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[CONTRIBUTO] Cosa diavolo sta succedendo in Israele?

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Cosa diavolo sta succedendo in Israele?

– Centro di documentazione contro la guerra, Milano

Secondo i giornali mainstrean è una lotta “per la democrazia”. Nel tessere le lodi di questa democrazia come una sorta di paradiso in terra medio-orientale, si “dimentica”, naturalmente, una circostanza di monumentale peso: l’oppressione dei palestinesi, lo spietato colonialismo di insediamento, l’apartheid, il razzismo di stato che caratterizzano questa vantata democrazia, le stragi, etc. Attenzione, però, a chiudere qui il discorso. Perché quello che sta succedendo in Israele, una spaccatura in profondità della società israeliana, è di grande importanza per la causa della liberazione dei palestinesi e per il futuro del processo rivoluzionario in Medio Oriente e nel mondo intero. Finora, infatti, Israele è stato il solido avamposto, un vero e proprio bastione dell’imperialismo occidentale nell’area, e il partner indispensabile per i governi arabi più reazionari. Ma ora in questo avamposto, dentro questo bastione, si è formato un movimento di massa (anche di scioperi!) senza precedenti nella storia di Israele per massa e per impeto che, qualunque sia l’esito della legislazione voluta da Netanyahu e ora sospesa, lo rende insicuro, instabile. Insicuro ed instabile fino al punto che Netanyahu, e non solo lui, hanno evocato il rischio di guerra civile. Quale l’oggetto del contendere? Davvero e solo i poteri della magistratura e della Corte suprema? Non lo crediamo affatto. Quello che è emerso con forza è un malcontento sociale e politico ampio, molto ampio, che va al di là della singola questione, e segnala comunque una volontà diffusa di resistere alla irresistibile ascesa del fascismo e del sionismo più oltranzista in Israele e dell’impunità assoluta, di ogni sorta di intoccabile privilegio, per le potenti organizzazioni dei coloni e degli ultra-ortodossi, per i promotori del suprematismo ebraico, che sono pilastri dell’attuale governo. Nel quale ci sono ministri che fanno conferenze stampa con dietro una mappa di Israele che include tutta la Giordania o sostengono che i palestinesi non esistono…

Ha ragione Meir Margalit, uno dei fondatori di Icahd, il comitato contro la demolizione delle case palestinesi, a sostenere che “la società [israeliana] ha già collassato da tempo: la sua base è deteriorata da anni, ha perso ogni etica. La violenza che Israele usa nei Territori occupati ha superato qualsiasi linea rossa, e si è infiltrata nella società israeliana. Siamo diventati una società violenta che permette a partiti fascisti di entrare al governo”. Proprio così: il militarismo che da decenni ha inflitto immense sofferenze e lutti al popolo palestinese, meglio: alle masse sfruttate e oppresse palestinesi (perché uno strato di borghesi palestinesi è protetto da Israele), questo spietato militarismo coloniale sta improntando crescentemente di sé anche la vita sociale e politica degli israeliani cittadini di serie A, con la sua violenza, con i suoi soprusi, con la sua corruzione, con il suo sessismo, con il suo razzismo anche verso gli ebrei di pelle più scura. Ed ora, anche se la stampa mainstream qui lo tace, per effetto di decenni di questo militarismo si stanno rafforzando i movimenti ed i partiti esplicitamente fascisti. Già nel 2011 emerse il malcontento sociale degli strati non sfruttatori della società israeliana in conseguenza del primato delle spese belliche sulla spesa sociale. Negli anni successivi c’è stato un forte movimento degli immigrati ebrei di colore che hanno denunciato le discriminazioni ai loro danni. Ora vediamo un mix di scontento sociale e politico verso Netanyahu come primo rappresentante dell’establishment politico. Certo, certo, siamo ben lontani dal riconoscimento delle radici del fascismo montante, ben lontani dallo schieramento al fianco dei palestinesi anche solo di una minoranza significativa di questo movimento. Eppure sarebbe cecità non vedere in esso il risultato – anche – della lotta irriducibile dei palestinesi che costringe lo stato di Israele a provvedimenti e misure repressive sempre più sanguinari, che a loro volta sono stati e sono l’humus per l’emergere di movimenti esplicitamente fascisti, ed un altro dei segni del declino delle democrazie occidentali, della loro incapacità di tenere compatte le proprie società nelle quali, invece, si sta scavando un fossato sempre più profondo tra la classe dominante e la massa della popolazione salariata. Se messi in prospettiva, gli avvenimenti degli ultimi due mesi in Israele sono di grande interesse. Altro che!

Ecco perché troviamo molto utile questa documentazione raccolta dai compagni del Centro di documentazione contro la guerra di Milano, che raccogliamo e proponiamo.

Redazione Il Pungolo Rosso


Voci da Israele sulle mobilitazioni contro Netanyahu

Voci da Israele sui limiti e le prospettive delle mobilitazioni per bloccare la distruzione del sistema giudiziario da parte del governo di Netanyahu

Ormai centinaia di migliaia di manifestanti sono mobilitati in tutta Israele e sono in piazza a Tel Aviv. Oggi 27 marzo, mentre scriviamo, il governo Netanyahu è appeso ad un filo, è praticamente morto.

