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[ITALIA] Processo per Atika: ergastolo, con movente di femminicidio. Lotta contro la barbarie della violenza maschilista

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

PROCESSO PER ATIKA:

ERGASTOLO, CON MOVENTE DI FEMMINICIDIO

Apprendiamo dell’avvenuta sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna che riconferma in toto quella di primo grado nei confronti dell’assassino di Atika Gharib.

Ben comprendiamo la fermezza con cui la famiglia ha rimandato al mittente le scuse e un pentimento che mai Mohamed Chameck aveva sentito il bisogno di esprimere, né al momento dell’arresto né nelle successive fasi processuali.

In concomitanza con l’inizio del primo processo prese vita il Comitato 23 settembre, in nome del quale tantissime volte ci siamo espresse su questa pagina purtroppo in altrettante occasioni di femminicidi che ogni giorno continuano a colpire le donne.

La sentenza di ergastolo senza attenuanti ha usato per la prima volta il movente di femminicidio creando un precedente giuridico parzialmente utile, crediamo, a minare la convinzione ancora troppo diffusa che le donne possano essere proprietà di un uomo, giustificato (se pure da una perizia psichiatrica) nel punirle perché hanno derogato da un comportamento di giusta sottomissione!

Come già abbiamo sottolineato, il rigore, riconfermato in questa sentenza utile per il futuro, non solo non può ridare una madre a quelle figlie in difesa delle quali Atika aveva avuto il coraggio di denunciarne il molestatore, ma non basta a scalfire la colpevolezza dello Stato nell’incrementare sempre di più tutte le mancanze e le difficoltà che gravano come un macigno sulla vita delle donne: occupazionale, economica e di Servizi, per autodeterminare dignitosamente la propria esistenza, senza essere esclusivo pilastro di una famiglia che in troppi casi la opprime e la uccide.

27 dicembre

Comitato 23 settembre


IL MOVENTE E’ FEMMINICIDA

Con la sentenza del 02/2022 pubblicata il 2/03/2022, la Corte d’Assise di Bologna, riconosce il movente femminicida nell’omicidio di Atika Gharib, inserendolo tra le aggravati della pena.

La Corte – come emerge dal comunicato dello studio dell’avv. Marina Prosperi che ha rappresentato l’intera famiglia della vittima, costituita parte civile, unitamente al sindacato S.I. Cobas – ha escluso che il movente sia stato passionale o maturato per ragioni di gelosia, ritenendo peraltro datati tali precedenti giurisprudenzali di legittimità.

I giudici popolari e togati hanno inteso riconoscere e definire tra le aggravanti – il movente femminicida maturato per riaffermazione della volontà di possesso “virile” sulla donna, e per barbara necessità di vendicare il proprio malconcepito senso di onore, cui non si è accompagnato alcun pentimento; anzi l’omicidio è stato rivendicato con orgoglio e soddisfazione -.

Questo passaggio motivazionale segna un importante salto nella giurisprudenza, che riconosce come aggravante di genere, il movente di un femminicidio, poiché determinato in una cornice maschilista “ il possesso virile sulla donna” e patriarcale nel quale si misura “ il malconcepito senso dell’onore.”

Sono due parole inserite in una sentenza di 22 pagine, ma sono un grande passo nella tutela e nella difesa delle donne.

Lo studio legale Prosperi intende ringraziare tutti coloro che si sono trovati uniti in questa durissima ed importante vicenda processuale: la famiglia Gharib, la Procura presso il Tribunale di Bologna, la Corte d’Assise, l’avvocata Mariuz per l’Udi, ed il Comitato 23 settembre del S.I. Cobas che ha supportato l’intero percorso.

Lo studio legale dell’avv. Marina Prosperi

11 aprile

S.I. Cobas Bologna

https://www.facebook.com/sicobasbolo/videos/304820828466613


Riceviamo e pubblichiamo dalle compagne del Comitato 23 settembre questo contributo, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):

Per Atika Gharib e tutte le Atika del mondo:

la nostra denuncia, la nostra sentenza

L’assassino di Atika Gharib, il molestatore delle sue figlie, è stato condannato ieri 7 febbraio all’ergastolo, con 4 mesi di isolamento. La giustizia dei tribunali, basata essenzialmente sulla responsabilità individuale, ha fatto il suo corso. Nessuno sconto per l’imputato. Nessuna attenuante.

Il nostro comitato, nato il giorno in cui questo processo è cominciato, e presente davanti al tribunale il giorno della sua conclusione, non ha certo finito il suo lavoro con la condanna pronunciata oggi. Siamo appagate da questa sentenza?

No. Non perché siamo indifferenti al riconoscimento della colpa o all’entità della pena. Ma perché non crediamo che questa sentenza modifichi di fatto la situazione sociale generale in cui possono maturare delitti atroci e quotidiane violenze contro le donne. Non crediamo che essa intacchi nel profondo il senso di possesso che caratterizza molto spesso i rapporti interpersonali, anche i più stretti, che dovrebbero essere improntati alla solidarietà e all’amore. Non crediamo che il clima sociale in cui viviamo, sempre più caratterizzato dalla stretta repressiva e dalla sopraffazione sessista, patriarcalista, classista e razzista possa essere combattuto a suon di sentenze, che stigmatizzano colpe individuali, mentre cresce la pressione su tutta la classe lavoratrice.

