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[CONTRIBUTO] Tesla di Shanghai: Usa e Cina in rotta, ma soci d’affari quando c’è da conciare la pelle degli operai

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Gennaio 2019 – inaugurazione ufficiale dei lavori della cosiddetta Gigafactory Tesla, a Shanghai – una fabbrica costruita a tempo di record (in realtà i lavori erano già cominciati nel dicembre 2018, e finiranno nel dicembre 2019)

È di pochi giorni fa la notizia che la multinazionale americana Tesla, per aggirare i provvedimenti contro la pandemia a Shanghai e riprendere la produzione a pieno ritmo, ha imposto agli operai cinesi di “vivere e dormire in fabbrica, sperimentando le meraviglie-delizie di un sistema a circuito chiuso”.

L’estrazione di profitti non può certo essere fermata da una pandemia! Del resto, a chi importa della salute della classe lavoratrice?

Non è la prima volta che vengono prese queste misure. All’inizio del 2020, quando la pandemia aveva iniziato da poco a prendere piede, Tesla e altre imprese di Shanghai erano state costrette a chiudere le proprie strutture per diverse settimane. E il lockdown imposto nelle ultime settimane, sempre a Shanghai, ha influito ancora una volta sulla produzione di Tesla, ritardando – secondo le stime di Bloomberg – la consegna di circa 40mila veicoli. Per la dirigenza di Tesla la misura è stata colma: basta lockdown, è ora di tornare ai livelli di produzione e di profitto di pre-pandemia, quando l’impianto di Shanghai produceva circa 2.000 veicoli elettrici al giorno. E per tornare alla capacità di estrazione di plusvaloreprecedente – una necessità vitale per Elon Musk, come per ogni altro capitalista sulla faccia della Terra (compresi quelli cinesi) – i dirigenti di Tesla hanno pensato bene di introdurre una politica aziendale “eccezionale”, da “stato di eccezione”: segregare migliaia di lavoratori in fabbrica per salvaguardarli dal Covid-19 o, meglio, per salvaguardare in pieno la “salute” del capitale con l’estrazione di profitti.

Qualche giorno fa, infatti, la multinazionale americana ha inviato ai propri dipendenti una nota in cui spiega che avvierà di nuovo la produzione tramite un sistema a circuito chiuso (closed-loop system). In pratica, in assenza di un dormitorio all’interno della struttura, l’azienda fornirà ai lavoratori sacchi a pelo e materassini per dormire a terra e allestirà aree specifiche per lavarsi, per mangiare e per intrattenersi – il kit necessario per passare delle serene e confortevoli notti in fabbrica, almeno fino al 1° maggio prossimo, in attesa di eventuali variazioni della rigida politica “zero contagi”adottata dalla città.

Nei primi tre giorni dell’avvio del sistema a circuito chiuso circa 400 lavoratori dovranno sottoporsi a un tampone giornaliero e al controllo della temperatura due volte al giorno e saranno tenuti a lavarsi le mani almeno quattro volte al giorno. Oltre a questo, il “gigante buono” della produzione mondiale di auto elettriche fornirà ai dipendenti tre pasti al giorno e “un piccolo rimborso spese” di 400 yuan (circa 60 euro) per compensare il disturbo subìto. Infine, le note finali del “bugiardino aziendale” impongono che, per tornare in fabbrica, i lavoratori devono essere già stati vaccinati due volte. Altrimenti restano a casa senza salario!

Ma, per questo “piccolo sacrificio” quanto dovranno lavorare gli operai della Tesla?

Prima della pandemia, gli stabilimenti della Tesla di Shanghai rimanevano aperti 24 ore su 24, sette giorni su sette, e gli operai lavoravano su tre turni, a rotazione, quattro giorni alla settimana, con due giorni di riposo a disposizione. Ora agli stessi lavoratori viene chiesto di lavorare 12 ore al giorno, su sei giorni alla settimana, almeno fino al 1° maggio. E il settimo giorno di riposo?Il closed-loop system impone ai lavoratori di trascorrerlo in fabbrica: “E’ per proteggere la loro salute”. La loro salute, o qualcos’altro?!?

Il “closed-loop system”: arma e invenzione dei padroni sotto pandemia. Con garante, lo stato cinese.

Tesla non è l’unica azienda ad aver adottato il cosiddetto “closed-loop system” in Cina. Si tratta di una politica aziendale, introdotta durante la pandemia, che ha l’obbiettivo di massimizzare la produzione e il profitto, riducendo al minimo il rischio di interruzioni di produzione per infezione”. Attraverso questa nuova trovata del capitale – a proposito di uso capitalistico della pandemia… – si impone agli operai di non lasciare praticamente mai il luogo di lavoro, neanche per ragioni di famiglia (il bene dell’azienda prima di tutto e di tutti!).

Questa politica introdotta da Tesla e da altre imprese, sia straniere che cinesi, non sarebbe stata possibile senza un altro protagonista: lo stato cinese. Infatti sono circa 600 le fabbriche di Shanghai che hanno ricevuto il permesso di far ripartire la produzione adottando questo “modello”, riducendo così l’effetto delle rigide politiche di contenimento del contagio da Covid-19 in vigore nella metropoli e in tutta la Cina. Questo sistema non è affatto una novità dell’ultima ora. La novità consiste, piuttosto, nel fatto che Tesla l’ha reso più articolato, adattandolo al contesto, per difendere con maggiore intransigenza la continuità della produzione e i propri schifosi interessi di profitto.

