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[CONTRIBUTO] Sulla guerra in Ucraina, dal punto di vista dell’internazionalismo (ita – eng – fran)

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Sulla guerra in Ucraina,

dal punto di vista dell’internazionalismo

(testo in italiano, inglese, francese)

Questo è il testo di un intervento che il compagno Pietro Basso (della redazione di questo blog e della rivista Il Cuneo rosso) ha tenuto a Lucca venerdì 24 giugno ad un’iniziativa sulla guerra in Ucraina, volta a denunciare il bellicismo pro-NATO che ogni giorno di più impazza in Italia, con i suoi risvolti maccartisti tra l’orrido e il grottesco. Essendo un intervento di 15-20 minuti, non poteva essere, né pretende di essere in alcun modo, esauriente – tanto per dirne solo una, non tratta delle questioni dell’autodeterminazione degli ucraini e degli abitanti del Donbass. Ma intende, questo sì, guardare alla guerra in corso dal punto di vista dell’internazionalismo militante. Ed è, perciò, del tutto fuori dai cori. Contro, anzitutto, l’assordante coro militarista e bellicista del capitale nazionale e dell’imperialismo occidentale; ma senza concessioni ai piccoli, molteplici cori campisti e simil-campisti, anch’essi soggiogati dalle logiche e dagli interessi statuali (capitalistici, cioè), e lontani, se non lontanissimi, dalla logica e dagli interessi di classe. 

Lucca, 24 giugno

Il Pungolo Rosso

Ho da fare tre premesse. La prima, ovvia; la seconda, un po’ meno; la terza, insolita.

La prima. Quella che si sta combattendo in Ucraina non è una guerra tra Russia e Ucraina. È una guerra tra NATO/Occidente e Russia (con dietro la Cina), ed è il seguito dell’infausto 2014 di Euromaidan, lo sbocco della contesa globale cominciata nel 1991 per arraffare le smisurate ricchezze naturali e di forza-lavoro dell’Ucraina. Una contesa in cui la “nostra” squallida Italia è stata ed è in prima fila, appropriandosi della vita di 200.000 donne di ogni età e di terre fertili, impiantandovi più di 300 aziende, seminando corruzione e germi di guerra.

Seconda premessa. La guerra in corso in Ucraina non sta a sé. Fa parte di una catena di eventi traumatici di ogni tipo che, insieme, compongono il gigantesco caos in cui il capitalismo globale ci sta precipitando dall’inizio del XXI secolo. Dentro tale caos, la posta in gioco in questa guerra non è la sola Ucraina o il Donbass. È un nuovo ordine mondiale in cui gli Stati Uniti, l’Occidente, il dollaro non abbiano più il posto di comando – Putin e Xi Jin Ping lo stanno dichiarando in maniera sempre più esplicita. Anche i circoli di potere statunitensi ed europei sanno perfettamente che di questo si tratta, non della libertà e autodeterminazione dell’Ucraina, di cui non gliene può fregare di meno. Per cui la posizione da prendere sull’attuale guerra è inseparabile dalla posizione sullo scontro intorno al nuovo ordine mondiale.

La terza premessa. Quando si parla della guerra in Ucraina, nel 99,9% dei casi i soggetti del discorso sono: Ucraina, Russia, Stati Uniti, Unione europea, Italia, Polonia, Turchia, Cina, etc. Insomma: stati, capitalismi nazionali, e i relativi interessi. Oppure, semplificando: Zelensky, Putin, Biden, etc., in quanto gestori di tali interessi. Senonché in tali discorsi manca qualcosa di assolutamente essenziale: mancano i lavoratori, le lavoratrici di Ucraina, Russia, Stati Uniti, Unione europea, Italia, etc. – i proletari, i salariati, quelli/quelle che vivono del proprio lavoro, e non dello sfruttamento del lavoro altrui. Mancano, perché si dà per scontato, o si vuole, che siano al rimorchio dei rispettivi governi, dei rispettivi stati nazionali, imperialisti o meno che siano. Comparse, pedine che i potenti possono muovere a loro piacere, carne da macello. Io, invece, come tutti i marxisti e gli internazionalisti, li ritengo soggetti di storia. E pongo la domanda mancante: che interesse hanno i lavoratori e le lavoratrici alla prosecuzione e all’estensione di questa guerra, quale che sia un eventuale, provvisorio armistizio? Che interesse hanno a schierarsi dietro i rispettivi governi e stati e capitalisti nella contesa all’ultimo sangue per la difesa del vecchio o per la costruzione di un nuovo ordine mondiale?

