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[CONTRIBUTO] Melilla (Marocco), San Antonio (Texas), Mediterraneo: le stragi senza fine degli emigranti. Occidente assassino!

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Melilla (Marocco), San Antonio (Texas), Mediterraneo: le stragi senza fine degli emigranti. Occidente assassino!

Nella foto: i corpi morti degli immigrati uccisi dalla polizia a Melilla (Marocco)

Alle prime ore del giorno di venerdì 24 forse duemila emigranti, molti dei quali sudanesi, hanno organizzato un assalto di massa alle recinzioni che a Melilla separano l’enclave coloniale spagnola dal territorio marocchino. A distanza di giorni non si riesce a conoscere esattamente neppure il numero delle vittime, mentre i governi fratelli di Madrid e di Rabat cercano di accreditare perfino la spudorata tesi di morti “da calca”. Le associazioni degli emigranti parlano, invece, di sanguinosa repressione da parte della polizia del Marocco, con l’attiva complicità delle omologhe forze spagnole. I morti sono almeno 23, quasi certamente 36 (o di più ancora?), e centinaia i feriti.

Primo video (El Pais).

Secondo video (idem).

Il premier spagnolo Sánchez ha chiamato in causa le “mafie internazionali” specializzate nel traffico di esseri umani, congratulato dai suoi amici marocchini con i quali a sua volta si è congratulato. Ma il portavoce dei manifestanti, Husein, lo ha azzittito: “noi sudanesi non abbiamo mafie. Ci uniamo. Non paghiamo niente, siamo arrivati qui gratis; abbiamo solo usato la testa e abbiamo escogitato un buon piano [per lasciare il Marocco] perché abbiamo sofferto molto. Il mafioso è Mohamed VI, che ha preso tutti i soldi [che Bruxelles dà a Rabat per il controllo e la cura dei migranti irregolari] ed è scomparso. Dato che abbiamo subito diversi raid alla recinzione, sappiamo molto bene cosa stanno facendo le autorità marocchine in termini di abusi e violazioni dei diritti umani”.

Lo ha fatto lunedì 27 nel corso di un’azione di protesta davanti al Centro per il soggiorno temporaneo degli immigrati (CETI) di Melilla, mentre altre decine di emigranti comparivano davanti ad un tribunale per discolparsi dal terribile reato di avere cercato con l’emigrazione un futuro decente per la propria vita – quel futuro che gli nega nelle proprie terre di nascita la dominazione neo-coloniale europea, occidentale (e non solo: Cina, Russia, Arabia saudita e Turchia hanno una crescente presenza in tutto il continente africano). Il bersaglio primo della protesta è il governo marocchino, ma la Spagna “è complice del massacro” – diciamo pure: la mandante del massacro. Insieme con l’Unione europea, messa sotto accusa per la sua smaccata politica dei due pesi e delle due misure: “gli ucraini ricevono rose, a noi negri ci spedite all’inferno”.

27/06/2022 Protesta subsaharianos en el CETI Melilla (Fotos por Antonio Ruiz)

Non da oggi Ceuta e Melilla sono uno degli avamposti della guerra europea agli emigranti africani, come riconobbe già nel 2007 Migreurop nel suo rapporto Guerre aux migrants. Le livre noir de Ceuta et Melilla (tradotto parzialmente in italiano nel libro a cura di Pietro Basso, Razzismo di stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Angeli, 2015, 4^ ristampa). Ma gli episodi di violenza contro gli emigranti africani sono in ulteriore aumento in tutto il Marocco da quando i governi di Madrid e Rabat hanno riallacciato le relazioni diplomatiche (agosto 2021). Da allora i gendarmi marocchini hanno intensificato gli smantellamenti degli accampamenti di emigranti nelle montagne vicino a Nador (e Melilla), costringendoli a spostarsi verso le città più a Sud dove nascono nuovi accampamenti di fortuna. L’attacco ai campi è fatto con l’uso dei gas e brutali bastonature anche contro i feriti. Uno dei giovani sudanesi che ne è stato vittima la sera prima dell’assalto organizzato alle recinzioni di Melilla, ha dichiarato: “Quando ci hanno attaccato nel campo [la notte prima di raggiungere la recinzione] hanno usato troppa violenza. Usavano armi vere, gas… dal solo gas, molti stavano già cadendo; se ti beccavano a terra, non pensavano che fossi morto o no, ti colpivano e basta. Ci hanno trattato come se fossimo terroristi, ma i veri terroristi sono loro, perché noi avevamo solo pietre”.