Tra le imprese che hanno fatto ricorso ametodi simili ci sono multinazionali come General Motors e Quanta Computer, il più grande produttore di computer portatili nel mondo, con sede a Taiwan, che produce laptop anche per la Apple. Lo stesso modello è stato adottato anche allo Shanghai Portil più grande porto container al mondo, dove, dopo l’introduzione delle restrizioni, molti lavoratori cinesi sono stati costretti a fermarsi sui posti di lavoro anche di notte dormendo su brande o su giacigli improvvisati. Il tutto per garantire la salute dei padroni stranieri e cinesi.

Questo sistema di segregazione, adottato sia dal capitale internazionale che da quello cinese, è stato incoraggiato dai funzionari di Shanghai per riavviare la produzione senza troppi intoppi, stanti le rigide misure di lockdown imposte alla popolazione e il blocco totale delle fabbriche introdotto a partire da febbraio per contrastare la diffusione del Coronavirus. Nelle ultime settimane il governo cinese ha autorizzato questo modello a bolla anche nei campus universitari e nelle imprese finanziarie della città.

Non è l’unico trattamento di favore che Tesla ha ricevuto dal governo cinese. Sempre in base a quanto rivela Bloomberg, mentre la corsa alle mascherine si faceva sempre più complessa in tutto il mondo, Pechino riservava a Tesla lotti di N95 e di disinfettanti tanto efficaci da richiedere una licenza d’acquisto. Non solo: a seguito del blocco del sistema di trasporti, il Governo stesso si è adoperato per fornire autobus e dormitori agli operai, mettendo in campo addirittura dei funzionari di sicurezza per evitare ogni contatto tra dipendenti e popolazione locale. In passato, inoltre, il governo cinese ha concesso alla succursale cinese della Tesla una serie di agevolazioni fiscali e di prestiti a tasso agevolato dalle banche cinesi, oltre che un iter accelerato per la costruzione dello stabilimento e, a quel che sembra, il permesso di gestire in totale autonomia i propri affari, senza obbligo di costituire una joint venture.

Insomma, una serie di favori che fanno solo da contorno all’agevolazione più speciale di tutte tra quelle finora richiamate: il permesso di estrarre super-profitti attraverso la torchiatura a sangue della classe lavoratrice cinese, che lo stato cinese ha offerto in dono a Tesla, come a tutti gli altri padroni-vampiri nazionali e internazionali.

E i lavoratori americani della Tesla come se la passano?

Non se la passano molto meglio, come dimostra un’inchiesta di qualche anno fa del Guardian, che denunciava come nella “fabbrica del futuro” – l’impianto produttivo della Tesla a Freemont, in California – vi fossero “turni massacranti, eccessiva stanchezza da troppo lavoro, svenimenti, crisi epilettiche e vertigini”. Al lancio dell’ultimo modello della supercar elettrica Tesla, un operaio intervistato dal quotidiano britannico rispondeva così: «Stiamo cambiando il mondo, ma sono spaventato perché recentemente ho perso forza nel mio braccio destro e voglio ancora usarlo quando andrò in pensione».

Il gioiello tecnologicodella multinazionale americana e del cosiddetto capitalismo green (per gli ingenui che vogliono farsi abbindolare), ossia le supercar elettriche, si basa sul super-sfruttamento della classe operaia. Senza contare che questo sistema di morte, oltre che mutilare e ammazzare di fatica la classe lavoratrice di mezzo mondo, partecipa attivamente alla distruzione dell’ecosistema attraverso la violenta devastazione ambientale necessaria per estrarre i metalli rari che servono alla costruzione delle auto battezzate come “ecologiche”.

In conclusione

Le notizie sul caso Tesla che ci giungono dalla Cina mostrano che se da un lato in questi anni c’è stata una crescita e un’accelerazione dei contrasti tra Cina e Usa in quanto potenze capitalistiche, allo stesso tempo, quando si tratta di spellare vivi gli operai, recludendoli dentro le fabbriche come al tempo dei coolies, i due avversari vanno d’amore e d’accordo.

Certo, il capitale statunitense – in questo caso la Tesla – si accaparra una parte preponderante del plusvalore estratto tramite lo sfruttamento della forza-lavoro cinese, ma in ultima istanza i padroni cinesi e quelli americani sono soci in affari. I capitalisti cinesi e lo stato cinese saranno pure i soci di minoranza, ma sono comunque soci e sodali con quelli yankee in questo sporco affare globale… il solo che piace al capitale internazionale, e consiste nel conciare la pelle dei proletari – siano cinesi (come in questo caso), o statunitensi, o di ogni altro Paese – per estrarre dalla loro fatica fino all’ultima goccia di profitto!

E, allora, consentiteci di battere una volta ancora sullo stesso chiodo: per la classe proletaria il solo modo per opporsi a questa tendenza all’estrema spremitura della forza-lavoro operaia e a forme di comando aziendale sempre più totalitarie, e rovesciarla, è la lotta politico-sindacale internazionale, che veda insieme i lavoratori cinesi, statunitensi e di tutto il mondo, uniti ed organizzati contro i loro sfruttatori!