Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Lo stato di Israele
procede con i massacri di palestinesi,
come e più di prima
Per coprire di silenzio e omertà i crimini di Israele, ci sono sempre “ottime ragioni”.
Da cinque mesi la più recente, “ottima ragione”, è la guerra in Ucraina tra Usa/Nato e Russia sulla pelle e il futuro delle sfortunate popolazioni ucraine. C’è questa guerra in prima pagina, tutto il resto va in un angolo, se c’è posto.
Eppure ne stanno accadendo di fatti drammatici in terra di Palestina!
L’ultimo massacro in corso è quello che il governo Lapid ha motivato con l’azione per “neutralizzare” la dirigenza militare di Jihad Islami – in un linguaggio dalle assonanze nazistoidi, “neutralizzare” sta per assassinare. Peccato che in questa operazione “mirata”, dopo alcuni giorni di bombardamenti sull’area di Gaza, all’alba dell’8 agosto si contassero 44 palestinesi uccisi, di cui 15 bambini e 4 donne, che stentiamo a credere siano alla testa delle operazioni militari di Jihad. I feriti sono più di 350.
Massacri a Jabaliya, massacro ad Al Bureji, dove la distruzione della famiglia Nabahin ha provocato la morte di tre adolescenti e del loro padre. Mentre a Gaza, il territorio-bersaglio dei raid punitivi, la centrale elettrica che alimenta anche gli ospedali riesce a produrre solo 4 ore di elettricità al giorno, e c’è una gravissima carenza di medicine e macchinari medici…
Con il pieno appoggio dell’amministrazione Biden, Israele ha rivendicato il diritto all’azione preventiva contro Jihad Islami per scoraggiare le eventuali rappresaglie di questo gruppo a seguito dell’arresto del suo capo militare in Cisgiordania, e di altri arresti e omicidi mirati di suoi militanti. Davanti a questa pretesa di Israele di poter colpire i propri nemici come, quando e dove vuole con assoluta impunità, la stessa relatrice Onu per i diritti umani non ha potuto fare a meno di elevare una protesta verbale di condanna: “L’operazione Breaking Dawn è un flagrante atto di aggressione. Illegale. Immorale. Irresponsabile”. Parole che uno dei più fanatici ultras del sionismo mondiale, Fassino (Pd), ha ritenuto suo dovere attaccare con un argomento spudorato, e nello stesso tempo veritiero nella rivendicazione della intangibilità dello stato di Israele: se si tratta di Israele, appellarsi al diritto internazionale e alla legalità è un’illusione. Perché Israele è il diritto internazionale, è la legalità internazionale. E nessuno può aprire bocca sul suo operato. Neppure quando, come nelle ultime settimane, intensifica gli arresti di bambini, per esempio nel sud del Khalil (*).
I governanti israeliani non si curano di quelle che considerano punture di spillo, né dei rapporti di Amnesty International, che è tornata a definire l’apartheid di Israele contro la popolazione palestinese “un sistema crudele di dominazione e un crimine contro l’umanità”. Accettano tutto ciò come vuote esercitazioni verbali prive di conseguenze – come finora è accaduto. Se gli Stati Uniti e l’Unione europea sono pronti a coprire e giustificare qualsiasi crimine compiuto contro i palestinesi; se nel campo Russia-Cina e nelle cancellerie arabe tutto tace, con le eccezioni di prammatica di qualche svolazzo propagandistico di Teheran e Damasco; se il vice di Erdogan va a deporre fiori sulla tomba del capostipite del sionismo T. Herzl per significare in modo solenne da che parte sta la Turchia; lo stato di Israele non può che sentirsi incoraggiato, e perfino sollecitato, ad andare ulteriormente avanti per la sua strada di spietato colonialismo, morte e distruzione.
Lo si è visto anche nella vicenda dell’assassinio mirato della giornalista palestinese di al Jazeera, Shireen Abu Aqleh, avvenuto l’11 maggio a Jenin. La manfrina dei governi occidentali di voler ricevere “chiarimenti” (cosa c’era da chiarire?) è durata lo spazio di qualche giorno. Poi è venuta immancabilmente a cadere senza averne ricevuti. E la falange più delinquenziale dei coloni si è sentita legittimata ad infliggere a questa donna palestinese il dileggio estremo gridando a squarciagola che era “una puttana” in un osceno raduno tenuto davanti ad al-Aqsa. La strisciante messa in discussione dell’esistenza stessa della moschea di al-Aqsa per dare corso all’integrale giudaizzazione di Gerusalemme: ecco un altro aspetto di rilievo dell’incrudelirsi dell’attacco israeliano ai palestinesi avvenuto negli ultimi mesi. Certo, il governo Bennet-Lapid procede con accortezza per non rischiare di incendiare l’intero Medio Oriente, ma nondimeno, una provocazione dopo l’altra, il processo non si ferma.
