Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
La guerra in Ucraina e l’internazionalismo proletario – un libro della TIR
E’ uscito nei giorni scorsi un libro della Tendenza internazionalista rivoluzionaria (TIR) sulla guerra in Ucraina. Riportiamo qui di seguito uno stralcio dell’Introduzione (intitolata Il tempo stringe). Il libro (pp. 208, 10 euro) può essere richiesto scrivendo a com.internazionalista@gmail.com
Il tempo stringe
Essendo la guerra l’orgia delle menzogne, non ci è dato sapere quanti sono realmente: secondo il ministro della guerra russo Shoigu i soldati ucraini morti sono 61.000 e 49.000 i feriti; secondo i comandi ucraini i russi caduti o gravemente feriti a fine settembre sono almeno 55.100. A quasi otto mesi dall’inizio della guerra la sola cosa certa è che l’Ucraina è un mattatoio dove si macella ogni giorno carne umana: ucraina (non solo soldati, anche civili), russa e di molte altre nazionalità, se è vero che i comandi alle truppe “ucraine”, in realtà della NATO, vengono dati anche in polacco, rumeno ed altre lingue ancora. Carne umana di poco valore, per i comandanti militari e politici dell’una e dell’altra parte, al sicuro, per ora, dalla reazione delle classi sociali, il proletariato per primo, obbligate a fornirla. E la pace, non parliamo della “pace giusta” senza oppressione di popoli, anche solo una vera e duratura tregua, appare lontana. Di quando in quando Biden o Putin sembrano aprire a negoziati. La realtà sul campo, però, è che si accumulano i segni di una possibile precipitazione della guerra con la sua estensione al territorio russo (già colpito sporadicamente) e con il passaggio dalle armi di distruzione di massa convenzionali alle armi atomiche.
È di ieri l’altro l’appello di Zelensky, ex-guitto trasformato in un banditore di morte h24, affinché la NATO bombardi preventivamente la Russia con armi atomiche, che fa il paio con analoghe richieste e minacce dal fronte russo. E’ di oggi l’attentato al ponte di Kerch in Crimea. A sua volta la Russia, in evidente difficoltà sul campo, è costretta ad allargare la mobilitazione delle sue forze con 300.000 riservisti, il doppio dei soldati impiegati fin qui, e cerca di proteggere l’annessione delle terre del Donbass con referendum svolti in condizioni di guerra. La von der Leyen, degna discendente del militarismo Junker (per la Commissione europea), la Gran Bretagna, la Francia, la Polonia, il Parlamento europeo fanno a gara nel promettere armi a Kiev, armi pesanti, armi sempre più letali, armi di profondità capaci di colpire il territorio russo, affinché si combatta contro la Russia fino all’ultimo ucraino.
L’Italia di Mattarella-Draghi-Meloni fa blocco con la propaganda e la retorica bellicista più truculenta della UE e della NATO. Non si tratta, però, solo di propaganda e retorica. L’Italia è in guerra dentro il fronte NATO fin dal primo momento, retrovia sicura per la raccolta di informazioni e le missioni di droni, e non si è tirata indietro, nei limiti delle sue possibilità, neppure nella fornitura di armi e di contingenti da schierare alle frontiere della Russia con i paesi baltici. A questo punto solo dei ciechi volontari possono ignorare che questa non è una guerra che oppone Russia e Ucraina, bensì un conflitto tra la NATO da un lato, con l’UE a supporto politico e operativo, e la Russia e i suoi un po’ defilati, ma non passivi, alleati dall’altro. Del resto, nel chiedere l’immediata adesione alla NATO, Zelensky si è fatto forte di un dato di fatto: la NATO è già in Ucraina (da molti anni, va precisato), l’Ucraina è già nella NATO (da altrettanto tempo) perché il suo raccordo con i comandi della NATO, ossia: la sua subordinazione ad essi, è totale.