Bastonature anche contro i feriti, molti arresti, e processi per avere appiccato il fuoco alla foresta, per avere resistito con sassi e bastoni agli agenti, per averne sequestrato uno, etc. Insomma, la macchina della repressione di stato capitalistica in funzione permanente di deterrenza per conto dell’Unione europea. A cui non basta la mega-Agenzia delle frontiere (Frontex) messa in campo, formalmente per contrastare il traffico di droga e di armi, ma in realtà per rendere il tragitto verso l’UE più rischioso, costoso e arduo: un cammino di addomesticamento. Lungo il quale prosperano le organizzazioni malavitose al servizio delle politiche selettive, repressive, razziste, dei singoli stati europei e dell’Unione europea.

San Antonio (Texas)

Spostiamoci ai confini sud degli Stati Uniti, un territorio di tragedie, se possibile, maggiori.

“Il solstizio d’estate dovrebbe essere un momento di festa. Ma per molti migranti disperati che tentano di entrare negli Stati Uniti, è l’ora della morte. Le alte temperature estive nel deserto delle terre di confine tra Stati Uniti e Messico, che diventano sempre più calde a causa del cambiamento climatico indotto dall’uomo, causano la morte di molti migranti privi di documenti incanalati in remoti incroci che intarsiano la vasta e aspra regione. Per coloro che attraversano con successo, la rete di autostrade che portano all’interno degli Stati Uniti può rivelarsi fatale.” Scriveva così domenica 26 giugno, su Counterpunch, Kent Paterson.

Il giorno dopo, lunedì 27, nella città texana di San Antonio, a 250 km dal confine con il Messico, le sue parole trovavano conferma in una macabra scoperta: almeno 50 emigranti messicani, honduregni e guatemaltechi morti per asfissia e un pugno di sopravvissuti giovani in gravi condizioni, in uno dei tanti, tantissimi camion di trafficanti sui quali le infami politiche anti-immigrati di democratici e repubblicani li costringono a tentare la sorte.

Le stesse autorità locali la definiscono “una pratica comune”, arcinota, quindi, a tutti coloro che ora inorridiscono a comando davanti alla “orribile tragedia”. La macabra scoperta l’ha fatta per caso un operaio accorso dopo aver sentito grida di aiuto provenire dall’interno di un trailer abbandonato a bordo strada dal guidatore, un trattore-rimorchio dalla targa americana con impianto di refrigerazione non funzionante, e senza acqua. Subito è partita l’abituale, inutile indagine di polizia e magistratura. Inutile perché il “traffico di esseri umani” ai confini su degli Stati Uniti è fiorente e sistematico, tant’è che negli ultimi 7 mesi ci sono stati circa 14.000 “salvataggi” di emigranti abbandonati e in gravi difficoltà (erano stati 12.833 in tutto il 2021), quasi sempre destinati ai centri di detenzione per tentata immigrazione “clandestina”. Inutile perché, al massimo, quando la cosiddetta “giustizia” ha un minimo di efficienza, ad essere condannato è solo l’autista, e mai l’organizzazione di cui è parte; anzi, la condanna delle ultime ruote del carro serve a tenere al sicuro l’intera macchina di morte ufficialmente stigmatizzata.

Il confine, ha scritto la giornalista messicana Jean Guerrero, “è diventato una fossa comune e una testimonianza della disumanità e della irrazionalità decennale delle politiche di confine e immigrazione degli Usa.” Autori di queste politiche disumane gli stessi circoli di potere che pretendono di essere in Ucraina e ovunque gli intrepidi difensori dei diritti umani e dell’umanità contro le autocrazie.