La sua sorte è segnata, sia che decida di sospendere l’iter della “controriforma” giudiziaria (in questo caso dovrebbe disinnescare la minaccia di farlo cadere dei ministri della destra religiosa e del sionismo più razzista e, con una coalizione di maggioranza frammentata che ha 64 voti su 120 eletti alla Knesset, l’impresa è ardua), sia che decida di proseguire nella sua approvazione (e in questo caso dovrebbe affrontare la prosecuzione e l’ampliamento delle proteste di massa che, seppur rigidamente tenute separate dagli organizzatori principali da qualsiasi tipo di “contaminazione” con la lotta contro l’apartheid nei confronti dei palestinesi, andando avanti sarebbero costrette a dover oltrepassare il confine di una rivendicazione per “soli israeliani”).

In nome della “responsabilità nazionale” e per evitare “una guerra civile” Netanyahu ha rimandato la controriforma della giustizia alla sessione della Knesset successiva alla Pasqua ebraica, invitando l’opposizione ad un confronto sulla legge. Questa ha dato la propria disponibilità e il sindacato ha revocato lo sciopero. Governo e opposizione hanno preso tempo fino al 13 aprile prossimo, ma difficilmente riusciranno a controllare la situazione e a far rientrare le mobilitazioni.

In cambio dell’accettazione della proroga, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir del partito Potere Ebraico, afferma di avere ottenuto che nella prossima seduta del governo sia discussa la creazione di una “Guardia Nazionale civile di volontari” alle sue dirette dipendenze. Ossia la creazione di una struttura paramilitare direttamente controllata dal suprematismo ebraico.

Anche questa soluzione provvisoria ci mostra che lo scontro sullo smantellamento dell’attuate struttura giudiziaria israeliana non è circoscrivibile ad una mera questione di sola democrazia, perché Israele non è un paese democratico. Lo stato sionista israeliano si fonda sull’apartheid, sulla “democrazia” per i soli israeliani, sulla guerra permanente contro i palestinesi (rappresentata come una lotta “contro il terrorismo”), per i quali l’attuale governo prevede unicamente la sottomissione o l’espulsione.

Noi saremo certo tacciati di “antisemitismo”, come chiunque si permetta di criticare la guerra permanente contro i palestinesi condotta dallo stato sionista israeliano e non ne accetti la sua rappresentazione “rovesciata”, fatta propria anche dai capitalismi occidentali, dai vari partiti di centro destra e centro sinistra, in amorevole sintonia tra di loro.

Poco importa, ma a sostenerlo non ci siamo soli noi, lo fanno anche una serie di voci provenienti da Israele (“antisemiti” anche loro?) e poiché abbiamo sempre ribadito che “il nemico non è oltre la frontiera”, riteniamo che il minimo segno di internazionalismo sia contribuire a far conoscere queste voci, pur non condividendo tutto quello che sostengono. In questo caso leggerete delle posizioni ben differenti da quello che ufficialmente circolano nei media di casa nostra.

Così presentiamo: l’intervento “Ho combattuto per Israele, ora combatto per porre fine all’occupazione permanente dei Territori Palestinesi” di Ori Givati, esponente di Breaking the Silence (l’associazione dei veterani dell’esercito israeliano che fanno contro informazione sulla realtà dell’occupazione dei Territori Occupati) apparso il 9-2-2023 sul sito The Daily Beast.
L’intervento si focalizza sul fatto che per la realizzazione del programma annessionista (dei Territori Occupati, del Golan, ..) di Netanyahu lo smantellamento dell’apparato giudiziario è funzionale a liberarsi di qualsiasi eventuale intralcio legale nel perseguimento dell’annessione, e che limitarsi a difendere l’attuale sistema giudiziario in sé, senza mettere in discussione l’occupazione e la supremazia ebraica, e senza rivendicare anche l’uguaglianza dei palestinesi, vorrebbe dire favorire questo progetto.

Segue l’articolo “Gli israeliani sanno che la vera democrazia segnerebbe la fine del sionismo” di Gideon Levy, opinionista del giornale israeliano Haaretz, qui pubblicato il 23-3-2023 e che riprendiamo dal sito di AssoPacePalestina.
L’articolo con estrema determinazione sostiene l’apparente paradosso che una vera democrazia in Israele comporterebbe la fine dello stato di Israele come lo conosciamo, perché minerebbe alla radice il sionismo, il suprematismo ebraico, abbattendolo. Senza peli sulla lingua sostiene che anche il sistema giudiziario “modificato” da Netanyahu sarebbe un faro della giustizia militare rispetto ai tribunali militari cui sono sottoposti i palestinesi.

Infine presentiamo due testi “L’esercito israeliano sta affrontando una “crisi senza precedenti”: migliaia di soldati si rifiutano; centinaia di migliaia in proteste di massa” un appello del 5-3-2023 di Shimri Zameret presidente di Refuser Solidarity Network e “Centinaia (!) di soldati israeliani hanno dichiarato di che si rifiuteranno di prestare servizio nell’esercito” con cui RSN riporta il post sul proprio Facebook del sergente Niron Mizrahi, con cui questo comunicava di rifiutarsi di prestare il servizio di leva nei Territori Occupati. RSN è l’associazione che sostiene tutte/i le/i giovani che si rifiutano di prestare il servizio di leva per non essere complici dell’occupazione dei territori palestinesi.
L’appello partendo dall’aumento vertiginoso nelle ultime settimane dei rifiuti a prestare il servizio di leva nei Territori Occupati e spiegando come funziona la renitenza alla leva, specifica che dalle modifiche del sistema giudiziario volute da Netanyahu saranno i palestinesi a subirne le conseguenze peggiori. Sostiene alla fine la necessità di collegare le mobilitazioni contro lo smantellamento del sistema giudiziario debbano essere collegate alle politiche di oppressione dei palestinesi portati avanti da tutti i governi israeliani.
Il post del sergente è un appello con cui spiega che non vuole prestare il servizio di leva per non continuare a contribuire all’oppressione dei palestinesi, non potendo più accettare che i giovani siano mandati a commettere crimini di guerra in nome del sionismo.