Comincio dai lavoratori e dalle lavoratrici ucraini. E rispondo senza esitazione: nessuno. Questa guerra li ha fatti precipitare nei gironi più fondi dell’inferno. L’Urss e il Comecon non erano certo il paradiso socialista di cui ancora qualche compagno troppo nostalgico favoleggia. Tuttavia, poiché l’Ucraina era tra le aree più industrializzate dell’Urss, al 1991 i suoi lavoratori godevano ancora di modeste, però reali, garanzie di stabilità del lavoro e di welfare. Con l’avvento dell’indipendenza, l’Ucraina si è trovata d’improvviso a competere sul mercato globale con economie a tassi di produttività del lavoro molto più alti, senza barriere protettive. La sua struttura economica e la sua vita sociale ne sono state stritolate. Perché il mercato mondiale è un meccanismo dittatoriale su cui dettano legge le aggregazioni di capitale più forti. Quindi le multinazionali e le banche occidentali, il FMI, le borse, i fondi di investimento (non solo occidentali – negli ultimi anni il primo investitore straniero in Ucraina è stata la Cina), che hanno banchettato alla grande sull’impoverimento dei lavoratori ucraini. Al disastro hanno contribuito le scellerate politiche adottate dai governanti ucraini, sia quelli più o meno filo-russi (Kucma, Yanukovic) sia i filo-occidentali (Juscenko, Timoshenko, Poroshenko). La loro unica ambizione è stata accaparrarsi quote della ricchezza nazionale residua privatizzata, o garantire gli amici oligarchi che, in 80, sono arrivati a controllare il 100% del capitale nazionale. Risultato: tra il 1991 e il 2017 l’andamento dell’economia ucraina è stato il quinto peggiore al mondo su 200 paesi! E la guerra in corso ha dato modo a Zelensky, loro degno erede, e al suo partito, di mettere al bando ogni forma di opposizione politica e di presentare al parlamento, che sta per approvarla, una legge sul lavoro che abolisce i contratti collettivi di lavoro per il 70% dei lavoratori

In venticinque anni sono emigrati dall’Ucraina più di 7 milioni di persone (oltre il 15% della popolazione) verso la Russia, l’Europa occidentale, gli Stati Uniti, il Kazakistan, etc. Ho studiato l’emigrazione ucraina in Italia, fatta all’80% da donne. Raramente ho toccato con mano tanto dolore come nell’esperienza delle “badanti” ucraine a servizio in Italia, costrette alla coabitazione 24 ore su 24, un’esperienza da istituzione totale. Donne colpite spesso, come le donne rumene, moldave, bulgare, dalla cd. sindrome Italia: una grave forma di depressione, che diventa devastante quando – tornate per un po’ o per sempre a casa – si vedono respinte dai propri figli o figlie come se fossero delle estranee. Da un lato, orfani bianchi in patria, ragazzi/e cresciuti senza la madre accanto, esposti anche loro a forme di depressione generatrici anche di centinaia di suicidi; dall’altro, le loro madri logorate qui perché hanno dovuto sostituire la mancanza di cura e di amore per gli anziani e i non autosufficienti che da noi dilaga: ecco un aspetto luminoso della missione civilizzatrice dell’Italia in Ucraina e altri paesi dell’Est europeo. C’è tanto clamore oggi sull’ingresso dell’Ucraina nell’UE (tra 10-20 anni) – ma l’UE, l’Italia sono già penetrate da trent’anni in Ucraina, senza dover chiedere permesso, sventrando l’esistenza di centinaia di migliaia di famiglie delle classi lavoratrici. Ed è nauseante che i “nostri” governanti e i “nostri” massmedia si atteggino ad amici e difensori del popolo ucraino.

L’invasione russa, i bombardamenti e tutto il resto, hanno completato la devastazione, provocando la fuga di altri milioni di persone, la morte e il ferimento di decine di migliaia, almeno, di ucraini comuni, di proletari. E non si tratta certo dei figli degli oligarchi o dei genitori di burattini della NATO come Zelensky, riparati in Israele in ville di extra-lusso blindate. C’è chi dice: però l’esercito russo sta denazificando il Donbass, non è un bene? Capisco il sollievo di tanti, specie nel Donbass, nell’assistere alla resa dei nazisti o nazistoidi del battaglione Azov, e di simili criminali. Tuttavia vi invito a non idealizzare la realtà delle cd. Repubbliche popolari del Donbass. Ascoltate cosa dicevano appena il 19 febbraio scorso i militanti del Fronte operaio del Donbass e dell’organizzazione comunista operaia della Repubblica popolare di Lugansk:

“La DNR e la LNR hanno perso da tempo lo spirito originario della democrazia popolare. Gli impulsi ingenui e sinceri di stabilire un vero potere del popolo sono in gran parte sepolti. Attraverso gli sforzi della borghesia locale e russa si sono instaurati i soliti regimi capitalistici reazionari, con una democrazia ridotta, un alto grado di sfruttamento dei lavoratori, una stratificazione sociale. Le autorità coprono cinicamente i loro abomini, dal mancato pagamento dei salari al divieto di qualsiasi protesta e sciopero fino all’esclusione dalla vita politica e dalle elezioni, con la legge marziale, dei lavoratori, dei minatori, dei trattoristi. Così la classe operaia del Donbass, come la classe operaia della Russia e dell’Ucraina, conduce una lotta comune contro la dittatura della borghesia”.

Parole dure, chiare, che vengono dal campo (e ci tengo a dire che non si tratta di organizzazioni con il mio stesso orientamento ideologico-politico). Nei giorni scorsi vi è stato un appello-protesta rivolto al presidente della Repubblica popolare di Donetsk in cui si denuncia che tanti abitanti del Donbass sono stati mandati in prima linea a Mariupol senza il necessario addestramento. Il 40% del battaglione da loro composto è morto… Liberati o carne da cannone? Mi sento al loro fianco, come sto con le donne ucraine che a fine aprile, a Khust, hanno dato l’assalto all’ufficio di arruolamento militare per impedire l’arruolamento forzato dei giovani. Del resto dal primo momento ci siamo schierati, come redazione del blog Il Pungolo rosso, contro le sanzioni alla Russia, contro l’invio di armi al governo Zelensky, contro l’attivazione del sistema dei droni italiano a favore dell’esercito ucraino e della NATO, contro la demente campagna russofobica che ha preso di mira gli scrittori russi, i musicisti russi, gli artisti russi, i russi in quanto tali. Contro, radicalmente contro la guerra, e anzitutto contro il “nostro” governo e la NATO che la fomentano in tutti i modi.