Politiche disumane ma non altrettanto irrazionali – c’è una razionalità, la razionalità dell’oppressione e dello sfruttamento, in questi crimini. Gli emigranti sono costretti a pagare fino a 10.000$ alle reti di contrabbando strettamente legate ai trafficanti di droga. E lungo questi percorsi sono abituali gli stupri, i rapimenti (e le scomparse definitive di persone i cui corpi vengono usati per il traffico di organi o avviate alla prostituzione), le estorsioni. Le “dure politiche di frontiera” (muri con tanti buchi obbligati da cui passare pagando ogni genere di dazio) sono politiche di morte, che colpiscono non solo i cosiddetti “migranti economici”, ma ormai sistematicamente anche i richiedenti asilo. Nell’ultimo biennio sono stati espulsi oltre 2 milioni di emigranti su questo confine… Davanti ad una tragedia come quella di San Antonio era inevitabile che democratici e repubblicani si rimpallassero le responsabilità. “La colpa è tutta di Biden” che vuole allentare le leggi restrittive e così incoraggia l’immigrazione clandestina, ha tuonato il governatore del Texas Abbott. Mentre qualche democratico se l’è presa con le restrizioni decise da Trump ai tempi del Covid, dimenticando che tutta l’infame legislazione è opera integralmente by-partisan. Avanti così, e finiranno per convincere l’intero mondo degli sfruttati dell’America Latina che la superpotenza dei gringos, con il suo stato, la sua polizia, le sue leggi, le sue multinazionali, è la loro nemica mortale.

Mediterraneo

Passa un solo giorno, e tra la costa libica di Zawiya e l’area di mare a sud ovest della Sicilia si registra l’ennesimo naufragio di un gommone con a bordo (forse) 71 emigranti. I “dispersi”, i morti certi, sono tra 20 e 30, di cui 7 minori d’età. Tutto normale, anche l’arrivo dei primi soccorsi quasi un giorno dopo la prima richiesta d’aiuto (non c’è fretta, non si tratta dello yatch di qualche oligarca italiano). Tutto normale, se dall’inizio dell’anno i morti ufficiali in questo specchio di Mediterraneo sono stati almeno 700, più di 3 al giorno.

In questo caso grandi meriti vanno riconosciuti allo stato italiano con la sua legislazione e la sua pratica razzista d’avanguardia in Europa che hanno scandito l’ultimo ventennio, dalla Turco-Napolitano ai decreti Salvini passando per quelli dell’indimenticabile Minniti. Ne abbiamo trattato più volte su questo blog e nel n. 3 del Cuneo rosso – per cui ci permettiamo di riprendere qui solo qualche passaggio sul razzismo di stato, sulle battaglie immediate da portare avanti qui e sul necessario rilancio della denuncia e della lotta al neo-colonialismo, quello italiano in primis.

«Il razzismo di stato è un’arma dei padroni, e pone perciò una questione di classe. L’attacco alle proletarie e ai proletari immigrati è parte di un attacco generale a tutta la classe lavoratrice. Lo sporco gioco dei grandi poteri capitalistici è, infatti, palese: sfruttare la fame di lavoro degli emigranti/immigrati e dei disoccupati/sottoccupati per svalorizzare e torchiare al massimo tutta la forza-lavoro, spogliandola dei “diritti acquisiti”; e sfruttare le paure, i pregiudizi, i sentimenti nazionalistici dei lavoratori autoctoni per scagliargli contro gli immigrati, e così dividere il potenziale fronte unico di classe. La bomba sociale che hanno creato, vogliono farla esplodere nel nostro campo. Dobbiamo a tutti i costi rilanciargliela contro! […]

