Riceviamo e pubblichiamo questo contributi dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Lo sciopero dei benzinai di ben 48 ore è stato subito autoridotto dopo l’incontro dei sindacati di categoria col governo. Tutti i delegati all’incontro si sono espressi negativamente sui risultati del vertice e quindi la prima cosa che non si capisce è perché abbiano fatto marcia indietro. Intanto i distributori aperti sembra siano stati più di quelli chiusi, molti di più. Maggiori adesioni, al netto della garanzia dei servizi essenziali, si sono verificate sulla rete autostradale, e noi che simpatizziamo per i lavoratori, siamo curiosi di sapere se i titolari hanno retribuito i loro dipendenti, se li hanno messi in ferie forzate, se li hanno sospesi, se hanno fatto ricorso alla Cassa Integrazione o cos’altro.
Qual è l’oggetto del contendere? Il governo Meloni, pur di non ammettere di aver detto colossali bugie e di aver montato una campagna elettorale, che ancora non finisce, anche sulla parola d’ordine “Abbasso le accise” smentendosi, però, dopo poche ore, ha cercato di uscire dalle difficoltà indicando l’untore: il benzinaio speculatore. L’atto secondo della pantomima è stato l’invio di poderosi contingenti della Guardia di Finanza a controllare i distributori che sono, tanto per dare un’idea del confronto con le capacità di controllo, 22.000 in tutt’Italia. Cosa dovessero accertare le Fiamme Gialle è presto detto: l’affissione del cartello con il prezzo medio regionale insieme al solito tabellone, quasi mai visibile e quasi mai aggiornato, con il prezzo alla pompa praticato, salvo pesanti sanzioni.
Contro la poderosa, energica manovra antispeculativa, e la relativa formidabile misura, si è levata la protesta dei gestori. Il Decreto Legge su cui il governo ha lavorato con grande zelo e rapidità è stato contestato su questo, e la protesta ha ottenuto che le sanzioni venissero ridotte, cosa fatta altrettanto rapidamente prima che iniziasse lo sciopero.
Che lo sciopero non sia mai stato ben accolto dai gestori non è una novità, e anche stavolta le adesioni hanno mostrato una categoria poco propensa a “chiudere bottega” anche solo per un giorno. Intanto il solo annuncio dello sciopero ha fatto salire i prezzi ed il sospetto che dietro l’iniziativa di “lotta” ci siano le compagnie petrolifere è stata segnalata da Assoutenti e si fonda anzitutto sul fatto che il governo, sempre solerte verso questo tipo di categorie, ha provveduto, come già dicevamo, ad accogliere le richieste della categoria prima dell’inizio dello sciopero facendone diminuire la motivazione. A rafforzare questa ipotesi, c’è il fatto che moltissimi impianti di distribuzione sono di proprietà delle compagnie petrolifere che fissano il prezzo e riconoscono al gestore una percentuale da contratto, ovviamente la minima possibile.
La categoria dei “benzinai” è, dunque, molto composita, e certamente non esente da possibilità e manovre speculative. Tutt’altro. Tutti noi ci domandiamo se alla notifica dell’aumento del prezzo, il gestore (piccolo o grande proprietario che sia) esaurisca prima le scorte acquistate – o acquisite – a prezzo più basso e applichi il nuovo prezzo aumentato solo dopo il rifornimento della partita a prezzo aggiornato, cosa tra l’altro quasi impossibile da controllare. E nel caso il gestore non sia il proprietario dell’impianto, a chi va il maggior introito del prezzo in salita?
Naturalmente questo governo, ancora più sfacciatamente dei precedenti, non ha toccato le grandi compagnie petrolifere, nemmeno i traffici che esse fanno attraverso la distribuzione; e per i piccoli – sua base elettorale – si è limitata al Decreto Legge che ha una portata e dei contenuti normativi ridicoli. Forse, chi sa, le associazioni ed i loro iscritti si erano illusi che fosse il momento buono per ottenere qualche aumento delle provvigioni, qualche sgravio fiscale di quelli che ogni tanto i governi s’inventano per questa o quella corporazione. Quando è stato evidente che i benefici maggiori andavano alle compagnie petrolifere proprietarie e per i piccoli gestori solo qualche briciolina, la protesta, già non molto convinta, si è sgonfiata definitivamente.
In realtà ci troviamo di fronte all’ennesimo esempio di caos nel commercio in regime capitalistico di cui la cosiddetta speculazione non è una cosa a parte ma è parte del sistema, non è una disonestà correggibile ma una caratteristica inviolabile della struttura. Qualche meraviglia? Il capitalismo quest’è: anarchia della produzione, profitto, concorrenza, strozzinaggio, corruzione, speculazione, delinquenza organizzata più o meno armata, e tutti questi aspetti vivono insieme, indistinti, profondamente legati l’uno all’altro tanto da non poter fare a meno l’uno dell’altro.
Inutile chiedersi chi ha pagato questa doppia speculazione, e la sua copertura da parte del governo Meloni, governo dei padroni (o dei ladroni – nazionali e internazionali).