Anche la classe lavoratrice della Russia non ha nulla da guadagnare dalla guerra in corso, e dal seguito di guerre di cui è l’inizio. Non voglio coprirmi dietro l’autorità superiore di Lenin, attaccato di recente da Putin, in materia di sciovinismo grande-russo, che egli considerava alla stregua di un pericoloso veleno da combattere. Mi limito a chiedere: quali giovani russi, perché di giovani si tratta, muoiono oggi in Ucraina? I figli dei manager di Gazprom, della Gazprombank o della Sherbank, o della Tupolev? O sono invece giovani figli di proletari, di contadini, degli strati popolari, quasi sempre provenienti dalle zone più povere della Russia dove la professione del soldato è l’unico mestiere che dà garanzie? Come mai la piccola e povera Buriazia (meno di un milione di abitanti), la terra dell’operatore di escavatori Vitaly Chingisovich, appartenente alla 30 brigata, morto a 24 anni il 1° giugno, ha avuto 91 morti “riconosciuti”, mentre la città di Mosca, dove è larga la presenza di ceti medi e abbienti, e vive il 9% degli abitanti di tutta la Russia (12 milioni di abitanti), conta solo 3 morti riconosciuti? E chi pagherà i costi dell’inevitabile crisi economica innescata dalle sanzioni occidentali e dalla guerra? Chi, per il necessario incremento di lungo periodo delle spese militari? Chi verrà colpito dalla stretta repressiva contro quanti hanno fatto e faranno resistenza alla guerra e all’arruolamento nell’esercito e nella Guardia nazionale? Cosa succederà – oltre il licenziamento – a quanti, come i 115 appartenenti al corpo delle guardie nazionali di Nalchik nel Caucaso settentrionale, si rifiuteranno di andare in guerra fuori dai confini della Russia? Cosa ai gruppi di donne, erano forse della Pietroburgo bene?, che hanno osato manifestare contro la guerra e oggi pretendono notizie dei propri cari scomparsi?

Quanto poi ai lavoratori italiani ed europei, bastaconsiderare cos’è successo in Italia. Il governo Draghi ha immediatamente schierato l’Italia in guerra, lanciandola in prima fila nelle provocazioni contro il Cremlino. Per sostenere questa scelta Draghi & Co. hanno immediatamente proclamato un’economia di guerra, con il raddoppio delle spese militari e ulteriori tagli alle spese sociali. Lo sconvolgimento degli scambi internazionali che via via le sanzioni decretate dai paesi occidentali stanno causando porta con sé ulteriore inflazione, aumento dei tassi e recessione economica in tempo breve, con effetti brutali sui salari, il rigonfiamento del debito privato e di stato, la disoccupazione. Subito ne ha profittato Bonomi per informare che i padroni non possono concedere aumenti salariali, mentre pretendono ulteriori sostegni dallo stato e ulteriore flessibilità dai lavoratori. E siamo soltanto al primo atto della temuta sequenza di conflitti NATO contro Russia/Cina e loro alleati (attenti alle manovre già avanzate di nuove guerre nei Balcani…). Non è per caso che il governo tedesco abbia stanziato 100 miliardi di euro da un giorno all’altro. Il riarmo europeo è partito alla grande, guai a sottovalutarlo!!

Quanto infine alle conseguenze che la guerra in Ucraina ha e avrà sui lavoratori del resto del mondo, certo, è volgarmente strumentale attribuire al blocco del porto di Odessa la crisi alimentare mondiale, che ha cause molteplici, diverse, di lungo periodo, tutte derivanti dal funzionamento del capitalismo globale e dalla sua aggressione alla natura. Ma sta di fatto che gli eventi bellici in Ucraina aggravano questa crisi che già flagella i paesi dell’Africa nera e araba, come aggravano la catastrofe ambientale. Essendo la guerra inter-capitalistica in genere il primo fattore di inquinamento della terra e dell’aria, oltre che delle menti e dei cuori. Ed essendo questa guerra il pretesto buono per tornare al carbone e varare l’ultra-inquinante ricorso al gas liquefatto importato dall’America…

Mi fermo qui. I lavoratori e le lavoratrici di tutto il mondo, a cominciare dagli ucraini e dai russi, non hanno alcun interesse a farsi arruolare né in questa guerra, né nelle altre guerre capitalistiche in arrivo. Come non hanno interesse ad arruolarsi nella competizione economica per il dominio sul mercato mondiale. Si tratti del vecchio, detestabile ordine dominato dagli Stati Uniti e dall’Occidente, o del nuovo, molto ipotetico, ordine più “pluralista” ed “equilibrato”, comunque e sempre iper-capitalistico, prospettato da Putin e Xi Jin Ping.

Siamo sulla soglia di un’era di sconvolgimenti che riporta di attualità la magnifica previsione, forse troppo anticipata, di Rosa Luxemburg: “socialismo (rivoluzione sociale anticapitalista, cioè) o barbarie”. E ci invita a riprendere un’antica insegna sempre fresca e vitale: guerra alla guerra! Il nemico principale è qui, in casa “nostra”, è il “nostro” governo! Proletari e proletarie di tutti i paesi, non facciamoci dividere dai pestiferi nazionalismi, uniamoci contro le guerre del capitale!