Ho combattuto per Israele,

ora combatto per porre fine

all’occupazione permanente dei Territori Palestinesi

Ori Givati 9-2-2023

SE NON ORA, QUANDO

Molti dei miei concittadini israeliani sono scesi in piazza per impedire al governo di destra di Netanyahu di smantellare il sistema giudiziario. Ma questo non basta.

Per coloro che in Israele lavorano da anni per porre fine all’occupazione del popolo palestinese e della sua terra, l’ascesa della coalizione di governo di destra ultranazionalista di Benjamin Netanyahu non è una sorpresa.

I governi israeliani che si sono susseguiti hanno lavorato instancabilmente per decenni per rafforzare il nostro dominio militare sui Palestinesi, espandere gli insediamenti, demolire le case e procedere verso l’annessione. Allo stesso tempo, hanno anche lavorato alacremente per limitare qualsiasi discussione reale sulla questione, cercando di porre ostacoli legali al lavoro della società civile, o delegittimando le critiche della comunità internazionale, ad esempio etichettando le organizzazioni critiche nei confronti di Israele come antisemite.

Il precedente governo israeliano, che ha fatto seguito a 12 anni di dominio di Netanyahu, si è definito il governo del cambiamento. Sebbene abbia portato alcuni cambiamenti positivi per i cittadini israeliani su questioni come la corruzione e le libertà civili, durante il suo mandato la violenza dei coloni e le demolizioni di case nei Territori Palestinesi occupati hanno raggiunto livelli senza precedenti. (1)

Detto questo, il governo israeliano appena eletto rappresenta un elemento del tutto nuovo. (2)

La questione dell’occupazione non è divisiva nell’attuale panorama politico israeliano. Le tradizionali distinzioni politiche tra destra e sinistra hanno lasciato il posto a una mappa politica tripartita nei confronti dei palestinesi. La maggioranza appartiene al “campo del Controllo”, che ritiene ci sia spazio per un solo stato sovrano, indipendente e potente tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questo sarebbe Israele. Questo campo si estende dal centro-destra, con i partiti di Benny Gatz e Yair Lapid, fino a parti del partito laburista.

Alla loro destra c’è il “campo dell’Annessione”, che è cresciuto drammaticamente negli ultimi anni, ma che ha sempre avuto una roccaforte a destra. Essi immaginano un “Grande Israele”, con annessioni e politiche di apartheid totale in Cisgiordania. Nel 2017 Bezalel Smotrich, l’attuale ministro delle Finanze e uno dei leader del “campo dell’Annessione”, ha illustrato il suo piano: I palestinesi avranno tre opzioni. Una: rinunciate alla vostra identità nazionale e alle vostre aspirazioni, così come ad alcuni dei vostri diritti civili e al diritto di voto, e vivrete in piccole enclavi simili al Bantustan. Due: sarete deportati. Oppure tre: sarete classificati come terroristi e le nostre forze di sicurezza si occuperanno di voi.

Per la maggior parte della storia di Israele, il terreno di scontro politico è stato dominato da questi due colossi. Noi, il “campo dell’Uguaglianza”, abbiamo messo un cuneo nel loro potere assoluto. Crediamo che tutti coloro che si trovano tra il Fiume e il Mare, indipendentemente dalla loro etnia, nazionalità o religione, debbano avere una completa uguaglianza di diritti e opportunità.

Il giorno prima della sua rielezione, Netanyahu ha pubblicato i principi guida del suo governo in un thread su Twitter: “Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e inalienabile di tutte le parti della Terra d’Israele. Il governo promuoverà e svilupperà insediamenti in tutte le parti della Terra d’Israele: Galilea, Negev, Golan, Giudea e Samaria”. (3)

Nonostante una campagna elettorale incentrata sul costo della vita, queste parole hanno messo in luce ciò che sta più a cuore a Netanyahu e al suo governo. In passato, Netanyahu si era posizionato più vicino al “campo del Controllo”, discutendo della creazione di una sorta di autonomia palestinese. Ora non più.

Questo governo ha già dimostrato che non si fermerà davanti a nulla per raggiungere i propri obiettivi. Nel primo mese del suo mandato abbiamo assistito a tentativi mirati di distruggere tutto ciò che lo intralcia, e così il sistema giudiziario è diventato il primo da distruggere.

Nonostante la retorica della destra, la Corte Suprema di Israele non è amica dei palestinesi ed è stata determinante nel mantenere l’occupazione. Tuttavia, il governo è consapevole che, per evitare potenziali sconvolgimenti nella realizzazione del suo programma annessionista, deve eliminare ogni possibilità di effettiva revisione giudiziaria.

La minaccia all’indipendenza della giustizia ha scatenato l’ira di molti israeliani, generando grandi proteste ogni sabato sera nell’ultimo mese. Gli israeliani sono giustamente irritati dai tentativi del governo di eliminare qualsiasi tipo di controllo sul suo potere.

Ma la retorica usata dai manifestanti “mainstream” è stata quella di “salvare la democrazia israeliana”, ignorando il fatto che una democrazia non può governare su milioni di persone soggette a una dittatura militare.

Questa è una classica mossa di sostegno da parte del “campo del Controllo”, che di fatto si adegua alla narrativa degli annessionisti. Il loro obiettivo finale non è lo smantellamento del sistema giudiziario in sé, ma semmai l’annessione dei Territori palestinesi occupati; pertanto, qualsiasi opposizione alle misure da loro adottate non dovrebbe focalizzarsi solo sui metodi, ma sul loro obiettivo finale. Purtroppo, come in molti casi nella storia moderna, i termini del dibattito attuale all’interno della società israeliana sono governati da coloro che credono che “non sia il momento” di parlare dell’occupazione.

