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[CINA] Uso politico della pandemia: dilaga la protesta operaia e urbana, ma Xi Jinping mette in campo… i vaccini mRNA

ANCHE IN CINA LA LOTTA PAGA,

MA XI JINPING METTE IN CAMPO I VACCINI MRNA…

CONTRO IL DILAGARE DELLE PROTESTE

(30 novembre 2022)

(qui alcuni video delle recenti, forti proteste in Cina: https://vp.nyt.com/video/2022/11/29/104623_1_29vid-china-censorship-triptych_wg_720p.mp4)

Leggiamo su Reuters che, a seguito delle proteste e degli scontri con la polizia dei manifestanti di Guangzhou, le amministrazioni delle metropoli cinesi di Guangzhou e Chongqing hanno deciso di allentare le restrizioni per Covid.

Una decisione non certo autonoma, l’indicazione è data dal governo di Pechino.

I preparativi per il cambiamento erano già in corso da inizio ottobre – ma ora, con l’aumento dei casi di Omicron, che il vaccino cinese non è in grado di combattere [1] e le proteste che rischiano di sfuggire di mano, la questione è diventata più urgente.

Dopo il bastone la carota.

Xi Jinping ha deciso di non tirare troppo la corda dello scontento sociale con la rigidità della sua politica anti-Covid, che ha provocato anche una serie di incidenti e suicidi.

E che frenando la circolazione di persone e merci ha contribuito a rallentare la crescita economica, scontentando così sia gli imprenditori cinesi e gli investitori esteri.

Anticipare l’allentamento delle regole, e a gennaio annunciare formalmente la fine della pandemia e classificare Covid-19 come malattia infettiva endemica.

La scommessa di Xi non riguarda evidentemente solo le proteste contro i controlli Covid, ma il rischio che questo fattore contingente inneschi proteste politiche consistenti contro la tenuta del suo governo.

La svolta della politica sanitaria cinese – sbandierata fino a pochi mesi fa come vincente e ora rivelatasi perdente – è resa possibile dalla decisione di ricorrere a vaccini mRNA, e di poterne produrre in quantità sufficiente grazie ad un accordo con il suo inventore tedesco.

«Gli investitori reagiscono positivamente ai segnali di collaborazione tedesco-cinese sui vaccini a base di mRNA, elemento chiave della nuova politica sanitaria» [2].

La notizia ha acceso l’euforia della Borsa americana, in vista sia di accordi per la licenza di produzione e di importazione del vaccino, che – in prospettiva – di una sperata ripresa della locomotiva economica mondiale cinese.

Ma al contempo rafforza il patto politico tra Germania e Cina, a discapito dell’Alleanza Atlantica.

In un precedente resoconto abbiamo riferito della visita ad inizio novembre del Cancelliere tedesco in Cina, con le sue ricadute sia riguardo ai rapporti economici che ai tentativi di rafforzamento dell’intesa politica tra Berlino e Pechino per allentare la dipendenza dagli Usa (vedi qui).

Nella delegazione che accompagnava Scholz, tra i rappresentanti di dieci grandi gruppi tedeschi c’era anche Ugur Sahin, l’Ad di BioNTech, il gruppo farmaceutico inventore del vaccino mRNA, che intende entrare in joint venture con un gruppo cinese per produrre su vasta scala il vaccino.

A prima vista la sigla di questo accordo appare rilevante solo dal punto di vista
economico/commerciale.

In realtà la profonda interconnessione tra ambito economico-produttivo, società e politica, evidenziata in ogni parte del globo in occasione della pandemia Covid-19,
fa sì che produrre vaccini più efficaci da somministrare alle enormi masse popolari cinesi è la mossa del regime di Xi Jinping per tentare di smorzare le tensioni sociali prodotte dalla sua rigida politica di 0 contagi.

A Urumqi, nello Xinjiang, il 25 novembre sono scoppiate forti proteste a seguito della morte di dieci persone che non hanno potuto sfuggire all’incendio di un palazzo perché le porte erano bloccate per le disposizioni anti-Covid.

Gran parte della regione è rimasta in lockdown per oltre tre mesi.