Lo dico sapendo bene che oggi sono molto deboli i segnali che vanno in questa direzione. Che prevale, finora, l’accorpamento o l’accodamento nazionalista dei lavoratori intorno ai governi. Ma la terribile esperienza della guerra, delle guerre e delle crisi in arrivo, il prezzo che imporranno agli sfruttati e agli oppressi, faranno aprire gli occhi a tanti. Faranno vedere anche ai ciechi quale è la sola via di liberazione dalle mostruosità che il capitalismo ci sta apparecchiando.

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Lucca, June 24th

I have three premises to make. The first, obvious; the second, a little less; the third, unusual.

The first. What is being fought in Ukraine is not a war between Russia and Ukraine. It is a war between NATO / the West and Russia (with China behind it), and is the sequel to Euromaidan’s inauspicious 2014, the outcome of the global dispute that began in 1991 to grab Ukraine’s enormous natural wealth and manpower. A contest in which “our” squalid Italy was and is in the front row, appropriating the lives of 200,000 women of all ages and fertile lands, planting more than 300 firms, sowing corruption and the seeds of war.

Second premise. The ongoing war in Ukraine does not stand alone. It is part of a chain of traumatic events of all kinds that, together, make up the gigantic chaos into which global capitalism has been plunging us since the beginning of the 21st century. Amid such chaos, the stakes in this war are not the only Ukraine or the Donbass. It is a new world order in which the United States, the West, the dollar no longer have the command post – Putin and Xi Jin Ping are declaring it ever more explicitly. Even the US and European circles of power know perfectly well that this is what it is about, not the freedom and self-determination of Ukraine, which they cannot care less about. Therefore, the position to be taken on the current war is inseparable from the position on the clash around the new world order.

The third premise. When it comes to the war in Ukraine, in 99.9% of cases the subjects of the speech are: Ukraine, Russia, United States, European Union, Italy, Poland, Turkey, China, etc. In short: states, national capitalisms, and their related interests. Or, simplifying: Zelensky, Putin, Biden, etc., as managers of these interests. But something absolutely essential is missing from these speeches: workers from Ukraine, Russia, the United States, the European Union, Italy, etc. are missing – the proletarians, the wage-earners, those who live off their own work, and not on the exploitation of the work of others. They are missing, because it is taken for granted, or they want, that they are in the tow of their respective governments, of their respective national states, imperialist or not. Extras, pawns that the powerful can move at will, meat for slaughter. But, like all Marxists and internationalists, I consider them subjects of history. And I ask the missing question: what interest do the workers have in the continuation and extension of this war, whatever is a possible, provisional armistice? what interest do they have to take sides behind their respective governments and states and capitalists in the fight to the death for the defense of the old or for the construction of a new world capitalist order?

I begin with Ukrainian workers and female workers. And I answer without hesitation: zero interest. This war has plunged them into the deepest groups of hell. The USSR and the Comecon were certainly not the socialist paradise of which still some too nostalgic comrades are fabled. However, since Ukraine was among the most industrialized areas of the USSR, as of 1991 its workers still enjoyed modest, but real, guarantees of job stability and welfare. With the advent of independence, Ukraine suddenly found itself competing on the global market with economies at much higher labor productivity rates, without protective barriers. Its economic structure and its social life have been crushed. Because the world market is a dictatorial mechanism on which the strongest capital aggregations dictate the law.

Hence the multinationals and Western banks, the IMF, stock exchanges, investment funds (not only Western – in recent years the first foreign investor in Ukraine has been China), have feasted on the impoverishment of Ukrainian workers. The nefarious policies adopted by Ukrainian rulers, both more or less pro-Russian (Kucma, Yanukovic) and pro-Western (Juscenko, Timoshenko, Poroshenko) contributed to the disaster. Their only ambition was to grab shares of the residual privatized national wealth, or to guarantee the oligarch friends who, in 80, have come to control 100% of the national capital. Result: between 1991 and 2017, the Ukrainian economy was the fifth worst in the world out of 200 countries! And the ongoing war has allowed Zelensky, their worthy heir, and his party to ban all forms of political opposition and to present to the parliament, which is about to approve it, a labor law that abolishes national collective bargaining agreements for 70% of workers.

In twenty-five years, more than 7 million people (over 15% of the population) emigrated from Ukraine to Russia, Western Europe, the United States, Kazakhstan, etc. I studied Ukrainian emigration to Italy, made up of 80% by women. I have rarely experienced so much pain firsthand as in the experience of the Ukrainian carers serving in Italy, forced to live where they work 24 hours a day, an experience of a total institution. Women often affected, such as Romanian, Moldovan, Bulgarian women, by the cd. Italy syndrome: a severe form of depression, which becomes devastating when – gone home for a while or forever – they see themselves rejected by their sons or daughters as if they were strangers. On the one hand, white orphans in their homeland, children who grew up without their mother beside them, also exposed to forms of depression that can also lead to hundreds of suicides; on the other hand, their mothers worn out here because they had to replace the lack of care and love for the elderly and the non self-sufficient that we have spread: this is a bright aspect of Italy’s civilizing mission in Ukraine and other Eastern European countries . There is a lot of hype today about Ukraine’s entry into the EU (in 10-20 years) – but the EU and Italy have already penetrated Ukraine since thirty years, without having to ask for permission, gutting the existence of hundreds of thousands of families of the working classes. And it is sickening that “our” rulers and “our” mass media pose as friends and defenders of the Ukrainian people.
The Russian invasion, the bombings and all the rest completed the devastation, causing the flight of millions more, the death and injury of tens of thousands, at least, ordinary Ukrainians, proletarians. As these are certainly not the children of the oligarchs or the parents of NATO puppets like Zelensky, sheltered in Israel in armored extra-luxury villas. Some say: but the Russian army is denazifying the Donbass, isn’t that good? I understand the relief of many, especially in the Donbass, in witnessing the surrender of the Nazis or Nazis of the Azov battalion, and similar criminals. However, I invite you not to idealize the reality of the so called Donbass People’s Republics. Listen to what the militants of the Donbass Workers’ Front and the Workers’ communist Organization of the Lugansk People’s Republic just said on February 19:

“The DNR and the LNR have long since lost the original spirit of popular democracy. The naive and sincere impulses to establish real people’s power are largely buried. Through the efforts of the local and Russian bourgeoisie the usual capitalist regimes have been established: reactionaries, with a reduced democracy, a high degree of exploitation of workers, a social stratification. The authorities cynically cover up their abominations, from the non-payment of wages to the prohibition of any protest and strike to the exclusion from political life and from elections, with martial law, of workers, miners, tractor drivers. Thus the working class of Donbass, like the working class of Russia and Ukraine, wages a common struggle against the dictatorship of the bourgeoisie”.

Harsh, clear words that come from the field (and I would like to say that these are not organizations with my same ideological-political orientation). In recent days there has been an appeal-protest addressed to the president of the Donetsk People’s Republic in which it is denounced that many inhabitants of Donbass have been sent to the front line in Mariupol without the necessary training. 40% of their battalion is dead… Liberated or cannon fodder? I feel by their side, as I am with the Ukrainian women who stormed the military enlistment office in Khust at the end of April to prevent the forced conscription of young people. After all, from the first moment we took sides, as the editorial staff of the blog Il Pungolo rosso (The Red Sting), against the sanctions against Russia, against the sending of weapons to the Zelensky government, against the activation of the Italian drone system in favor of the Ukrainian army and the NATO, against the demented Russophobic campaign that has targeted Russian writers, Russian musicians, Russian artists, Russians as such. Against, radically against OTAN-Russia war, and above all against “our” government and NATO, which foment it in every way.

Even the working class of Russia has nothing to gain from the ongoing war, and from the ensuing wars it begins. I do not want to cover myself up behind the superior authority of Lenin, recently attacked by Putin, in matters of great-Russian chauvinism, which he regarded as a dangerous poison to fight. I limit myself to asking: which young Russians, because are they young people, are dying in Ukraine today? The children of the managers of Gazprom, Gazprombank or Sherbank, or Tupolev? Or are they instead young children of proletarian, peasant, popular strata families, almost always coming from the poorest areas of Russia where the profession of the soldier is the only job that gives guarantees? How come that the small and poor Buryatia (less than a million inhabitants), the land of the excavator operator Vitaly Chingisovich, belonging to the 30 brigade, who died at 24 on 1 June, had 91 “recognized” deaths, while the city of Moscow, where the presence of middle and wealthy classes is large, and where 9% of the inhabitants of all of Russia (12 million inhabitants) live, has only 3 recognized deaths? And who will pay the costs of the inevitable economic crisis triggered by Western sanctions and the war? Who will pay for the necessary long-term increase in military spending? Who will be affected by the repressive squeeze against those who have made and will resist war and enlistment in the army and in the National Guard? What will happen – beyond the dismissal – to those who, like the 115 members of the Nalchik National Guard Corps in the North Caucasus, refuse to go to war outside Russia’s borders? What to the groups of women (were they perhaps from Petersburg’ high society?), who dared to demonstrate against the war and today demand news of their loved ones who have disappeared?

As for the Italian and European workers, just consider what happened in Italy. The Draghi government immediately deployed Italy in the war, launching it at the forefront of provocations against the Kremlin. To support this choice Draghi & Co. immediately proclaimed a war economy, with the doubling of military spending and further cuts in social spending. The upheaval in international trade that the sanctions decreed by Western countries are causing brings with it further inflation, rate hikes and economic recession in a short time, with brutal effects on wages, the swelling of private and state debt, unemployment. The Confindustria’s president Bonomi immediately took advantage of it to inform that the bosses cannot grant wage increases, while they demand further support from the state and further flexibility from the workers. And we are only at the first act of the dreaded sequence of NATO conflicts against Russia / China and their allies (beware of the maneuvers already advanced for new wars in the Balkans …). It is no coincidence that the German government has allocated 100 billion euros overnight. The European rearmament is off to a great start, woe to underestimate it!!

Finally, as regards the consequences that the war in Ukraine has and will have on workers in the rest of the world, it is certainly vulgarly instrumental to attribute the world food crisis to the blockade of the port of Odessa, which has multiple, different, long-term causes, all deriving from the functioning of global capitalism and its aggression against nature. But the fact is that the war events in Ukraine aggravate this crisis which is already afflicting the countries of black and Arab Africa, as they aggravate the environmental catastrophe. Inter-capitalist war being in general the primary factor of pollution of the earth and air, as well as of minds and hearts. And this war being the good pretext to return to coal and launch the ultra-polluting use of liquefied gas imported from America …

I stop here. Male and female workers all over the world, starting with the Ukrainians and Russians, have no interest in being drafted into either this war or the other upcoming capitalist wars. How they have no interest in enlisting in the economic competition for world market domination. Whether it is the old, detestable order dominated by the United States and the West, or the new, very hypothetical, more “pluralist” and “balanced” order, however and always hyper-capitalist, envisaged by Putin and Xi Jin Ping.
We are on the threshold of an era of upheaval that brings the magnificent prediction, perhaps too anticipated, of Rosa Luxemburg to the fore: “socialism (anti-capitalist social revolution, that is) or barbarism”. And it invites us to take up an ancient sign that is always fresh and vital: war on war! The main enemy is here, in “our” house, it is “our” government! Proletarians and proletarians of all countries, let us not be divided by pestiferous nationalisms, let us unite against the wars of capital!