Questo momento rappresenta una prova cruciale per la nostra società. Dobbiamo essere all’altezza della situazione e capire che le stesse forze che promuovono l’annessione e l’apartheid sono quelle che spingono per la distruzione del sistema giudiziario. Dobbiamo renderci conto che scendere in piazza per il bene del sistema giudiziario, proteggendo e legittimando l’occupazione e la supremazia ebraica, serve ai nostri nemici politici che vogliono che Israele completi la transizione verso uno stato di apartheid.

Comprendere tutto questo è fondamentale nella lotta contro chi detiene il potere. Perché l’unico modo efficace per combattere il “Campo dell’Annessione” è attenersi al principio dell’uguaglianza. Non possiamo rimanere inerti di fronte alla stragrande maggioranza delle politiche annessioniste, scegliere ciò che ci fa comodo o agire solo quando sono i nostri diritti umani a essere minacciati, piuttosto che quelli dei nostri vicini.

Quando le centinaia di migliaia di manifestanti in tutto Israele protesteranno per l’uguaglianza, solo allora saremo in grado di frenare la nostra traiettoria verso un regime autoritario e di apartheid e di avanzare tra le macerie, costruendo qualcosa di nuovo.

Questo momento deve servire da campanello d’allarme per la nostra società e per i suoi amici nella comunità internazionale. Lottare per proteggere il sistema giudiziario senza parlare delle questioni di fondo non è solo moralmente sbagliato, ma è anche un’occasione persa per progredire verso il cambiamento.

La libertà e l’uguaglianza non possono essere un privilegio di pochi, ma devono essere i fondamenti di una società che aspira a essere democratica.

Ori Givati ha prestato servizio nel Corpo corazzato dell’IDF dal 2010 al 2013 come comandante di carri armati. Oggi è il direttore dell’advocacy di Breaking the Silence, responsabile delle relazioni internazionali, dei media e dell’advocacy dell’organizzazione presso la Knesset e nel mondo.

originale su: https://www.thedailybeast.com/ex-idf-soldier-i-fight-to-end-israels-occupation

Note:
(1) Il governo di centro destra Bennett-Lapid, il primo dopo 12 anni senza Netanyahu. Composto da 8 partiti: 3 di destra, Yamina (Nuova Destra) di Bennet; Israele casa Nostra di Lieberman e Nuova Speranza di Saar); 2 di centro, C’è futuro di Lapid, Blu Bianco di Gantz, già alleato di Netayahu; 2 di sinistra, i Laburisti di Micaheli e Meretz di Horowitz; e il partito arabo islamista Ra’am; eletto con 60 voti a favore, 59 contrari e 1 astenuto su 120. (Bennet 13-6-201 all’1-7-2022 e Lapid 1-7-2022 al 29-12-2022, due governi per l’accordo sulla staffetta nel ruolo di primo ministro). (N.d.T.)
https://www.theitaliantimes.it/2021/06/14/israele-bennett-netanyahu-iran/ 14.6.2021
(2) Nuovo governo Netanyahu, il sesto, composto dai partiti di destra Likud, Shas, Partito Sionista Religioso, Giudaismo Unito nella Torah, Potere ebraico, Noam, eletto il 29-12-2022 con 64 voti su 120. (N.d.T.)
(3) Post del 28.12.2022 https://twitter.com/netanyahu/status/1608039943817007105 (N.d.T.)


Gli israeliani sanno che la vera democrazia segnerebbe la fine del sionismo

Gideon Levy 23-3-2023

La più grande minaccia che Israele deve affrontare è la minaccia di una democrazia. Non c’è pericolo più grande per il regime di Israele che la sua trasformazione in democrazia. Non esiste una società che sia così lontana dalla democrazia come quella israeliana. Ci sono molti regimi che si oppongono alla democrazia, ma nessuna società libera. In Israele il popolo, il sovrano, si oppone alla democrazia. Ecco perché l’attuale lotta, che presume di salvaguardare la democrazia, è una mascherata. È progettata per mantenere solo una finzione di democrazia.

Per la maggior parte degli israeliani, una vera democrazia equivale alla “distruzione di Israele”. Hanno ragione. La vera democrazia porrebbe fine al suprematismo ebraico che chiamano sionismo e allo Stato che chiamano ebraico e democratico. Pertanto, la minaccia della democrazia è la minaccia esistenziale contro la quale tutti gli ebrei israeliani si uniscono: Se la democrazia dovesse essere istituita per tutti i residenti dello Stato, questo porrebbe fine alla finta democrazia.

Per questo motivo, i leader della protesta si assicurano di evitare qualsiasi vero contatto con la democrazia, per evitare che l’intera faccenda crolli come un castello di carte. Non è per razzismo o odio verso gli arabi che essi non vogliono bandiere o manifestanti palestinesi – sono brave persone, dopotutto – ma solo perché sanno che sollevare la questione dell’apartheid renderebbe ridicola la loro lotta.

La sola menzione dell’idea di uno Stato democratico, in cui una persona equivale a un voto e tutti sono uguali, evoca una reazione immediata e ostile tra gli israeliani liberali e conservatori: “Cosa c’entra con tutto questo?”, seguito da “Non ha mai funzionato da nessuna parte”, per finire con “sarebbe la distruzione di Israele”. Niente di meno. Non c’è nessun altro Paese i cui cittadini considerino il diventare una democrazia come equivalente alla distruzione. Non esiste un’altra lotta per la democrazia che ignori completamente quanto è tirannico lo Stato in cui vive.