Come non si ferma l’interminabile stillicidio di arresti, torture, omicidi in Cisgiordania. Da ultimo, oggi 9 agosto, un attacco a Nablus con 3 morti (uno di 16 anni) e 40 feriti. La sola forza in grado di fermare e rovesciare questo processo che in forme diverse dura da un secolo, è la sollevazione rivoluzionaria delle masse oppresse e sfruttate di Palestina. Che negli scorsi decenni ha fatto più volte irruzione sul campo, nel 1988, nel 2000, nel 2015, nel 2021, indomita ma sostanzialmente isolata dal resto del mondo arabo. Oramai, se ce n’è mai stato uno, non c’è un solo governo, né una sola formazione borghese di peso del mondo arabo che siano disposti a sostenere davvero la causa della liberazione palestinese (che è tutt’altra cosa dallo strumentalizzare il dolore e le sciagure dei palestinesi). Perché il suo compimento produrrebbe un terremoto sociale e politico generale, l’ultima cosa che hanno in mente i petrol-monarchi, gli autocrati alla al-Sisi o alla al-Asad, e i loro alleati alla scala globale.
Una dopo l’altra, ad iniziare da quella egiziana negli anni ‘70, le classi borghesi arabe e medio-orientali (vedi Turchia e Iran) hanno scelto apertamente o in modo dissimulato l’appeasement con Israele, ora consolidato con il “patto di Abramo” e altre trame diplomatiche. Sanno di stare seduti essi stessi su vulcani che appaiono spenti, e che invece, quando meno te lo aspetti, nel 2011-2012 e nel 2018-2020, si sono messi improvvisamente, e quasi in sincrono, ad eruttare materia incandescente.
Immaginare un Medio Oriente senza lo stato di Israele (che non equivale, ovviamente, a dire: senza gli ebrei non sfruttatori), senza le petrolmonarchie, senza i macellai delle proprie genti del rango di al-Sisi e al-Asad, appare un pensiero proibito, specie per le menti conformiste. Ma la potenza della rivoluzione sociale degli oppressi e degli sfruttati che sta maturando nelle viscere di questa area-chiave del capitalismo globale – e molto al di là di essa – sarà in grado di mettere mano a quella Federazione di liberi popoli sovietici del Medio Oriente che nei suoi anni fulgidi la Terza Internazionale preconizzò.
Tutto ciò che qui possiamo fare è tornare a denunziare senza posa i misfatti del colonialismo israeliano e la copertura che riceve dallo stato italiano, dalla UE, dalla NATO (e da tutto il resto dell’establishment capitalista e imperialista mondiale). E non cessare un solo istante di portare all’attenzione dei lavoratori e dei compagni, diventati alquanto sordi da questo orecchio, la straordinaria forza della resistenza palestinese che la protervia assassina di Israele non è in grado di sradicare, e che ci chiede sostegno e solidarietà.
(*) Da un rapporto di Save the Children di due anni fa:
“Ancora oggi circa 500-700 bambini Palestinesi della Cisgiordania vengono processati e detenuti secondo la legge militare israeliana, ogni anno. Sono gli unici bambini al mondo ad essere sistematicamente processati da tribunali militari, con processi iniqui, arresti violenti, spesso notturni e interrogatori coercitivi.
“L’accusa più comune è il lancio di pietre, per cui si può arrivare ad una pena di 20 anni.
In prigione sono sottoposti ad abusi emotivi e fisici, l’assistenza sanitaria e il sostegno psicosociale sono per loro molto limitati e con l’emergenza Coronavirus la loro situazione si é ulteriormente aggravata.
“Al momento, quasi 160 bambini si trovano nelle carceri militari israeliane, in attesa di processo o condanna.
“Da marzo, con l’inizio della pandemia, a questi bambini è impedito di ricevere visite dai propri genitori e parenti. Non possono neanche incontrare i loro avvocati e quindi anche il supporto legale è minimo.
“Questa situazione crea ulteriori difficoltà e sofferenze per i bambini e li rende vulnerabili a possibili violazioni, inclusa la pressione ad autoincriminarsi. Senza dimenticare il concreto rischio di contrarre il COVID19 a causa della mancanza di spazio nelle celle e dell’accesso minimo che hanno ai servizi igienici.”
9 agosto
Il Pungolo Rosso