I say this knowing full well that the signs that go in this direction are very weak today. What prevails, up to now, is the nationalist unification or queuing of workers around governments. But the terrible experience of the war, the wars and the crises that are coming, the price they will impose on the exploited and the oppressed, will open the eyes of many. They will show even the blind which is the only way of liberation from the monstrosities that capitalism is preparing for us.

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Lucca, 24 juin

J’ai trois prémisses à faire. Le premier, banal; le second, un peu moins; le troisième, inhabituel.

La première. Ce qui se déroule en Ukraine n’est pas une guerre entre la Russie et l’Ukraine. C’est une guerre entre l’OTAN / l’Occident et la Russie (avec la Chine derrière elle), et c’est la suite de l’année 2014 funeste d’Euromaidan, le résultat du conflit mondial qui a commencé en 1991 pour s’emparer des énormes richesses naturelles et de la main-d’œuvre de l’Ukraine. Un conflit dans lequel “notre” sordide Italie était et est au premier rang, s’appropriant la vie de 200 000 femmes de tous âges et de terres fertiles, plantant en Ukraine plus de 300 entreprises, semant la corruption et les germes de la guerre.
Deuxième prémisse. La guerre en cours en Ukraine n’est pas isolée. Elle fait partie d’une chaîne d’événements traumatisants de toutes sortes qui, ensemble, composent le gigantesque chaos dans lequel nous plonge le capitalisme mondial depuis le début du XXIe siècle. Au milieu d’un tel chaos, les enjeux de cette guerre ne sont pas la seule Ukraine ou le Donbass. C’est un nouvel ordre mondial dans lequel les Etats-Unis, l’Occident, le dollar n’ont plus le commandement – Poutine et Xi Jin Ping le déclarent de plus en plus explicitement. Même les cercles de pouvoir américains et européens savent parfaitement que c’est de cela qu’il s’agit, pas de la liberté et de l’autodétermination de l’Ukraine, dont ils se moquent bien. Dès lors, la position à prendre sur la guerre actuelle est indissociable de la position sur l’affrontement autour du nouvel ordre mondial.

La troisième prémisse. En ce qui concerne la guerre en Ukraine, dans 99,9% des cas, les sujets du discours sont : Ukraine, Russie, États-Unis, Union européenne, Italie, Pologne, Turquie, Chine, etc. En bref : les États, les capitalismes nationaux et leurs intérêts connexes. Ou, en simplifiant : Zelensky, Poutine, Biden, etc., en tant que gestionnaires de ces intérêts. Mais il manque quelque chose d’absolument essentiel à ces discours : les travailleurs d’Ukraine, de Russie, des États-Unis, de l’Union européenne, d’Italie, etc. – les prolétaires, les salariés, ceux qui vivent de leur propre travail, et non de l’exploitation du travail des autres. Ils manquent, parce qu’on tient pour acquis, ou on veut, qu’ils sont à la remorque de leurs gouvernements respectifs, de leurs États nationaux respectifs, impérialistes ou non. Des figurants, des pions que les puissants peuvent déplacer à volonté, de la viande à abattre. Au contraire, comme tous les marxistes et les vrais internationalistes, je les considère comme des sujets d’histoire. Et je pose la question manquante : quel intérêt les ouvriers ont-ils à la poursuite et à l’extension de cette guerre, quel que soit un éventuel armistice provisoire ? quel intérêt ont-ils à prendre parti derrière leurs gouvernements et États et capitalistes respectifs dans la lutte à mort pour la défense de l’ancien ou pour la construction d’un nouvel ordre mondial capitaliste?

Je commence par les travailleurs ukrainiens et les travailleuses. Et je réponds sans hésiter : zéro intérêt. Cette guerre les a plongés au plus profond de l’enfer. L’URSS et le Comecon n’ont certainement pas été le paradis socialiste dont on fable encore quelques camarades trop nostalgiques. Cependant, l’Ukraine étant l’une des régions les plus industrialisées de l’URSS, ses travailleurs bénéficiaient encore en 1991 de garanties modestes mais réelles de stabilité de l’emploi et de welfare. Avec l’indépendance, l’Ukraine s’est soudainement retrouvée en concurrence sur le marché mondial avec des économies à des taux de productivité du travail beaucoup plus élevés, sans barrières protectrices. Sa structure économique et sa vie sociale ont été écrasées. Car le marché mondial est un mécanisme dictatorial sur lequel les agrégations de capitaux les plus fortes dictent la loi. D’où les multinationales et les banques occidentales, le FMI, les bourses, les fonds d’investissement (pas seulement occidentaux – ces dernières années, le premier investisseur étranger en Ukraine a été la Chine), qui se sont régalés de l’appauvrissement des travailleurs ukrainiens.

Les tristement célèbres politiques adoptées par les dirigeants ukrainiens, à la fois plus ou moins pro-russes (Kucma, Yanukovic) et pro-occidentaux (Juscenko, Timoshenko, Porochenko), ont contribué au désastre. Leur seule ambition était de s’accaparer des parts de la richesse nationale privatisée résiduelle, ou de garantir les amis oligarques qui, en 80, sont parvenus à contrôler 100% du capital national. Résultat : entre 1991 et 2017, l’économie ukrainienne était la cinquième pire au monde sur 200 pays ! Et la guerre en cours a permis à Zelensky, leur digne héritier, et à son parti, d’interdire toute forme d’opposition politique et de présenter au parlement, qui s’apprête à l’approuver, une loi du travail qui abolit les conventions collectives de travail pour 70 % des ouvriers.