Mentre scrivo queste parole, mercoledì mattina presto, le grida dei manifestanti davanti al Museo Eretz Israel rimbombano in sottofondo: “Democrazia, democrazia”. Come disse una volta il leggendario leader della sinistra Moshe Sneh, negli appunti per un suo discorso: “Alzare la voce qui, perché l’argomento è debole”. Alzate la voce, compagni. Anche se tutte le vostre richieste – quanto mai giustificate – fossero pienamente soddisfatte, Israele non diventerà una democrazia.

Quando la democrazia viene gridata con pathos da gole rauche, mentre a mezz’ora di macchina dalla manifestazione i soldati strappano i civili dai loro letti, notte dopo notte, senza alcun mandato giudiziario; una città è sotto coprifuoco perché è stata vittima di un pogrom; un migliaio di persone sono in prigione senza processo e gli adolescenti che lanciano sassi vengono uccisi a colpi di pistola, in questo scenario l’ipocrisia è impossibile da digerire.

Gli articoli più terribili del piano del ministro della Giustizia Yariv Levin sono gloriosi monumenti alla democrazia rispetto al regime di occupazione. Anche se il Comitato Centrale del Likud dovesse scegliere tutti i giudici della Corte Suprema, uno per ogni distretto elettorale del Likud, la nuova corte sarebbe un faro di giustizia mondiale rispetto ai tribunali militari. E come si possono ignorare i tribunali militari, quando si lotta per il sistema giudiziario di Israele? Non fanno parte del sistema giudiziario? Sono un’esternalizzazione? Una legione straniera? Non sono forse il luogo in cui molti dei giudici israeliani muovono i primi passi? O dobbiamo ripetere le bugie sulla situazione di emergenza e sullo stato temporaneo delle cose?

Continuate a protestare con forza, fate tutto il possibile per rovesciare questo cattivo governo, ma non pronunciate il nome della democrazia invano. Non state combattendo per la democrazia. State combattendo per un governo migliore, secondo voi. Questo è importante, legittimo e impressionante. Ma se foste davvero democratici, avreste combattuto per uno Stato democratico, che Israele non è – e che voi non siete.

State combattendo contro un governo orribile, che deve essere combattuto perché sta distruggendo il tessuto della società con una velocità terrificante. Sta demolendo le nostre belle vite, la nostra fiorente economia, la scienza, la cultura, il sistema giudiziario e anche l’esercito più sofisticato del mondo. Vergogna, vergogna, vergogna. Deve essere combattuto; e poi, quando avete tempo, combattete per la democrazia.

originale su:
https://www.haaretz.com/opinion/2023-03-23/ty-article-opinion/.highlight/israelis-know-that-true-democracy-will-spell-the-end-of-zionism/00000187-0b26-d1cf-a7af-fffe6f6a0000?utm_source=mailchimp&utm_medium=Content&utm_campaign=haaretz-today&utm_content=8c025f29f1

Traduzione a cura di AssoPacePalestina: https://www.assopacepalestina.org/2023/03/24/gli-israeliani-sanno-che-la-vera-democrazia-segnerebbe-la-fine-del-sionismo/


L’esercito israeliano sta affrontando una “crisi senza precedenti”:
migliaia di soldati si rifiutano; centinaia di migliaia in proteste di massa

Refuser Solidarity Network

Mi chiamo Shimri Zameret e sono il presidente di RSN. Questi sono tempi cruciali in Israele/Palestina e il movimento dei “refuser”(1) israeliani ha bisogno del vostro aiuto, dato che nelle ultime due settimane migliaia di soldati hanno annunciato il loro rifiuto di prestare servizio nell’esercito israeliano. Durante la Seconda Intifada, mentre l’esercito israeliano uccideva migliaia di palestinesi nel tentativo di reprimere la rivolta(2), facevo parte di un movimento di giovani e soldati israeliani che si rifiutavano di servire nell’esercito. Dai 18 ai 20 anni, nel periodo 2002-2004, ho trascorso 21 mesi in prigione per la protesta contro l’occupazione e le sue politiche brutali. È stata una delle più grandi campagne di obiezione di coscienza mai viste in Israele. Quello a cui stiamo assistendo negli ultimi 14 giorni è un’ondata di rifiuto molto più ampia.

Potete aiutarci a sostenere la nuova ondata di “refuser” impegnandovi in una donazione mensile qui, o facendo una donazione singola di ammontare elevato qui.

Nelle ultime due settimane, e per la prima volta in due decenni, è emerso un nuovo movimento di renitenti alla leva in opposizione ai piani del governo di estrema destra, guidato da Benjamin Netanyahu, di approvare una serie di leggi antidemocratiche. Le leggi proposte, descritte come un “colpo di stato giudiziario” dagli oppositori, indeboliranno gravemente i tribunali del Paese, dando alla coalizione di governo un potere quasi illimitato. Pur avendo un impatto sui diritti delle donne, delle persone LGBTQ, dei laici e di altre minoranze, saranno i palestinesi di entrambi i lati della Linea Verde (3) a subire il peso maggiore della legislazione.

Contro questa minaccia imminente, migliaia di soldati e riservisti israeliani hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche in cui annunciano la loro intenzione di rifiutare il servizio militare se la legislazione del governo dovesse passare. Una di queste dichiarazioni ha raccolto oltre 250 firme di soldati della riserva, tutti appartenenti ad unità di operazioni speciali dell’esercito, affermando che la legislazione intende “rendere il potere giudiziario un potere politico e non indipendente, in altre parole una fine per la democrazia israeliana”. Una seconda dichiarazione di rifiuto simile ha raccolto oltre 500 firme di soldati della riserva, tutti appartenenti all’ “Unità 8200”, un’unità di intelligence spesso paragonata alla National Security Agency statunitense.