Da qui l’ondata di proteste ha dilagato a macchia d’olio in varie regioni del paese, nelle grandi città da Pechino, a Shanghai, Chengdu, Guangzhou, Dali, e in decine di campus universitari.

Proteste che i media occidentali definiscono senza precedenti per dimensione ed estensione da quando il presidente Xi Jinping è salito al potere nel 2012, e le prime forti proteste dalla strage di Piazza Tienanmen del 1989.

Il think tank australiano Aspi ha calcolato che, dallo scorso sabato 26 a lunedì 28 novembre, ci sono state 43 manifestazioni di protesta in 22 città della Cina.

Non è facile organizzare proteste e coordinarle su un vasto territorio come è la Cina, con gli apparati statali che oltre ad arrestare e brutalizzare i manifestanti, bloccano i social media (come Weibo).

Ma la rabbia, quando scende in strada ed è espressione di migliaia di persone e di
lavoratori, è molto più difficile da censurare.

Lo stato cinese non è riuscito a censurare la rivolta dei 300mila lavoratori dello stabilimento Foxconn di Zhengzhou, nella provincia di Henan:

https://www.combat-coc.org/forti-proteste-operaie-e-dura-repressione-nella-citta-fabbrica-foxconn-di-zhengzhou/.

La determinazione e la potenza dimostrate da questa lotta operaia hanno probabilmente incoraggiato anche le proteste in corso.

Le loro immagini e notizie hanno continuato, almeno parzialmente, a circolare su canali più privati come WeChat, e tramite siti stranieri come Twittewr ed Instagram, a cui un numero crescente di cinesi riesce ad accedere con un software dedicato.

Se la polizia non consente di portare striscioni e diffondere volantini, bastano dei fogli bianchi alzati in un corteo di migliaia di persone per esprimere il dissenso, diventando un’accusa potente contro il regime della borghesia cinese, contro la censura e la repressione da essa imposte.

La polizia è intervenuta in forze nelle maggiori città:

https://www.reuters.com/world/china/covid-protests-escalate-guangzhou-china-lockdown-anger-boils-2022-11-30/

A Shanghai ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia, con l’evacuazione dell’area di raduno (arrestato e malmenato anche un giornalista della Bbc); a Wuhan sono state demolite le barriere anti-pandemia; a Pechino la polizia ha presidiato l’area della stazione centrale della metropolitana, e ha intimidito la popolazione fermando e interrogando i passanti.

La massa dei manifestanti chiede di porre fine ai lockdown, ma gruppi più politicizzati, in particolare tra gli studenti universitari come quelli dell’università Tsinghua di Pechino (per quanto è dato sapere dai media), hanno denunciato la censura poliziesca e chiesto le dimissioni di Xi Jinping e criticato il ruolo del Pcc, il Partito Comunista Cinese.

Secondo Asia Times le proteste attuali non hanno la forza e la valenza politica di quelle del 1989.

Sono manifestazioni di strada in cui i manifestanti si disperdono dopo aver marciato e protestato; sono centrate sulla revoca delle restrizioni Covid e non su principi politici.

Forse è così.

Ma, dopo aver perso da mesi le illusioni sulla gestione razionale della pandemia da parte del governo, chi ne ha pagato le conseguenze in termini di segregazione in condizioni spesso degradanti, chi protesta, chi nella protesta rischia, chi è represso… matura una coscienza politica, che va oltre la motivazione contingente e specifica.

Si chiede ad esempio, perché, a vantaggio di chi e di cosa la polizia reprime.

E una volta messo in movimento, il processo di maturazione politica continua rafforzato da ogni nuova esperienza e confronto sociale.

Note:

[1] I vaccini tradizionali cinesi, come Sinovac, si sono dimostrati molto meno efficaci contro le varianti originali di Covid, e quasi del tutto inefficaci contro Omicron, incapaci di mitigarne la gravità. Quando Omicron ha colpito, la Cina non aveva alternativa ai rigidi lockdown, che hanno riguardato centinaia di milioni di persone.

[2] Asia Times, 30.11.’22