En vingt-cinq ans, plus de 7 millions de personnes (plus de 15 % de la population) ont émigré d’Ukraine vers la Russie, l’Europe occidentale, les États-Unis, le Kazakhstan, etc. J’ai étudié l’émigration ukrainienne vers l’Italie, composée à 80% de femmes. J’ai rarement touché autant de douleur de première main que dans l’expérience des “soignants” ukrainiens en service en Italie, obligés de vivre 24 heures sur 24 dans les maisons où ils travaillent, une expérience d’institution totale. Les femmes souvent touchées, comme les femmes roumaines, moldaves, bulgares, par le cd. Syndrome de l’Italie : une forme sévère de dépression, qui devient dévastatrice lorsque – vous rentrez chez vous pour un moment ou pour toujours – ils se voient rejetés par leurs fils ou leurs filles comme s’ils étaient des étrangers. D’un côté, des orphelins blancs dans leur patrie, des enfants qui ont grandi sans leur mère à leurs côtés, exposés eux aussi à des formes de dépression pouvant aussi conduire à des centaines de suicides ; d’autre part, leurs mères épuisées ici parce qu’elles devaient remplacer le manque de soins et d’amour pour les personnes âgées et la non-autosuffisance que chez nous est diffus : c’est un aspect brillant de la mission civilisatrice de l’Italie en Ukraine et dans d’autres pays d’Europe de l’Est pays. Il y a beaucoup de battage médiatique aujourd’hui sur l’entrée de l’Ukraine dans l’UE (dans 10-20 ans) – mais l’UE, l’Italie ont déjà pénétré l’Ukraine depuis trente ans, sans avoir à demander l’autorisation, sapant l’existence de centaines de milliers de familles des classes travailleuses. Et il est écœurant que « nos » dirigeants et « nos » médias se présentent comme des amis et des défenseurs du peuple ukrainien.

L’invasion russe, les bombardements et tout le reste ont achevé la dévastation, provoquant la fuite de millions d’autres, la mort et les blessures de dizaines de milliers, au moins, d’Ukrainiens ordinaires, de prolétaires. Et ce ne sont certainement pas les enfants des oligarques ou les parents de marionnettes de l’OTAN comme Zelensky, réfugiés en Israël dans des villas extra-luxueuses blindées. Certains disent : mais l’armée russe dénazifie le Donbass, n’est-ce pas bien ? Je comprends le soulagement de beaucoup, en particulier dans le Donbass, d’assister à la reddition des nazis ou des nazis du bataillon Azov, et de criminels similaires. Cependant, je vous invite à ne pas idéaliser la réalité des cd. Républiques populaires du Donbass. Écoutez ce que les militants du Front ouvrier du Donbass et de l’organisation communiste ouvrière de la République populaire de Lougansk viennent de dire le 19 février :

“La DNR et la LNR ont depuis longtemps perdu l’esprit originel de la démocratie populaire. Les impulsions naïves et sincères d’établir un véritable pouvoir populaire sont largement enterrées. Grâce aux efforts de la bourgeoisie locale et russe, les régimes capitalistes habituels ont été établis : réactionnaires, avec une démocratie amoindrie, un haut degré d’exploitation des travailleurs, une stratification sociale. Les autorités camouflent cyniquement leurs abominations, du non-paiement des salaires à l’interdiction de toute manifestation et grève jusqu’à l’exclusion de la vie politique et des élections, avec la loi martiale, des ouvriers, des mineurs, des conducteurs de tracteurs. Ainsi la classe ouvrière du Donbass, comme la classe ouvrière de Russie et d’Ukraine, mène une lutte commune contre la dictature de la bourgeoisie ».

Des mots durs et clairs qui viennent du terrain (et je voudrais dire que ce ne sont pas des organisations avec la même orientation idéologico-politique que moi). Ces derniers jours, il y a eu un appel-protestation adressé au président de la République populaire de Donetsk dans lequel il est dénoncé que de nombreux habitants du Donbass ont été envoyés en première ligne à Marioupol sans la formation nécessaire. 40% de leur bataillon est mort… Libérez-vous ou chair à canon ? Je me sens à leurs côtés, comme je le suis avec les femmes ukrainiennes qui ont pris d’assaut le bureau d’enrôlement militaire de Khust fin avril pour empêcher la conscription forcée des jeunes. Après tout, dès le premier instant, nous avons pris parti, comme la rédaction du blog Il Pungolo rosso, contre les sanctions contre la Russie, contre l’envoi d’armes au gouvernement Zelensky, contre l’activation du système de drones italien en faveur de l’Ukraine l’armée et l’OTAN, contre la campagne russophobe démentielle qui a ciblé les écrivains russes, les musiciens russes, les artistes russes, les Russes en tant que tels. Contre, radicalement contre la guerre, et surtout contre “notre” gouvernement et l’OTAN, qui la fomentent de toutes les manières.