La vulnerabilità di molte donne è accentuata dalla frammentazione e dalla divisione che le donne e tutti gli sfruttati e gli oppressi vivono in questa società. Dall’isolamento che impedisce di chiedere aiuto, dal degrado dei rapporti sociali, dall’attacco ai diritti sindacali, dalla repressione delle lotte, dall’imbarbarimento dei rapporti interpersonali che dovrebbero essere l’ultima trincea di difesa nelle difficoltà. Dalla tenacia con cui ci si affretta a soffocare e colpevolizzare ogni tentativo di autonomia e autodeterminazione delle singole donne. E’ questo clima sociale che favorisce e avalla la violenza individuale, in particolare quella contro le donne.

Saremo soddisfatte quando coloro che subiscono violenza, in tutti i modi presenti nella società, scenderanno in lotta, perché è nostra fermissima convinzione che solo la denuncia e la lotta comune, per la propria dignità e i propri diritti, assieme alla ferma volontà di cambiare alla radice il sistema sociale che della violenza si nutre ogni giorno, potranno fermare la catena di femminicidi, di morti sul lavoro, di vittime di apartheid, di guerre e aggressioni che si snoda ogni giorno davanti ai nostri occhi.

Al tempo stesso non possiamo non ricondurre la sentenza che è stata emessa, a sua volta, ad una origine sociale. E’ quella dell’espandersi e rafforzarsi del movimento internazionale delle donne, che da sempre denuncia la violenza che esse subiscono, ma che da qualche anno ne ha fatto un obiettivo primario. Questo movimento che associa la violenza economica con quella psicologica e fisica, e che la denuncia come un fatto strutturale e mondiale, ha proiettato l’eco delle sue lotte nella società – ad esso va il merito di aver reso possibile la conclusione di questo processo.

Essa non attenua l’indignazione, la rabbia e il dolore che ancora proviamo per la morte di Atika e di tutte le Atike del mondo, essa non ci induce alla delega alle istituzioni; noi la accogliamo come un risultato di una sempre maggiore coscienza che deve scorrere nelle vene del movimento delle donne e degli sfruttati tutti, come il risultato di una seppur embrionale forma di mobilitazione comune che si è realizzata in questa vicenda tra il nostro comitato e i lavoratori del sindacato a cui la famiglia di Atika faceva riferimento, il S.I. Cobas.

Un piccolo esempio da potenziare e allargare. Un segnale della necessità della convergenza delle lotte.

Una lotta comune tra sfruttati che è la nostra linea guida e la nostra garanzia di successo.

8 febbraio

Comitato 23 settembre

***

Testo del volantino distribuito davanti al Tribunale di Bologna 

GIUSTIZIA PER TUTTE LE ATIKA

Oggi, a Bologna, in questo tribunale si sta svolgendo l’ultima udienza che renderà una parziale giustizia ad Atika Gharib e alla sua famiglia per una morte violenta e premeditata per mano del suo ex compagno.

Nel suo nome e simbolicamente in occasione della data dell’inizio di questo processo nel 2020 si è formato il Comitato 23 settembre che oggi sente il dovere di ricordare anche tutte le violenze e il dolore subiti da questa donna anche per un lungo periodo prima dell’ultimo brutale atto che ha posto fine alla sua vita.

Nel 2021, 116 donne sono state uccise, per la stragrande maggioranza da compagni, ex compagni e familiari. Questa estrema violenza non è che l’ultimo atto che colpisce solo una infima minoranza delle donne quotidianamente maltrattate, abusate spesso fin da bambine, picchiate sistematicamente, costrette col ricatto dei figli a relazioni tossiche e a rapporti non voluti. Una violenza che trova poco ascolto nella società e nelle istituzioni.

Come in moltissimi altri casi di femminicidio che si susseguono quotidianamente in Italia e in tutto il mondo, le denunce con le quali Atika aveva cercato di difendere sé stessa e le sue figlie non sono state prese in considerazione dalle forze dell’ordine, e un processo che si conclude a distanza di 2 anni e mezzo dal suo assassinio, confermano la scarsa sollecitudine delle istituzioni e la loro poca volontà di affrontare il problema alla radice.

Consapevoli che anche la più pesante delle condanne non possa porre riparo alla perdita subita dalle figlie e dalla famiglia di Atika dobbiamo, ancora una volta, puntare il dito sull’ipocrisia della celebrazione delle date, stabilite ad hoc dalle Istituzioni tutte, che, un paio di volte all’anno, pongono all’attenzione mediatica i casi di cronaca più appariscenti, senza denunciare quante volte TUTTI I GIORNI le donne subiscano violenze, e non solo fisiche, nel sistema sociale in cui viviamo.

Nella vita sociale, le donne e i loro corpi sono sempre più una merce, nella vita privata una proprietà da usare o da distruggere.