«Le battaglie immediate da portare avanti qui ed ora in Italia sono quelle per l’abrogazione dei decreti Salvini e Minniti che hanno violato i diritti più elementari degli immigrati e dei richiedenti asilo – una battaglia che ha già avuto inizio nei mesi scorsi -, e per la regolarizzazione immediata e incondizionata (non sottoposta al vincolo ricattatorio del contratto di lavoro, o della residenza) di tutti gli immigrati e le immigrate con un permesso di soggiorno europeo a tempo indeterminato. La prospettiva da radicare nella classe lavoratrice è quella della completa parità effettiva di trattamento sul lavoro e di diritti tra autoctoni e immigrati. Il che comporta la lotta per l’introduzione, senza condizioni e limitazioni, dello jus soli, per chiudere tutti i centri di detenzione amministrativaabrogare la legislazione speciale sull’immigrazione (contro gli immigrati), e la denuncia della politica di chiusura e di esternalizzazione delle frontiere dell’UE (a cominciare dall’accordo di Schengen). Queste battaglie e campagne di propaganda/agitazione sono per noi parte integrante dello sforzo per costituire uno schieramento unitario di lotta, un fronte di classe anti-capitalista che resista in modo sempre più organizzato, a scala nazionale e internazionale, all’attacco capitalistico su tutti i piani (salario, orario, libertà sindacali, etc.), e prepari l’offensiva.

«Per non essere parziale e inefficace, questo sforzo deve incorporare la denuncia e la lotta al neocolonialismo, anzitutto a quello che ha per protagonisti le imprese italiane e lo stato italiano, la cui logica di saccheggio e di devastazione dei paesi del Sud del mondo, Africa e Medio Oriente per primi, è responsabile delle emigrazioni coatte Sud-Nord che la destra demonizza. La prospettiva internazionalista in cui noi ci riconosciamo è quella dell’appoggio incondizionato alla lotta anti-imperialista, a tutte le mobilitazioni proletarie, sociali, contadine che mettono e metteranno in discussione, nel Sud e nell’Est del mondo, il dominio imperialista dei paesi ricchi e la soggezione ad essa delle borghesie “nazionali”, sempre più coinvolte, con più o meno autonomia, nelle memorabili imprese del capitalismo globale. Finora è riuscito al club dei paesi imperialisti, ai regimi borghesi locali, disposti a compiere ogni crimine contro i propri popoli, e ai gendarmi d’area (Arabia saudita, Israele) di soffocare sul nascere, o deviare in vicoli ciechi, queste mobilitazioni (nel 2011-2012 in Egitto, Tunisia, Yemen, Siria, etc.), ma si ripresenteranno (come sta già avvenendo in Palestina, in Algeria e in Marocco).»

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Mentre l’Occidente consuma il conflitto “interno” alla cosiddetta Europa bianca, organizzando un ulteriore mattanza di proletari e sfruttati e attacca i diritti fondamentali come il diritto di scelta d’abortire, continua la guerra silenziosa alle esistenze.

Esistenze che vivono ai margini e fuggono da miseria e lutti, creati dal sistema capitalista e che si accalcano alle porte di un miraggio fasullo di benessere, trovandole chiuse e trovandosi di fronte a muri invalicabili difesi da servi perenni.

Uno di questi è #Melilla, enclave spagnola in territorio marocchino, sogno, miraggio e tomba per molti.

Due giorni fa L’ennesima mattanza, ad opera della polizia marocchina che ha sfogato come sempre la sua rabbia sugli ultimi e in cui hanno trovato la morte 27 “invisibili”.

Come sfruttati, lavoratori, proletari non possiamo che non essere complici e solidali e stringerci attorno ai nostri fratelli e sorelle e alle loro famiglie, ribadendo ora e sempre,

MORTE AL CAPITALISMOCON CHI FUGGE NOI SAREMO!

CON I NOSTRI FRATELLI E SORELLE SEMPRE AVANTI!

L’UNICA GUERRA CHE VOGLIAMO È QUELLA DI CLASSE!

No borders No nation

Refugees are welcome!

26 giugno

S.I. Cobas