La classe ouvrière de Russie n’a également rien à gagner de la guerre en cours, et des guerres qui s’ensuivent, elle commence. Je ne veux pas me cacher derrière l’autorité supérieure de Lénine, récemment attaqué par Poutine, en matière de chauvinisme grand-russe, qu’il considérait comme un dangereux poison à combattre. Je me borne à demander : quels jeunes Russes, pourquoi sont-ils des jeunes, meurent aujourd’hui en Ukraine ? Les enfants des dirigeants de Gazprom, Gazprombank ou Sherbank, ou Tupolev ? Ou sont-ils plutôt de jeunes enfants de prolétaires, de paysans, de couches populaires, presque toujours issus des régions les plus pauvres de Russie où le métier de soldat est le seul métier qui donne des garanties ? Comment se fait-il que la petite et pauvre Bouriatie (moins d’un million d’habitants), la terre de l’opérateur de pelle Vitaly Chingisovich, appartenant à la 30e brigade, décédé à 24 ans le 1er juin, comptait 91 morts “reconnus”, alors que la ville de Moscou, où la présence des classes moyennes et aisées est importante, et où vivent 9% des habitants de toute la Russie (12 millions d’habitants), ne compte que 3 décès reconnus ? Et qui paiera les frais de l’inévitable crise économique déclenchée par les sanctions occidentales et la guerre ? Qui, pour la nécessaire augmentation à long terme des dépenses militaires ? Qui sera touché par la pression répressive contre ceux qui ont fait et résisteront à la guerre et à l’enrôlement dans l’armée et dans la garde nationale ? Qu’adviendra-t-il – au-delà du licenciement – de ceux qui, comme les 115 membres du Corps de la Garde nationale de Nalchik dans le Caucase du Nord, refusent de partir en guerre hors des frontières russes ? Qu’en est-il des groupes de femmes qui ont osé manifester contre la guerre et réclament aujourd’hui des nouvelles de leurs proches disparus ?

Quant aux travailleurs italiens et européens, il suffit de considérer ce qui s’est passé en Italie. Le gouvernement Draghi a immédiatement déployé l’Italie dans la guerre, la plaçant au premier rang des provocations contre le Kremlin. Pour appuyer ce choix, Draghi & Cie proclame immédiatement une économie de guerre, avec le doublement des dépenses militaires et de nouvelles coupes dans les dépenses sociales. Le bouleversement du commerce international que provoquent les sanctions décrétées par les pays occidentaux entraîne en peu de temps une inflation supplémentaire, des hausses de taux et une récession économique, avec des effets brutaux sur les salaires, le gonflement de la dette privée et étatique, le chômage. Bonomi en a immédiatement profité pour informer que les patrons ne peuvent pas accorder d’augmentations de salaire, alors qu’ils exigent davantage de soutien de l’État et davantage de flexibilité de la part des travailleurs. Et nous n’en sommes qu’au premier acte de la séquence redoutée des conflits de l’Otan contre la Russie/Chine et leurs alliés (attention aux manœuvres déjà avancées pour de nouvelles guerres dans les Balkans…). Ce n’est pas un hasard si le gouvernement allemand a alloué 100 milliards d’euros du jour au lendemain. Le réarmement européen est bien parti, malheur à le sous-estimer !!

Enfin, en ce qui concerne les conséquences que la guerre en Ukraine a et aura sur les travailleurs du reste du monde, il est certainement vulgairement instrumental d’attribuer la crise alimentaire mondiale au blocus du port d’Odessa, qui a de multiples, différents, des causes à long terme, toutes issues du fonctionnement du capitalisme mondial et de son agression contre la nature. Mais le fait est que les événements de guerre en Ukraine aggravent cette crise qui afflige déjà les pays d’Afrique noire et arabe, comme ils aggravent la catastrophe environnementale. La guerre intercapitaliste étant en général le premier facteur de pollution de la terre et de l’air, ainsi que des esprits et des cœurs. Et cette guerre étant le bon prétexte pour revenir au charbon et lancer l’usage ultra-polluant du gaz liquéfié importé d’Amérique…

Je m’arrête ici. Les travailleurs et les travailleuses du monde entier, à commencer par les Ukrainiens et les Russes, n’ont aucun intérêt à être enrôlés dans cette guerre ou dans les autres guerres capitalistes à venir. Comment ils n’ont aucun intérêt à s’engager dans la compétition économique pour la domination du marché mondial. Que ce soit le vieil ordre détestable dominé par les États-Unis et l’Occident, ou le nouvel ordre, très hypothétique, plus “pluraliste” et “équilibré”, pourtant et toujours hyper-capitaliste, envisagé par Poutine et Xi Jin Ping.

Nous sommes au seuil d’une ère de bouleversements qui met en lumière la magnifique prédiction, peut-être trop anticipée, de Rosa Luxemburg : “le socialisme (c’est-à-dire la révolution sociale anticapitaliste) ou la barbarie”. Et il nous invite à reprendre un signe ancien toujours frais et vital : guerre à la guerre ! L’ennemi principal est ici, dans “notre” maison, c’est “notre” gouvernement ! Prolétaires et prolétaires de tous les pays, ne soyons pas divisés par des nationalismes pestiférés, unissons-nous contre les guerres du capital !

Je dis cela en sachant très bien que les signes qui vont dans ce sens sont très faibles aujourd’hui. Ce qui prévaut, jusqu’à présent, c’est l’unification nationaliste ou la file d’attente des travailleurs autour des gouvernements. Mais la terrible expérience de la guerre, des guerres et des crises qui s’annoncent, le prix qu’elles imposeront aux exploités et aux opprimés, ouvriront les yeux de beaucoup. Ils montreront même aux aveugles quelle est la seule voie de libération des monstruosités que le capitalisme nous prépare.