Le discriminazioni sessiste, razziste e le molestie sessuali sempre presenti all’interno dei posti di lavoro, i ricatti che aumentano la fatica di conciliare il lavoro produttivo e quello riproduttivo e di cura, stanno lì a dimostrarlo ogni giorno.

Certo il lavoro produttivo rappresenta un nodo importante per l’autonomia economica delle donne (che con sotto-salari e precarietà troppo spesso manca) contro il patriarcalismo che le vorrebbe caricare in toto dei compiti all’interno della famiglia e nello stesso tempo supersfruttare sul posto di lavoro.

Ma nelle loro lotte la rivendicazione del posto di lavoro non può bastare, e noi siamo qui a rivendicare una messa in discussione degli obiettivi e dei metodi della classe al potere che, oggi più che mai, scarica i costi di una crisi aggravata dalla pandemia sulle spalle delle donne, aumentandone la precarietà e la povertà togliendo loro diritti, sicurezza sul lavoro e servizi sanitari e all’infanzia.

NELLE LOTTE DI TUTTE E TUTTI, CON QUESTI OBIETTIVI,

DOBBIAMO PROVARE A DIFENDERE TUTTE LE ATIKA

DALLA BARBARIE DI UNA SOCIETA’ CAPITALISTA

BASATA SUL PROFITTO E SULLO SFRUTTAMENTO

Bologna, 7 febbraio 2022

Comitato 23 settembre


IN RICORDO DI ATIKA,

CONTINUIAMO LA LOTTA

CONTRO LA BARBARIE DELLA VIOLENZA MASCHILISTA

Il prossimo 23 settembre si apre il processo contro l’uccisore di Atika, 32 anni, sorella di un militante storico del SI Cobas, barbaramente uccisa un anno fa dal suo convivente dal quale si era separata dopo averlo più volte denunciato per maltrattamenti e molestie nei confronti della figlia.

Un assassinio annunciato dall’uomo, che aveva dichiarato più volte il suo intento omicida minacciando anche le sorelle di Atika. Una escalation di violenze da cui Atika aveva cercato di difendere se stessa e le figlie denunciando le minacce e le aggressioni subite.

Le misure adottate dalla magistratura, rallentate dalle lungaggini burocratiche, evidentemente non l’hanno protetta, a conferma una volta di più che le istituzioni sono spesso indifferenti e inefficaci a fermare la violenza domestica.

Nessuna pena al colpevole potrà porre riparo al trauma e alla perdita subita dalle sue figlie, dalla famiglia e da tutte e tutti noi. Chiedendo giustizia per Atika, siamo convinti più che mai che solo la lotta e la mobilitazione delle lavoratrici e delle donne senza privilegi può costituire un muro contro questi crimini, che si ripetono anno dopo anno, uno ogni tre giorni, in Italia e nel mondo.

Una lotta che, per essere incisiva, non può limitarsi alla violenza individuale, privata, patriarcale, ma deve denunciare soprattutto la violenza del padronato, dello stato e delle istituzioni che si scatena ogni volta che le donne lottano per i loro diritti. La polizia non esita a sparare lacrimogeni quando le lavoratrici scioperano contro il supersfruttamento e la discriminazione nelle fabbriche e sui luoghi di lavoro. La magistratura non esita a denunciarle in massa, come è avvenuto in questi giorni contro le operaie e gli operai di Italpizza, quando pretendono i loro diritti.

La crisi sanitaria esplosa nell’emergenza del covid 19 è dovuta ai tagli pesantissimi all’intero welfare e alla “aziendalizzazione” del sistema sanitario pubblico imposti negli ultimi anni a seguito della gravissima crisi economica che il Covid ha esasperato. Questo macigno si è abbattuto in particolare sulle donne aumentandone la precarietà, la disoccupazione, il lavoro da casa, il carico di lavoro domestico e di cura dei bambini e degli anziani, l’esposizione alla violenza del partner. Le donne sono sospinte dalla materialità degli attuali rapporti di sfruttamento a ritornare nelle case o a restarci, a rinunciare ai loro più fondamentali diritti conquistati con dure lotte. Come dimostrano i continui attacchi al diritto di aborto assistito e l’impraticabilità di fatto del divorzio in una condizione di sostanziale subordinazione all’istituzione familiare, precarietà e disoccupazione e tagli al welfare colpiscono soprattutto la donna anche nell’esercizio dei suoi diritti fondamentali.

Noi ci battiamo contro tutto questo

– per rafforzare ed estendere le grandi mobilitazioni delle donne di tutto il mondo;
– per un movimento unitario che affronti tutte le contraddizioni specifiche della condizione femminile;
– per l’unità delle lotte di tutti gli sfruttati e gli oppressi contro il patriarcato e il capitalismo che sono all’origine della violenza sulle donne e della comune oppressione.

Con Atika nel cuore, ritroviamoci tutte/i

mercoledì 23 settembre alle ore 10

presso il Tribunale di Bologna, in via Farini 1

21/9/2021

S.I. Cobas nazionale