Nel frattempo, secondo i media, quasi tutte le unità dell’esercito israeliano – compresi i commando di Sayeret Matkal e altre forze d’élite – stanno fronteggiando una rivolta interna. I gruppi di chat interni all’esercito sarebbero inondati da soldati semplici che dichiarano che si rifiutano o si rifiuteranno di prestare servizio se il colpo di stato giudiziario avesse successo.

Secondo quanto riportato dalla stampa, il dissenso all’interno dell’aeronautica – una delle forze più stimate dell’esercito israeliano – è stato fonte di particolare preoccupazione per i vertici militari. In un messaggio su un gruppo WhatsApp interno all’aeronautica, citato da Haaretz, un pilota ha annunciato che invece di prestare servizio un giorno alla settimana come soldato di riserva, ora userà quel giorno per manifestare contro il governo. Un altro nuovo “refuser” ha detto che se la legislazione sarà approvata, la capacità dell’esercito di affrontare le minacce alla sicurezza “sarà danneggiata, senza dubbio”, sottolineando che “ci sono intere unità, specialmente nell’area dell’intelligence ma anche in quella della tecnologia, che dipendono dal servizio della riserva per tutto l’anno”. Domenica, quasi tutti i piloti della riserva dello Squadrone 69, una delle squadre più elitarie dell’aeronautica, hanno dichiarato ai loro comandanti che anche loro avrebbero rifiutato il servizio se i piani giudiziari fossero andati avanti.

Or Heler, corrispondente militare di Channel 13 News che ha seguito da vicino questi sviluppi, ha avvisato che questa storica rivolta rischia di mettere l’esercito israeliano in una “crisi senza precedenti”. Ha ragione. E per noi, il movimento che lotta per porre fine al dominio israeliano sul popolo palestinese, questa crisi rappresenta una grande opportunità senza precedenti.

Quasi tutti gli ebrei israeliani sono arruolati nell’esercito all’età di 18 anni, con un servizio di 32 mesi per gli uomini e 24 mesi per le donne. In particolare, però, quasi tutti gli israeliani che partecipano all’attuale ondata di obiezione sono soldati della riserva – israeliani più anziani che continuano a servire nell’esercito per un mese all’anno o per un giorno alla settimana per molti anni, in genere fino all’età di 40 anni.

Questi soldati della riserva vengono chiamati per un addestramento periodico e sono richiamati in gran numero in tempi di guerra. Ma l’esercito fa affidamento su questi soldati anche per le sue operazioni quotidiane, soprattutto nei settori che richiedono una formazione più lunga e conoscenze tecniche, come la raccolta di informazioni e l’aviazione. Senza di loro, l’esercito non può operare.

Questa ondata di obiezioni si inserisce in una più ampia campagna di manifestazioni di massa e di azioni di resistenza civile in tutto Israele. I manifestanti hanno bloccato le principali autostrade e stazioni ferroviarie nelle maggiori città israeliane; hanno circondato e tentato di irrompere in modo non violento nella Knesset, il Parlamento israeliano, durante i dibattiti sulla legislazione; hanno indetto uno sciopero generale nazionalehanno organizzato marce settimanali che hanno portato centinaia di migliaia di persone in strada ogni sabato.

Altrettanto importanti sono le azioni economiche intraprese sotto la spinta di questo movimento: cittadini e individui israeliani e aziende israeliane hanno pubblicamente disinvestito dall’economia israeliana, vendendo valuta e azioni israeliane e acquistando quelle estere. L’effetto a catena è stato efficace: nel mese di febbraio, lo shekel israeliano è crollato del 10% rispetto al dollaro e molti osservatori mettono in guardia da ulteriori danni economici e fughe di capitali.

Come ricercatore sull’utilizzo della resistenza civile – il ricorso a scioperi, boicottaggi, proteste di massa e altre azioni non violente per negare la propria collaborazione a regimi oppressivi – nelle campagne per la giustizia globale, posso affermare con certezza che questo livello di coinvolgimento nelle campagne di resistenza civile non ha eguali nella storia di Israele. Secondo le stime dei media, dal 2 al 4% della popolazione israeliana (tra le 200.000 e le 400.000 persone) ha partecipato ad almeno tre dei picchi di protesta e alle giornate di sciopero in tutto il paese. Mai prima d’ora un movimento israeliano aveva raggiunto un tale livello di partecipazione e allo stesso tempo aveva utilizzato la resistenza civile quale tattica principale. Poiché i livelli di partecipazione attiva dei cittadini sono generalmente considerati fondamentali per determinare le possibilità di successo delle campagne di resistenza civile, si tratta di una notizia importante.

Queste campagne di resistenza civile possono avere un effetto di cambiamento, come dimostrano alcuni esempi della storia recente. Tra questi, la cacciata del presidente Slobodan Milošević da parte dei cittadini serbi nel 2000; la rivolta che ha portato al ripristino della democrazia in Nepal nel 2006; il rovesciamento dei governanti autoritari in Tunisia e in Egitto nel 2011; i blocchi dell’Organizzazione mondiale del commercio, del Fondo monetario internazionale e dei vertici del G8/G20; il movimento per la giustizia globale negli ultimi vent’anni e le strategie impiegate dai movimenti per la giustizia climatica come Extinction Rebellion, Just Stop Oil e il Sunrise Movement.