Cade così in pezzi la menzogna secondo cui sarebbe in corso una romantica, se non rivoluzionaria, lotta di autodeterminazione condotta da tutte le classi della società ucraina strettamente unite tra loro come un sol uomo (Zelensky), di indipendenza nazionale della libera Ucraina contro il vecchio, incorreggibile orco russo. L’Ucraina di oggi tutto è salvo che una nazione libera, essendo stata progressivamente occupata, prima che dalle armate russe, dagli insediamenti economici, finanziari, diplomatici, militari, massmediatici dell’intero Occidente, e con speciale aggressività da un giro di interessi che fa capo alla banda Biden-Obama e Co. – un’occupazione resa possibile dal prevalere, in seno alla borghesia ucraina, della frazione legata all’Occidente. Ancora meno libera lo è, ovviamente, dal 24 febbraio, a seguito dell’invasione russa, che è stata l’occasione buona per moltiplicare l’invasione dei potentati occidentali, e le loro pretese sulle sue membra martoriate. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, la Polonia, l’Italia, la Romania, etc. etc., ogni paese “amico” pretende la sua quota di carne ucraina. E per effetto dell’“aiuto” di questi amorevoli Shylock l’Ucraina è più che mai un paese rovinato per i futuri decenni, alla bancarotta, in verticale perdita di popolazione, colonizzato dai suoi “amici” liberatori, oltre che straziato dai bombardamenti e dai carri russi.
Non se ne parla mai, ai liberi giornali occidentali è fatto divieto, perché debbono conficcare nei crani la menzogna secondo cui la guerra in corso è per la libertà e la democrazia dell’Ucraina e del mondo, e non – dio ne scampi – per la libertà di rapina e brigantaggio in Ucraina e in tutto il mondo dei potentati finanziari e industriali dell’Occidente. Non se ne parla mai, dicevamo, ma l’Ucraina è un paese dalle strepitose ricchezze naturali, non ancora del tutto esplorate. Può sfamare 600 milioni di abitanti nel mondo (avendone appena 40). Possiede il 5% delle risorse minerarie del mondo, pur avendo appena lo 0,4 della superficie terrestre globale. E’ tra le prime dieci nazioni produttrici ed esportatrici di metalli al mondo – 20.000 depositi per 194 minerali. Ne parliamo in questo libro, se ne deve parlare! L’Ucraina è in una posizione strategica per ogni tipo di contesa militare che abbia per oggetto il nord-Europa e la Russia, come si è visto in entrambe le guerre mondiali. E lo è anche sul piano commerciale e dei rifornimenti energetici. Se questo non bastasse, disponeva (una parte importante si è dovuta sparpagliare ai quattro angoli del mondo a cercare fortuna) e tuttora dispone di una forza-lavoro maschile e femminile con un livello di formazione medio-alto. L’Ucraina, insomma, è uno scrigno pieno d’oro. I pescecani occidentali che con i propri incitamenti, i propri prestiti, la dazione illimitata di armamenti, la spingono alla “vittoria”, la stanno in realtà spingendo all’autodistruzione totale, per poi spartirsela a prezzi di saldo. Tra essi, ben acquattati e già largamente posizionati sul terreno, quelli italiani. Mandare in rovina paesi come l’Ucraina (ce n’è una dozzina nei vari continenti) è fondamentale per tacitare il fronte interno ai paesi occidentali, sempre più pericolosamente polarizzato e – negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – molto agitato. Più la guerra dura, più risulterà chiaro alle masse lavoratrici ucraine quale grande sventura è stata il soggiogamento del loro paese agli interessi e ai comandi militari occidentali – per quanto forte, e giustificatissimo, possa essere il loro risentimento verso Mosca.
