December 2011. And therefore, this was perceived painfully, and already at night and in the morning, in response to such actions of the authorities, a general strike of oil workers began in the Mangistau region, and workers stopped production at the Tengiz field in the neighboring Atyrau region.
It was the oil workers of the Tengizchevroil company with the participation of 75% of American capital that went on strike. In particular, Chevron has 50%, ExxonMobil – 25%, and the Kazakh company KazMunayGas only 20%. And there, just before the new year, 40 thousand workers were laid off at once, who, in fact, were thrown out into the street. But after that, the strikes covered not only all the oil production enterprises of the five regions of Western Kazakhstan, but also the entire mining industry of the country and metallurgy.
So, on January 4, as a result, miners and metallurgists of the Arcelor Mital company in the Karaganda region, as well as miners and copper smelters of the Kazakhmys corporation with the participation of British capital, went on strike. Local metallurgists completely captured the city of Khromtau in the Aktobe region.
The main social demands of the strikers were lower prices for certain types of goods, higher wages, better working conditions, an end to layoffs, freedom of trade union activity and the construction of new factories – the creation of a modern manufacturing industry to ensure the future of the region.
On January 5, in Zhanaozen, which became the real political headquarters of the entire labor movement, political demands were also put forward: the resignation of President Tokayev and all officials from Nazarbayev’s entourage, the release of political prisoners and detainees, a return to the 1993 Constitution, which guarantees the freedom to form trade unions, strikes and form parties. In the same place, the so-called Council of Elders was elected from representatives of all industries, which became the coordinating body of the movement in the region and gave an example of the creation of the same committees and councils in other regions covered by strikes.
Therefore, the role of the labor movement in these events was decisive, since it was the labor collectives that became the core of the protests in the industrial regions and gave impetus to mass rallies in all cities of Kazakhstan.
Events in Almaty and the imposition of martial law
At the same time, indefinite rallies on Tuesday, January 4, began already in Atyrau, Uralsk, Aktyubinsk, Kyzyl-Orda, Taraz, Taldykorgan, Turkestan, Shymkent, Ekibastuz, in the cities of the Almaty region and in Almaty itself, where the blocking of the streets already on the night of January 4-5, it turned into an open clash between demonstrators and the police, as a result of which the city akimat was temporarily seized. This gave rise to Kassym-Jomart Tokayev to announce a state of emergency on the morning of January 5.
It should be noted that mostly unemployed youth and internal migrants who live in the suburbs of the metropolis and work in temporary or low-paid jobs took part in these performances in Almaty. And attempts to calm them down with promises, by reducing the price of gas to 50 tenge, separately for the Mangystau region and Almaty, have not satisfied anyone.
The decision of Kassym-Jomart Tokayev to dismiss the government and then remove Nursultan Nazarbayev from the post of chairman of the Security Council also did not stop the protests, since on January 5 mass protest rallies began already in those regional centers of Northern and Eastern Kazakhstan, where they had not been before – in Petropavlovsk, Pavlodar, Ust-Kamenogorsk, Semipalatinsk. At the same time, in Aktyubinsk, Taldykorgan, Shymkent and Almaty, attempts were made to storm the buildings of regional akimats.
Many activists witnessed the use of organized provocateurs by the authorities on January 5, when protests swept across Kazakhstan, and the police and army could no longer contain the demonstrators. So, on the night of January 4-5 and during January 5 in Almaty, the Mangistau region, Shymkent, Taldykorgan, Taraz and other cities, numerous cases of ordinary policemen and soldiers defecting to the side of the rebels were noted.
Therefore, the special services, represented by the National Security Committee, used trained groups of militants who had long been trained in closed bases and camps in order to organize a “chaos zone” in Almaty and southern Kazakhstan. These trained groups of young people, as well as criminal groups subordinate to the special services, carried out pogroms, looting, attacks on state institutions and had weapons.
The exit of these provocateurs was aimed at then accusing all the protesters of “terrorism” and ordering the execution of peaceful rallies and strikers. Therefore, on television and in newspapers, they tried to present all the protesters as marauders, robbers, murderers and even terrorists. On January 6, units of the army and the national guard were brought into Almaty, which shot many unarmed demonstrators, as well as those young unemployed who, having disarmed the local police and troops the day before, took up arms to overthrow the Nazarbayev regime.