Tuttavia, per quanto le proteste israeliane abbiano avuto successo nel mobilitare le persone, alcuni temono che stiano trascurando una questione di fondo essenziale. I critici fanno giustamente notare che molti degli individui e dei gruppi che guidano l’attuale movimento di opposizione – comprese le campagne per il rifiuto della leva – concentrano la loro comunicazione principalmente sull’impatto che la legislazione del governo di estrema destra avrà sugli ebrei in Israele e nella diaspora, ignorando in gran parte decenni di politiche antidemocratiche e di apartheid portate avanti da tutti i governi precedenti contro i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde.

Queste critiche sono importanti e legittime. Tuttavia, sia gli strateghi che gli esperti dei movimenti storici di resistenza civile sottolineano che tali campagne erano spesso incentrate su richieste “minori” o “simboliche” che contribuivano a rendere visibile l’ingiustizia più grande a parti più ampie della popolazione. Ad esempio, la campagna più diffusa del movimento anticoloniale indiano era incentrata sulla lotta contro una tassa sulla produzione di sale, non sulla richiesta di porre fine al dominio britannico. Anche il movimento per i diritti civili degli Stati Uniti è balzato agli onori della cronaca nazionale grazie a una campagna incentrata non sul diritto di voto, ma sulla segregazione nei trasporti pubblici.

Inoltre, per centinaia di migliaia di israeliani, giovani e anziani, la partecipazione a questo movimento di protesta sarà un’esperienza formativa per il resto della loro vita. E come abbiamo visto con le precedenti ondate di rifiuto della leva, per molti israeliani l’atto di sfidare l’esercito – una delle istituzioni più centrali della società e dell’identità nazionale israeliana – è spesso il primo passo verso l’abbandono delle norme egemoniche in cui sono stati cresciuti, e alla fine porta a un totale cambiamento della loro visione del mondo. È significativo che molti degli attivisti israeliani che oggi dedicano la loro vita alla campagna contro l’occupazione e l’apartheid abbiano iniziato come giovani che rifiutavano la leva o la riserva nelle ondate precedenti.

Quindi sì, è sconcertante che milioni di ebrei israeliani si rendano conto solo ora, per la prima volta, che le forze ultranazionaliste e ultrareligiose del Paese sono una minaccia esiziale per la società, anche per i milioni di palestinesi che subiscono il dominio israeliano. Detto questo, meglio tardi che mai, e questa ondata di obiezione e protesta può ancora creare un cambiamento profondo nella società israeliana. Anche se probabilmente ci vorranno anni per raggiungere la superficie e influenzare le politiche a lungo termine, questo periodo di obiezione di massa e di resistenza civile potrebbe essere altrettanto significativo quanto i movimenti israeliani che sono emersi durante la Seconda Intifada, la guerra del Libano del 1982 e la guerra dello Yom Kippur del 1973.

Di fronte a questa ondata di rifiuto e resistenza, credo che il ruolo del Refuser Solidarity Network e dei nostri sostenitori sia quello di appoggiare pubblicamente questa ondata di obiezione e resistenza, di essere solidali con essa e soprattutto di sostenere quei “refuser” e manifestanti che vedono le loro azioni come parte di una lotta più grande a favore della giustizia per i palestinesi. La strada da percorrere non è né sicura né certa, ma per la prima volta dopo decenni, posso dire onestamente di vedere un percorso realistico per porre fine all’occupazione nel corso della nostra generazione.

Refuser Solidarity Network e i nostri partner in Israele sosterranno questi nuovi gruppi di “refuser” in ogni modo possibile. Potete aiutarci a reperire le risorse necessarie per farloUn ottimo modo è quello di creare un piano di donazioni mensili per il nostro lavoro – se non ne avete già uno, prendete in considerazione la possibilità di impostare un piano di donazioni mensili qui, in modo da aiutarci a organizzare una resistenza crescente nei mesi e negli anni di lotta che ci aspettano.

Se siete già donatori mensili, vi preghiamo di prendere in considerazione l’idea di fare una donazione singola e consistente oggi, qui, per aiutarci in questo periodo che, come potete immaginare, richiederà l’assunzione di nuove persone, un’intensa attività di assistenza legale, stampa e social media per assicurarci che la lotta si concluda con una vittoria. Ogni donazione può essere utile in questo periodo.

In solidarietà,

Shimri Zameret
Presidente del Refuser Solidarity Network

5 marzo 2023

originale inglese su:
https://www.refuser.org/refuser-updates/new-wave

Note:

(1) Refuser (ing..): colui che si rifiuta di fare qualcosa, una locuzione di difficile gestione, per cui lasciamo “refuser”, che in pratica sono “obiettori di coscienza” nella situazione data di Israele.
(2) Tutte le sottolineatura sono nostre, mentre i grassetti sono originali.
(3) Con Linea Verde si intendono i confini stabiliti con l’armistizio arabo-israeliano del 1949, successivamente oltrepassati dagli israeliani con la guerra dei “sei giorni” del 1967. I palestinesi all’interno della Linea Verde hanno la cittadinanza israeliana (con una serie di pesanti discriminazioni razziste), quelli al suo esterno vivono nei Territori Occupati.