Ma se è al tappeto la menzogna occidentale sull’Ucraina-David che da sola si batte impavida contro la Russia-Golia, non è messa meglio la “verità” di Vladimir Putin e della sua Russia nostalgica delle grandezze imperiali di un tempo. Nel suo impegnativo discorso del 30 settembre per legittimare l’annessione delle province del Donbass, Putin si è presentato come un novello Che Guevara che sventola la bandiera dell’anticolonialismo tricontinentale contro l’imperialismo occidentale. La sua ben costruita invettiva non manca di efficacia e di richiami incontestabili alla “legge del pugno”, all’illimitata avidità di ricchezze e di profitti, alla pretesa di dominio totale sul mondo, all’inarrivabile ipocrisia dell’“Occidente collettivo” saccheggiatore dei popoli di tutto il mondo (per questo, qui, è stato completamente censurato). Senonché quella invettiva è tutta costruita sul richiamo alla “grande Russia”, alla “grande Russia storica” con la sua “storia millenaria”, al “posto che le spetta nel mondo” in quanto “grande potenza millenaria, una civiltà-paese”. Il che comporta la completa rivendicazione della Russia imperiale, zarista, una “prigione di popoli” secondo Lenin. Una rivendicazione che Putin fece senza mezzi termini, attaccando i bolscevichi, nel discorso del 21 febbraio in cui descrisse l’Ucraina come una costruzione artificiale da cancellare. Non una sola parola, fosse anche di mero distanziamento formale, sul fatto che la “grande potenza millenaria” prima feudale e poi feudal-capitalistica ha oppresso una molteplicità di popoli tra i quali tutt’oggi l’“Occidente collettivo” ha gioco facile nel seminare la russofobia. Di più: la sua rivendicazione della storia millenaria della Russia e dei suoi valori-civiltà contiene anche un capitolo à la Giorgia Meloni laddove si accusa l’Occidente di satanismo, per la sua “negazione radicale della moralità, della religione e della famiglia” tradizionali.
Insomma, anche senza chiamare in causa Afghanistan, Cecenia, Siria, Kazakistan e così via, dell’anti-colonialismo putiniano non resta nulla in piedi se ci si pone un paio di domande essenziali: chi c’è dietro la decisione di invadere l’Ucraina? Senza dubbio gli interessi dei grandi gruppi capitalistici russi (siderurgia, armamenti, agrari) interessati alle ricchezze dell’Ucraina. E cosa rappresenta il disegno grande-russo o quello, connesso, euro-asiatico? Rappresenta un modello, un’idea di società (capitalistica, è ovvio) caratterizzata da tratti regressivi, apertamente reazionari: l’oppressione delle minoranze etniche e linguistiche, delle donne, degli immigrati, degli omosessuali, e così via melonizzando.
Naturalmente, la parte del discorso di Putin che poneva il tema “dio patria famiglia” è stata omessa in certe traduzioni dai suoi fans italioti, sinistrati assai più che di “sinistra”. La ritengono una quisquilia. Li manda in estasi la prospettiva del passaggio dal mondo capitalistico unipolare al mondo capitalistico multipolare che Putin vagheggia come un’opportunità per i “nuovi centri di sviluppo” di “ottenere una vera libertà (…), il proprio diritto ad uno sviluppo indipendente, creativo e originale, ad una vita armoniosa”. Senonché il mondo attuale è già, di fatto, un mondo multipolare se perfino l’Arabia saudita, da un secolo una colonia anglo-statunitense, osa sfidare i vecchi padrini sul taglio alla produzione di petrolio, e in questo modo consapevolmente aiuta la Russia. Nel mondo che secondo Putin dovrebbe portarci verso una “vita armoniosa” si vede al contrario solo un’infinita moltiplicazione di conflitti, vecchi e nuovi. Perché i vecchi banditi che sono egemoni da oltre un secolo non intendono lasciare il campo ad altri senza distruggere tutto quel che è in loro potere, anche ai danni dei loro “amici” – vedi il sabotaggio del Nord Stream da parte amerikana, una vera e propria dichiarazione di guerra (economica) dell’amministrazione Biden alla Germania e all’UE. E i nuovi banditi ascendenti, si tratti del capitalismo cinese, di quello indiano, turco, brasiliano, vietnamita, arabo-saudita, etc. non mostrano la minima “originalità” nel fondarsi tutti, immancabilmente, sull’estremo sfruttamento delle proprie classi lavoratrici. Non solo: ciascuno dei “nuovi centri di sviluppo” ha obiettivi di espansione ai danni di altri paesi minori delle proprie aree viciniori, mentre il più potente dei nuovi centri di sviluppo, la Cina, accampa pretese egemoniche assai più estese (la stessa Russia dovrebbe saperne qualcosa…). Sono le leggi impersonali e immodificabili del capitalismo, e della maniera in cui il capitalismo cerca di superare le proprie grandi crisi, che impongono a tutti gli attori “scelte” che vanno in direzione di uno scontro generale e generalizzato tra capitali e capitalismi. La storia di questo modo di produzione e dei trapassi di egemonia da un centro nazionale ad un altro non lascia il minimo dubbio in proposito. Altro che armonioso pluricentrismo!
(continua)