As a result, a strict martial law regime has now been established in Kazakhstan, introduced by order of Kassym-Jomart Tokayev in order to suppress popular uprisings and strikes by workers in the extractive industries, as well as in the ferrous and non-ferrous metallurgy owned by American and European companies, by force of the army.
To date, according to official figures, more than 10 thousand people have been arrested, 225 people have died in Almaty and some cities in southern Kazakhstan. But in fact, there were much more dead, since there were real battles against the rebellious people. At the same time, there were executions in Kyzylorda, Aktyubinsk, Atyrau and other cities where there were no cases of pogroms. The President called the speakers terrorists and said that 20,000 armed fighters had entered the territory from outside. But this is not true!
To prevent bloodshed, the oil workers of western Kazakhstan, as well as metallurgists, miners, copper smelters and miners of the mines of the Karaganda region, in an organized manner, curtailed their rallies and stopped their strikes on Saturday, January 8. But since January 2, in the industrial regions, where the core of the protests was the working class, the workers themselves managed to ensure the protest character of the protests.
On external influence on events
The media and social networks, as well as many leftist and communist parties, broadcast conspiracy theories about the intervention of the United States, Ukraine, Great Britain, Turkey and other states that allegedly tried to organize a “color revolution” in Kazakhstan.
In fact, already on January 6, the US State Department came out in support of the existing regime in Kazakhstan, as did the authorities of the European Union, as well as the leadership of Russia and China. That is, it was a real manifestation of bourgeois class solidarity in the struggle against the mass movement of workers and popular strata.
There are also no 20,000 Islamic terrorists that President Tokayev mentioned in his statement. According to him, they allegedly invaded the territory of Kazakhstan. To date, not a single native of Arab countries has been found among the dead, injured or arrested. This myth of an external invasion was needed to justify the use of tanks and heavy weapons against protesters and strikers, and on the other hand to explain the need to transfer troops of the Collective Security Treaty Organization to Kazakhstan. In addition, an attempt is being made in this way to demonize in the eyes of the working people of other republics of the Soviet Union the image of workers’ uprisings and mass popular protest.
So far, no forces are playing in this protest movement or in working speeches, since at the moment the political field has been completely cleared, all opposition parties and movements, including the Communist Party, have been closed. All independent trade unions have been liquidated. Thus, after the adoption of the anti-working law “On Trade Unions” in 2014, more than 600 trade unions were liquidated in the country by court order. The last Confederation of Independent Trade Unions of Kazakhstan was closed by a court decision in 2017, and four of their leaders were sentenced to various prison terms.
Of course, there will be subsequent attempts by the bourgeois forces to saddle the protest movement, but so far this has not happened and there are no leaders and political associations that could speak on behalf of these masses. This once again proves that what happened is a social explosion and a mass grassroots popular movement that put forward a number of just economic, social and political demands that demanded the departure of the current regime.
To date, President Tokayev has managed to temporarily stabilize the situation by introducing a military regime. But this is temporary, because despite the national populism of his recent speeches, all class contradictions and the political system itself, as well as the dominance of transnational corporations, remain unchanged. Remarkably, American and European companies were the first to turn to the president with a request to restore order, and on January 5 he made a statement that the property and investments of foreign corporations would be protected by the power of the state. And indeed now troops have been sent to the Tengiz field, where earlier striking oil workers blocked the railway and the highway to protect the property of the American companies Chevron and ExxonMobil.
We do not consider that this is the final defeat of the labor movement. On the contrary, oil workers, miners and metallurgists gained invaluable experience in class battles, and for the first time there was a general strike in the mining industry. The authorities failed to shoot down and crush workers’ protests and strikes in the West and in the Center of Kazakhstan, where the workers organizedly suspended the protests. This means that the general strike can be repeated again, only with more specific demands and developed tactics of struggle.
Our mission is to support the creation of class unions and the overturning of the Supreme Court’s 2015 decision to liquidate the Communist Party and legalize the Socialist Movement, and to show the working class that socialism is the only alternative that reflects their interests.