Centinaia (!) di soldati israeliani hanno dichiarato di
che si rifiuteranno di prestare servizio nell’esercito

3-3-2023

Negli ultimi giorni, centinaia (!!) di soldati israeliani hanno espresso il loro rifiuto di prestare servizio nell’esercito sotto il nuovo governo ultranazionalista e di estrema destra, a meno che non vengano fermate le sue politiche antidemocratiche. La stampa ha riportato che quasi tutte le unità dell’esercito, compresa l’unità di commando “d’élite” e l’aeronautica, stanno vivendo una rivolta interna, con i soldati della riserva che si rifiutano di servire in uno Stato che considerano antidemocratico. Questa ondata di rifiuti è diventata così allarmante che il capo generale dell’esercito è stato costretto a rilasciare una dichiarazione in cui si afferma che i soldati della riserva dovrebbero lasciare i loro disaccordi politici al di fuori dell’esercito. Tuttavia, i “refuser” non hanno rispettato l’ordine e ogni giorno vengono pubblicate nuove dichiarazioni. Nelle prossime settimane seguiremo da vicino questi eventi che si verificano una sola volta in una generazione.

Riportiamo le parole di Niron Mizrahi, 27enne di Kfar Masaryk, che sono state postate pubblicamente sulla sua pagina Facebook, invitando l’opinione pubblica israeliana a rifiutarsi (di prestare il servizio di leva, N.d.T.):

È ora di rifiutarsi.
Io, sergente Niron Mizrahi, numero di matricola 8065754, soldato del corpo corazzato e medico di combattimento, con la presente annuncio la cessazione del mio servizio nella riserva delle Forze di Difesa Israeliane, e invito ad un massiccio rifiuto da parte dell’intera opinione pubblica laico-liberale dello Stato di Israele.
****

Ho 27 anni e sto studiando per conseguire una laurea in educazione secondaria e l’insegnamento della storia, della Bibbia e della cultura israeliana. Sono cresciuto e sono stato educato nel Kibbutz Kfar Masaryk nella Galilea occidentale, ho finito 12 anni di scuola con un diploma completo, ho fatto un anno di volontariato in un collegio per giovani a rischio a Pardes Hana e nel 2014 sono entrato in servizio obbligatorio di leva nel Corpo Corazzato.

Per tre anni ho sorvegliato lo Stato di Israele ai confini con la Siria e Gaza, ho pattugliato e fatto arresti in Cisgiordania, e oggi ho capito che non posso più restare a guardare.

Non posso più stare a guardare come il mio paese mandi giovani come me a commettere crimini di guerra in nome del Sionismo, della bandiera e della religione, e in nome di una promessa divina – immaginata o meno – a partecipare all’espropriazione di terre, alla distruzione di culture e a uno degli ultimi colonialismi dei tempi moderni.

Non posso più restare in disparte a vedere come il mio paese toglie diritti e libertà a un altro popolo e condanna le persone alla disgrazia della fame e a vite miserabili, a traumi, sofferenze, povertà e morte in nome del fondamentalismo religioso.

Non posso più prendere parte alle ambizioni messianiche e maniacali di nazionalisti razzisti e fanatici religiosi come Simcha Rothman (1) e Itamar Ben Gabir (2), che sognano e lavorano per la visione del Tempio e di un regno religioso ebraico dal fiume Giordano al mare, e sono disposti a fare del male ad altri esseri umani per realizzare la loro dottrina.

Non posso più stare a guardare mentre un criminale conduce il paese verso una dittatura legale e una crisi costituzionale, e introduce terroristi ebrei nella Knesset, il tutto per sfuggire alla paura del tribunale.

La narrazione del “mantenimento della sicurezza” è crollata molto tempo fa. Non c’è alcuna salvaguardia della sicurezza qui, ci sono attacchi terroristici ogni lunedì e giovedì, e un’operazione militare ogni quattro anni, e proprio come gli uomini ultraortodossi e le donne religiose sono autorizzati a non arruolarsi per un motivo o per l’altro, anch’io, noi – il popolo laico-liberale – abbiamo l’obbligo morale di rifiutare il servizio nei Territori Occupati.

Vi chiedo di non trattarmi come una ragazzina radicale e farneticante. Sono una persona matura e riflessiva, con valori e idee che ho raccolto e sviluppato nel corso della mia vita, e sono giunta a questa decisione in modo informato e sobrio.

La storia è piena di conflitti complicati e sanguinosi, molto più del conflitto israelo-palestinese. La maggior parte di questi conflitti è stata risolta attraverso colloqui e negoziati. Non conosco un modo per risolvere i conflitti tra le persone che non includa il dialogo. La violenza e il terrorismo portano ad altra violenza e terrorismo e non sono mai la soluzione.

Non siamo venuti al mondo per combattere e ucciderci a vicenda.

Il valore della vita è più importante di qualsiasi altra cosa e sono consapevole che la mia continua partecipazione al ciclo di violenza e al perpetuarsi dell’occupazione israeliana dei territori della Cisgiordania e del popolo palestinese ostacola la risoluzione del conflitto.

Mi scuso se ho deluso o ferito qualcuno. Non mi scuso per la mia verità.

Originale inglese su: https://www.refuser.org/refuser-updates/niron

Note:

(1) Parlamentare alla Knesset per il Partito Sionista Religioso , partito ultrareazionario, che si contrappone a qualsiasi “concessione territoriale” (sic!) ai palestinesi e sostiene l’annessione totale dei territori occupati. (N.d.T.)
(2) Ministro per la sicurezza nazionale nell’attuale governo israeliano guidato da Netanyahu, membro della Knesset, esponente dei coloni israeliani, dirigente di Potere Ebraico (Otzma Yehudit), partito che si richiama alle teorizzazioni razziste, antiarabe e teocratiche del rabbino Meir Kahane, che fondò il partito Kach, dichiarato illegale nel 1994. (N.d.T.)


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By centrodidocumentazionecontolaguerra  28/03/2023